lunedì 21 marzo 2011

Pestaggi legali e illegali...dov'è la differenza?


Un Medico del Carcere Racconta i Meccanismi della Violenza Istituzionale

Il presente documento è stato recapitato all’OISM in data 10/12/2008, dopo che l’autrice l’aveva postato come commento sul sito della Senatrice Poretti (Pubblicato 11/12/2008).

Onorevole Senatrice Donatella Poretti,
mi chiamo Ilaria Bologna e per più di un anno ho lavorato come medico di guardia presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, meglio conosciuta come “Le Vallette”.
Non conosco per esperienza diretta la realtà dell’OPG. Leggere dei pestaggi e capire che non sono un’eventualità remota ed eccezionale, ma una realtà tanto grave quanto comune non richiede del resto una conoscenza approfondita: un’esperienza che non sia di solamente un paio di visite di mezz’ora all’interno di un’istituzione totale consente di capire immediatamente di cosa si sta parlando.
Al signor Maurizio Parenti cui preme che “il buon nome della Polizia Penitenziaria non sia infangato” mi sento di sottolineare che all’interno delle strutture carcerarie, e gli OPG nei fatti lo sono, i pestaggi da parte degli agenti (addirittura organizzati in apposite “squadrette”) sono all’ordine del giorno, sono l’ovvietà di fronte a cui si trovano tutti i detenuti e tutto il personale che all’interno della struttura lavora. Medici in prima linea, è il caso di dire. Occorre una specificazione per quanto riguarda il ruolo del medico in carcere: nella maggior parte delle Case Circondariali di dimensioni medio-grandi il medico, fisicamente presente 24 ore su 24 all’interno dei padiglioni o delle sezioni, volente o nolente a stretto contatto con gli agenti, ha primariamente un ruolo da “manutentore”. Deve garantire il benessere psico-fisico del detenuto non perché abbia la possibilità reale di approcciarsi a lui come a un suo paziente vero e proprio, ma perché l’istituzione per cui lavora esige ordine, e non esiste ordine se non attraverso “la salute” del detenuto. Automaticamente il medico assume anche poteri custodiali, e spesso non solo secondariamente. Il pestaggio raramente avviene nella totale ignoranza del medico: è piuttosto frequente che il detenuto picchiato venga poi portato in infermeria per “un controllo” e che siano palesi segni che rendono possibile, e francamente non solo al cosiddetto “occhio clinico”, risalire all’accaduto. A seconda di quanta complicità/connivenza esista tra il medico e gli agenti, e dunque di quanto questi ultimi ritengano di dover temere, gli agenti stessi sono più o meno espliciti nel riconoscere cosa è effettivamente successo: potranno sostenere che “sono stati costretti”, che “il detenuto era agitato e aggressivo”, o addirittura apertamente compiacersi di “aver dato una lezione”. A volte viene finta una rissa tra detenuti (il detenuto facilmente non parla per paura di un ulteriore pestaggio). In alcuni casi il detenuto non viene nemmeno portato in infermeria, e questo avviene soprattutto se gli agenti temono che il medico in turno possa refertare in cartella clinica le prove indiscutibili di ciò che è successo.
Una questione a parte sono poi le violenze praticate nei cosiddetti Reparti di Osservazione Psichiatrica, sezioni speciali in cui soggiornano, su richiesta della magistratura o a seguito di segnalazione del personale carcerario, i detenuti chepotenzialmente “affetti da patologia psichiatrica” sono candidati al percorso dell’ospedale psichiatrico giudiziario. In tali sezioni la contenzione a mezzo di manette, la sedazione non consensuale con iniezioni di psicofarmaci, la rimozione degli oggetti personali e di abiti, lenzuola e coperte “a scopo precauzionale” sono comuni ed “automatiche”, e anche quando sono iniziative autonome degli agenti di Polizia Penitenziaria devono comunque essere confermate ed autorizzate in cartella clinica dal medico (quasi sempre uno psichiatra).
La domanda immediata dovrebbe essere: perché allora non esistono denunce di pestaggi da parte del personale sanitario in primis? La risposta è duplice. Per la mia esperienza i medici penitenziari si dividono grossolanamente in due categorie. Alcuni, sia per convinzione, comodità o quieto vivere, assumono totalmente il ruolo dei garanti dell’ordine e nella pratica sono spesso quasi indistinguibili dagli agenti, se non perché rispetto a loro hanno più potere. Certamente non saranno loro a denunciare i pestaggi. Altri, la minoranza, pur riconoscendo la realtà della sistematica violenza di Stato, arrivano comunque presto a considerarla la “tragica quotidianità” con cui devono avere a che fare, che disapprovano con lo scuotere la testa ma che “bisogna accettare, questo posto è così”. I pochi che condannano e tentano di denunciare sono voci sole facilmente zittite, anche con la perdita del posto di lavoro: un medico “disallineato” crea diseconomia nel sistema.
Non lavoro più in carcere e la mia scelta, francamente in parte anche indotta, deriva dalla definitiva presa di coscienza di chi, dopo aver ingenuamente tentato di “fare bene il proprio lavoro perché meglio di niente”, realizza irreversibilmente l’enormità dell’aberrante meccanismo cui deve sottostare, e come tale meccanismo gli impedirà sempre di ricoprire eticamente il proprio ruolo: perchè gli impedisce di curare per prima cosa gli interessi del paziente che è sempre prima di tutto un detenuto; gli impedisce di tutelare la relazione medico-paziente e con essa la confidenzialità e la segretezza delle informazioni scambiate; gli impone, più o meno sottilmente, di assumere ruoli educativo-disciplinari che non devono competergli.
Leggendo dei pestaggi nell’OPG di Montelupo tristemente non posso stupirmi, come non posso credere che infermieri e medici, psichiatri e non, ne fossero e ne siano all’oscuro. Come non potrò stupirmi se durante la sua visita a Montelupo, accompagnata dal signor Maurizio Parenti, nulla dovesse sembrare particolarmente fuori posto, se non, forse, qualche crepa nel muro.
La ringrazio dello spazio concessomi.
Ilaria Bologna

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COMUNICATO STAMPA 18 Marzo 2011 

C.C. GENOVA MARASSI 
Ennesima aggressione in Carcere ad Agente di Polizia 
Penitenziaria 


Dichiarazione Stampa 
del Segretario Regionale UIL PENITENZIARI, Fabio PAGANI 


“ Stamani intorno alle ore 9,15 nel carcere genovese, un detenuto italiano R.L. ha aggredito un 
agente di polizia penitenziaria. Si aggrava il bilancio delle aggressioni subite dal personale di 
polizia Penitenziaria di Marassi, che con quello di oggi conta 5 aggressioni dall’inizio dell’anno -a 
dichiararlo è il Segretario Regionale UIL PENITENZIARI LIGURIA, Fabio Pagani, che non usa mezzi 
termini, “l’istituto genovese è al collasso , rischia di esplodere da un momento all’altro, il 
nervosismo e la tensione animano la popolazione detenuta, causa il sovraffollamento e la 
mancanza di spazi”. 

Per la cronaca – continua Pagani – il detenuto italiano è ristretto presso la seconda sezione 4° 
piano , per motivi ancora poco chiari ha aggredito con estrema violenza, con calci il malcapitato 
agente. Solo l’intervento dei rinforzi ha evitato il peggio. Ora il poliziotto che trasportato 
d’urgenza in ospedale è ancora al Pronto Soccorso per le cure mediche del caso. 

La UIL PENITENZIARI oltre a sottolineare il sovraffollamento della struttura, polemizza con i vertici 
dipartimentali sulla gestione del personale 
Con la speranza che l’Agente in servizio non abbia riportato niente di grave -continua Pagani – 
non possiamo esimerci dal sostenere che Marassi presente una situazione da brividi “ l’istituto 
genovese annovera 775 detenuti con una capienza regolamentare di 450 detenuti e una carenza 
organica di Polizia Penitenziaria di circa 160 unità. 
Oggettivamente continua il sindacalista – ora l’Amministrazione Penitenziaria, centrale e 
periferica, deve cominciare a muovere qualche dito, non deve soltanto preoccuparsi di triplicare le 
presenze dei detenuti nelle celle e abbandonare i poliziotti alle ire dei detenuti, così si rischia 
troppo, e per il personale di Polizia Penitenziaria andare a lavoro rischia di trasformarsi in 
tragedia. 
“Una situazione al limite della tolleranza aggiunge Pagani – speriamo che le istituzioni non restino 
a guardare, e ascoltino le grida di dolore e di sofferenza del personale di polizia penitenziaria 
oramai stremato, stanco e demotivato costretto a subire la lontananza di un Amministrazione e di 
un Governo che al momento fa solo chiacchiere.”. 



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