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E così ci siamo incontrati. Lei, la direttrice, ci ha raccontato tutte le difficoltà, i soldi che non ci sono, il personale ridotto al minimo; e ci ha parlato dei “suoi” detenuti e dell’orto perché, se è vero che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato” (articolo 27 della Costituzione italiana), allora un orto sinergico può essere una delle risposte. A noi l’idea è piaciuta e così, anche se i soldi mancano, Terra! si è impegnata a farlo ugualmente e, grazie ad Alessandra, abbiamo già raccolto quanto basta per pagare le spese vive per realizzare il primo orto in agricoltura sinergica nel carcere di Pontedecimo.
Certo, l’orto non cambierà la vita delle detenute e dei detenuti, che continueranno a contare i giorni che li separano dalla libertà, ma nel frattempo si saranno presi cura di qualcosa di vivo, imparando il mestiere della terra, mangiando del cibo sano e, chissà, magari fuori da lì, per alcuni quello diventerà il mestiere futuro.
Ho un solo rammarico: pensare che questo progetto sia realizzabile solo grazie all’intraprendenza di una singola persona, in questo caso due, la direttrice del carcere e la Ballerini, e non grazie allalungimiranza delle istituzioni. Sarebbe bello se un giorno queste cose nascessero direttamente su impulso delle istituzioni, perché vorrebbe dire che la politica avrebbe capito il senso di quell’articolo 27.
Considerata però la situazioni delle carceri italiane, adesso sembra un pensiero un po’ troppo utopico.
fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/
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