Le leggi dimenticano il carcere
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Quello della giustizia e della sua appendice carceraria è il tema prìncipe della crisi del Paese»: cosi, parola più parola meno, sembra che abbia detto il ministro Angelino Alfano a Marco Pannella ricoverato per le conseguenze di un durissimo sciopero della fame e della sete sui problemi del carcere. Dispiace non poter essere d'accordo col ministro. Le sue parole sono un bell'esempio dell'arte del politico di mestiere di cambiare le carte in tavola. Il «tema principe» del Paese, cioè il problema dei processi di Berlusconi, non ha niente a che spartire con la questione carceraria. No, il carcere non è un'appendice del problema della giustizia, è "il" problema. Lo è in assoluto: noi non abbiamo per fortuna la pena di morte,ma abbiamo carcerazioni di una lunghezza tale da esserne l'equivalente. Eppure si dice che la gente chiede pene sempre più dure: sarà vero? Di fatto c'è solo che nel Paese non c'è un'emergenza criminalità .. Tutte le statistiche dicono che in Italia il numero dei reati è fermo da anni. Eppure cresce di continuo l'affollamento delle prigioni.
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Al contrario è la società che bisogna difendere da loro:o almeno cosi pensa chi relega queste notizie nella categoria degli incidenti inevitabili. Bisogna che qualcuno muoia perché sulle condizioni delle carceri si accenda per un momento la luce della cronaca. Così come bisogna che le strade di Napoli trabocchino di imniondizia perché qualcuno si preoccupi; Ebbene, è evidente che così non si può continuare: come per le discariche dei rifiuti anche per gli esseri umani rifiutati e lasciati marcire in galera c'è chiaramente qualcosa di sbagliato nelle leggi. Occorre promuovere una presa di coscienza nella classe dirigente del Paese che imponga una revìsione legislativa delle norme criminogene accumulatesi negli anni.
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ha affidato e la realtà che ne ha fatto una macchina criminogena.: Il carcere deve essere concepito come un luogo di passaggio e non come uno stato senza alternativa .Ùna pena certa e un diritto penale minimo, secondo la proposta di Luigi Ferrajoli, debbono sostituire il calvario imposto da norme dettate dalla paura del "nemico della società".
Così l'Italia non farebbe che tornare alle sue tradizioni storiche remote, quando intorno. alle carceri si mobilitavano le migliori energie di una popolazione ben consapevole del fatto che lì si trovavano i più poveri e i meno tutelati della società. Quando alla metà del Seicento, il vescovo modenese Gian Battista Scanaroli pubblicò il suo monumentale trattato su come doveva funzìonare l'istituzione dei visitatori delle prigioni lo definì un libro nato "tra le catene dei carcerati", "in mezzo alle tenebre dei poveri". Nell'Italia dei consumi affluenti su quelle tenebre diventate impenetrabili deve accendersi finalmente la luce della ragione. .
Adriano Prosperi Le carceri italiane dimenticate dalla legge la Repubblica 24 giugno 2011
fonte: http://osservatoriodiconfine.blogspot.com/
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