sabato 11 febbraio 2012

Orti al fresco a Pontedecino, Genova: un diario


Orti al fresco a Pontedecino, Genova: un diario

È partito Orti al fresco, un progetto che porta l’agricoltura naturale all’interno della casa circondariale di Pontedecimo. Le attività sono pensate per contribuire al reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti e delle detenute, che si occuperanno dell’orto e saranno coinvolti nelle fasi di progettazione, realizzazione, e nella cura necessaria per tenerlo in vita e fertile.
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Il progetto è portato avanti dalle attiviste di Terra! Genova, che mettono a disposizione di questa idea le competenze affinate in anni di lavoro agricolo sulle alture di Vesima, e non solo.
L’idea non è nuova, in sé: il coinvolgimento nella cura della terra è sempre più diffuso in contesti in cui le persone vedono la loro libertà ristretta, perché si è dimostrato efficace e coinvolgente. Il metodo dell’agricoltura sinergica, alla base di questo specifico progetto, è poi un metodo di coltivazione che offre un approccio alla terra non tanto legato alla fatica fisica, pur essendo necessario un continuo lavoro per mantenerlo in vita, quanto più a un’attività di osservazione e cura: insomma una metafora delle relazioni fra essere viventi improntate alla premura e alla ricerca di benessere reciproco, perseguita soprattutto con l’attenzione verso l’altro da sé.
Lo scopo del progetto è realizzare un percorso volto all’educazione alla persona attraverso la “cultura ambientale”, e allo sviluppo di attività che aiutino il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, i quali saranno stimolati a prendersi cura di sé, degli altri e dell’ambiente.
Le detenute e i detenuti si alterneranno nella realizzazione dell’orto, nella cura, nella semina a nella raccolta; i prodotti serviranno per la mensa del carcere e per l’immissione in un circuito di gas locali.
Il progetto ha preso il via grazie all’adesione entusiasta e alla disponibilità della direttrice del carcere.
Per ora, Silvia e Francesca di Terra! stanno preparando il terreno e iniziando a seminare, insieme a Leonardo, Mario, Francesco e Giovanni.
Ecco il diario delle loro giornate.

I fase coltivazione di fave, aglio e piselli

Il primo incontro

Con zappe tridente, zappe piane e rastrelli abbiamo varcato per la prima volta il limite spinato del carcere di Pontedecimo, muraglia sicura di una città nella città. Una città antica in cui gli abitanti condividono la diversità e la distanza dalla realtà contemporanea da cui sono stati individuati come elementi fuori dal gioco ma potenziali giocatori di una partita, in cui non ci sono vincitori ma solo vinti che condividono l’anelare all’essere ricontestualizzati, ricollocati, ”riprogrammati” e rindividualizzati.
Questa città è costituita da case basse, con una densità abitativa molto, forse troppo, elevata, i cui prospetti sono regolari, di colore omogeneo e nebbioso, caratterizzati da aperture regolari prive di persiane o scuri ma arricchite da linee verticali le cui ombre segnano il tempo della vita di questa città fortificata. Dalle finestre sbarrate fanno capolino ridotti e bloccati colori dei panni stesi e delle plasticose provviste messe fuori per essere conservate meglio. Dopo aver lasciato in custodia documenti e cellulare una guardia ci accompagna all’area su cui svolgeremo l’attività. Il fazzoletto di terra è a ridosso del muro di cinta, che ripara dai venti di nord ovest, dal quale si supera la visione ristretta dei corridoi di passaggio. Da qui si riesce a oltrepassare con lo sguardo il limite e a esplorare quell’orizzonte involontariamente dimenticato, si può esplorare il paesaggio nella sua interezza, non frammentato da linee verticali che lo snaturano riducendolo a magre frange ombrose.
Iniziamo lo sfalcio dell’erba e dopo poco ci raggiungono sul pianoro verdeggiante Mario, Leonardo, Francesco e Giovanni, con pupille sbalordite dalla luce e dai colori autunnali che li circondano.
L’impatto è piacevole, prendiamo contatto tra di noi mettendoci in cerchio e raccontando loro di Terra!, di chi siamo, quello che facciamo e faremo insieme; loro ci raccontano i loro nomi e le loro esperienze in campo agricolo ed eccoci pronti per la prima giornata di lavoro.
Iniziamo a rastrellare il terreno mettendo da parte l’erba dello sfalcio che poi verrà usata come pacciamatura appena sarà seccata bene. Ci avviciniamo così alla terra, ai suoi profumi e alla sua faticosa altezza. La sensazione è piacevole. Siamo tutti incuriositi, interessati, attivi e contenti di stare all’aria aperta insieme. Rimuoviamo le zolle di terra e le battiamo bene; l’area che abbiamo a disposizione è bella grande 17m X 5m. Lavorando scopriamo pian piano le caratteristiche di ciascuno di noi, la musica delle zappe che abbracciano la terra fanno da sottofondo al nostro vociare curioso. Accaldati da un insolito sole di gennaio ci fermiamo soddisfatti per una meritata pausa.
Francesco avverte un po’ di labirintite, ci spiega che stando sempre dentro trovarsi fuori per lungo tempo è un impatto notevole, sorride e ci chiede di comunicargli con precisione i giorni nei quali svilupperemo le attività di orto… non vuole perdersene una! ..che felicità!
Si ricomincia a lavorare e a parlare lavorando, proprio come in un qualsiasi orto, si parla degli schemi naturali e si danno nozioni per la preparazione del terreno, cercando di stimolarli all’osservazione dell’ambiente naturale, ci accorgiamo che fanno un po’ di fatica a guardarsi intorno. Si coglie dalle frasi di ognuno interesse e stupore per tutte le cose dette; le frasi si alternano:
“…è davvero interessante…“
“…a queste cose non ci avevo mai pensato…”
“…quante cose ci sono da imparare…”
Scorgiamo una bella luce negli occhi di tutti noi, sorrisi, discorsi, ognuno parla di sé e pian piano si avvicina il termine dell’attività.
Chiudiamo con un cerchio per raccogliere le sensazioni di tutti, le prime impressioni sono davvero piacevoli, tutti rimarcano di essersi trovati bene e a proprio agio.
Siamo contente, il primo incontro ci ha arricchito molto e ci ha spinto a riflettere su come portare avanti meglio le cose. Siamo cariche di idee e nuove proposte da sviluppare!

Il secondo incontro

L’obiettivo del secondo giorno di attività è di preparare il terreno.
Dopo aver svolto il rituale procedimento di entrata nella città fortificata incontriamo Leonardo, Mario e Giovanni che ci aiutano a portare sul pianoro tutti gli strumenti necessari all’attività. Francesco non è presente perché non si sente molto bene e deve stare al caldo. Con una persona in meno iniziamo l’attività non prima di aver fatto il cerchio in cui ci siamo raccontati i fatti di attualità della settimana e aver illustrato l’attività del giorno.
Il clima tra noi è davvero piacevole, abbiamo superato decisamente ogni barriera. Con zappe alla mano iniziamo a lavorare e a chiacchierare.
Le nostre voci echeggiano contro il muro di cinta che restituisce frammenti di risate e parole alle case noiosamente abitate intorno a noi. Ed ecco affacciarsi amici e conoscenti dei ragazzi. Alcuni, più timidi, ci sbirciano da dietro le sbarre e altri, meno timidi, iniziano a interagire con noi chiedendoci cosa facciamo e quando sarebbe stato il loro turno. Alcuni sostengono l’attività lanciandoci dalle finestre bottiglie d’acqua con bicchieri di plastica ben fasciati in fazzolettini di carta bianchi. Ci stiamo espandendo.
Tra un colpo di zappa e l’altra vengono fuori le caratteristiche specifiche di ciascuno dei partecipanti all’attività. Con Leonardo, di origine domenicana, intoniamo una canzone cubana che parla di un giardiniere che coltiva gardenie che cura come se fosse il suo primo amore. Il canto echeggia in ogni angolo del carcere, da commuoversi davvero!
Giovanni primeggia in quanto a lavoro, ha sempre lavorato nel campo edile, ha mani esperte e lavoratrici e ci vuole dimostrare le sue capacità, chiede a Francesca se quando uscirà da lì può andare a lavorare con lei. Mario, è chiamato zio dagli altri, e sembra essere il più saggio e anche il più esperto della vita circondariale, ci racconta del carcere di Massa e di quello di Chiavari.
Concludiamo la giornata soddisfatti del lavoro fatto, ci voltiamo a contemplarlo e ci accorgiamo di come il paesaggio sia modificato e di come fossimo riusciti a inserire l’elemento della cura e dell’amore in un contesto disabituato ad accoglierlo. Ci salutiamo con la prospettiva di seminare fave, piselli e aglio l’incontro successivo.

Il terzo incontro

Ci ritroviamo tutti e sei per il terzo incontro. Francesco subito si scusa dispiaciuto per l’assenza all’incontro precedente e subito lo coinvolgiamo raccontandogli il lavoro svolto. Ci attrezziamo per l’attività della giornata: la semina. Facciamo conoscere i semi e la preziosità insita che possiedono, come dispensatori di vita e memoria. Non stanno nella pelle.
Ci siamo suddivisi i compiti: Giovanni e Leonardo preparano i solchi, Mario con terriccio in mano prepara il sottofondo sul quale Francesco adagia con cura e precisione i semi.
Prima di iniziare la semina andiamo tutti in spedizione acqua. Subito ai piedi del muro di cinta è presente un attacco idrico, scopriamo la presenza di acqua aprendo il rubinetto, è Leonardo l’attivatore, che ride come un bambino giocando ad aprire e chiudere il rubinetto tentando di bagnare noi e i suoi compagni.
All’attacco colleghiamo una manichetta lunga quasi 50 m che permetterà di irrigare i campi che dopo poco avremo seminato.
Iniziamo con il seminare l’aglio, che prima abbiamo preparato separando gli spicchi piccoli, utili da utilizzare in cucina, da quelli grandi che avremmo utilizzato. Poi è il turno dei piselli e dopo ancora delle fave.
Tra una semina e l’altra facciamo una pausa durante la quale Francesca offre a tutti dei conquat di cui Giovanni l’incontro precedente aveva detto di sentire la mancanza. Stupito del regalo Giovanni esclama “che bello ti sei ricordata di me!”. Era quasi commosso e noi anche.
Mentre mangiamo i conquat un uomo dalla finestra sbarrata ci lancia una bottiglia di plastica con dentro un buon caffè caldo che versiamo dentro tazzine da caffè di plastica. Parliamo, ci confrontiamo sul lavoro fatto e ci accorgiamo che il tempo per concludere la semina è poco. Ci rimettiamo al lavoro, la guardia ci segnala che occorre concludere con anticipo l’attività. Di buona lena ricopriamo i semini. I ragazzi vengono richiamati, devono rientrare.
Promettiamo loro che avremmo pensato noi a finire di ricoprire i semini e a irrigare. Ci salutiamo, tutti un po’ dispiaciuti per il termine dell’attività. Ci diamo appuntamento alla fine di febbraio per provvedere al rincalzo del terreno e per controllare la crescita delle piantine. Rimaniamo sole a finire il lavoro, e a sistemare le ultime cose. Dopo poco ci sentiamo chiamare, era Giovanni che dalla finestra della sua cella che si affaccia sul “nostro” terreno ci saluta nuovamente, ci ringrazia e ci promette di controllare da lì la crescita delle piantine. Siamo contente e soddisfatte.
Silvia e Francesca

fonte: http://www.terraonlus.it/genova

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