mercoledì 30 novembre 2011

Che cos'è l'ergastolo ostativo


Cos’è l’ergastolo ostativo?

E’ una pena senza fine che in base all’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, mod con Legge 356/92, nega ogni misura alternertiva al carcere e ogni beneficio penitenziario ai chi è stato condannato per reati associativi:

Pochi sanno che i tipi di ergastolo sono due: quello normale, che manca di umanità, proporzionalità, legalità, eguaglianza ed educatività, ma ti lascia almeno uno spiraglio; poi c’è quello ostativo, che ti condanna a morte facendoti restare vivo, senza nessuna speranza.

Per meglio comprendere la questione bisogna avere presente la legge 356/92 che introduce nel sistema di esecuzione delle pene detentive una sorta di doppio binario, nel senso che, per taluni delitti ritenuti di particolare allarme sociale, il legislatore ha previsto un regime speciale, che si risolve nell’escludere dal trattamento extramurario i condannati, a meno che questi collaborino con la giustizia: per questo motivo molti ergastolani non possono godere di alcun beneficio penitenziario e di fatto sono condannati a morire in carcere.
L’ergastolano del passato, pur sottoposto alla tortura dell’incertezza, ha sempre avuto una speranza di non morire in carcere, ora questa probabilità non esiste neppure più.
Dal 1992 nasce l’ergastolo ostativo, ritorna la pena perpetua, o meglio la pena di morte viva.”

Insomma l’ergastolo ostativo è stare in carcere per tutta la vita, è una pena che viene data a chi ha fatto parte di un’associazione a delinquere e che ha partecipato a vario titolo a un omicidio, dall’esecutore materiale all’ultimo favoreggiatore. Ostativo vuol dire che è negato ogni beneficio penitenziario: permessi premio, semilibertà, liberazione condizionale, a meno che non si collabori con la giustizia per l’arresto di altre persone.
Si continua a parlare di “pentiti”, mentre in realtà si dovrebbero chiamare semplicemente “collaboratori di giustizia”, perché è evidente che la collaborazione è una scelta processuale, mentre il pentimento è uno stato interiore. La collaborazione permette di uscire dal carcere, ma non prova affatto il pentimento interiore della persona. In realtà sono gli anni di carcere, nella riflessione e nella sofferenza, che portano ad una revisione interiore sugli errori del passato. Tutto questo nonostante un sistema carcerario che abbandona i detenuti a se stessi e che non agevola affatto la rieducazione e, nel caso degli ergastolani ostativi, esclude completamente ogni speranza di reinserimento sociale.*


Noi incontriamo ogni settimana decine e decine di persone condannate all’ergastolo, senza speranza, ostative ai benefici penitenziari, persone che sono in carcere dal 1979, ragazzi di 40 anni che sono stati condannati all’ergastolo a 18 anni e che non sono mai usciti, neanche per il funerale del padre. Ragazzi che hanno vissuto più tempo della loro vita in carcere che fuori.

In Italia ci sono più di 100 ergastolani che hanno alle spalle più di 26 anni di detenzione, il limite previsto per accedere alla libertà condizionale. La metà di questi 100 ha addirittura superato i trent’anni di detenzione.
Al 31 dicembre 2010 gli ergastolani in Italia erano 1.512: quadruplicati negli ultimi sedici anni, mentre la popolazione “comune” detenuta è “solamente” raddoppiata

Al 31 dicembre 2010 i detenuti presenti nelle carcere italiani erano 67.961 e quelli in semilibertà poco più di 900 e di questi solo 29 sono ergastolani. 29 su 1.512, a fronte di quasi 100 in detenzione da oltre 26 anni: non esiste, eccome, in Italia la certezza della pena?

Paolo Canevelli, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia ha rilasciato questa dichiarazione:
(...) Per finire, e qui mi allaccio ai progetti di riforma del Codice penale, non so se i tempi sono maturi, ma anche una riflessione sull'ergastolo forse bisognerà pure farla, perché l'ergastolo, è vero che ha all'interno dell'Ordinamento dei correttivi possibili, con le misure come la liberazione condizionale e altro, ma ci sono moltissimi detenuti oggi in Italia che prendono l'ergastolo, tutti per reati ostativi, e sono praticamente persone condannate a morire in carcere.Anche su questo, forse, una qualche iniziativa cauta di apertura credo che vada presa, perché non possiamo, in un sistema costituzionale che prevede la rieducazione, che prevede il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, lasciare questa pena perpetua, che per certe categorie di autori di reato è assolutamente certa, nel senso che non ci sono spazi possibili per diverse vie di uscita. 
(Roma 28 maggio 2010, intervento al Convegno Carceri 2010: il limite penale ed il senso di umanità).

Aldo Moro nelle sue lezione universitarie avvertiva gli studenti, ma forse anche il legislatore e i politici:
«Ricordatevi che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei privati: è la risposta calibrata dell’ordinamento giuridico e, quindi, ha tutta la misura propria degli interventi del potere sociale, che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla necessità, rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si esprime in una pena giusta».




*Dall’introduzione di Angelini Giuseppe e Bizzotto Nadia, Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII, al libro “Gli Uomini Ombra” di Carmelo Musumeci- Ed. Gabrielli 2010

Perché l’uomo ombra non parla?

Già di per sé il crimine è pena. (David Maria Turoldo)

Fra un uomo ombra, un cattivo e colpevole per sempre, un ergastolano ostativo a qualsiasi beneficio se non collabora con la giustizia e se nella sua cella non ci mette un altro al posto suo, e una suora di clausura del Monastero Domenicano di Pratovecchio è nata una corrispondenza e un rapporto d’affetto e di amicizia.
Suor Grazia mi scrive:
La gente mi chiede: Perché Carmelo non parla? Perché non collabora? Io devio un po’ il discorso perché non so cosa rispondere. Dimmi qualcosa a riguardo. Dimmi cosa devo rispondere a questa gente

Io le rispondo:
Cara Suor Grazia, potrei dirti semplicemente che non parlo perché “Chi fa la spia non è figlio di Maria” o perché, giusta o sbagliata che sia, ognuno deve scontare la propria pena senza comprarsi la libertà e senza usare la giustizia per mandare un altro al posto suo in carcere.
Potrei dirti che non collaboro con la giustizia perché uno dovrebbe uscire dal carcere perché lo   merita, senza accettare ricatti da uno Stato ingiusto e fuorilegge, che prima mi ha insegnato a  delinquere e poi mi ha condannato a essere cattivo e colpevole per sempre.
Cara Suor Grazia, potrei dirti che non parlo perché ora i giudici dicono che la mia vecchia organizzazione non esiste più e i miei vecchi complici si sono rifatti una vita e ora sono dei buoni genitori, dei buoni mariti e dei buoni cittadini e quindi perché li dovrei far sbattere in carcere?
Potrei dirti che non collaboro con la giustizia perché non c’è solo la legge degli uomini, spesso ingiusta,  c’è anche le legge dell’amicizia, dell’amore, del cuore e forse anche quella di Dio che mi proibisce di tradire vecchie amicizie e di far soffrire altre persone.
Cara Suor Grazia, potrei dirti che non parlo perché se ho commesso dei reati la prima vittima sono stato io,  e in tutti i casi, comunque sia andata, nei miei reati non è mai stato colpito un innocente.
Lo so,  non è una giustificazione, ma per me è importante.
Invece, cara Suor Grazia, ti dico che avrei potuto collaborare con la giustizia solo quando ero un criminale: ora mi sento una persona migliore e diversa e non lo posso più fare perché la mia libertà,  la mia  felicità non deve costare sofferenza ad altri.
E poi dopo vent’anni dai fatti non c’è più bisogno di mettere in carcere nessuno senza contare che in prigione non c’e giustizia: c’è solo odio e sofferenza.
Cara Suor Grazia, come mi hai insegnato tu, è il perdono e non il carcere che ci potrebbe permettere di essere persone migliori, perché la galera non migliora nessuno: può solo peggiorarti e poi penso che chiunque mandi in carcere un altro al posto suo si autocondanna all’infelicità.
Cara Suor Grazia, poi, per ultimo, non parlo perché sono sicuro che anche tu al posto mio faresti lo stesso.
Il mio cuore e la mia ombra ti vogliono bene.

Carmelo Musumeci
Carcere di Spoleto  


lunedì 28 novembre 2011

OSSERVATORIO sulla REPRESSIONE: Lettere dal carcere

OSSERVATORIO sulla REPRESSIONE: Lettere dal carcere: Svuota bugie “Se vuoi perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche voi.” (Matteo 6,14) Il provvidime...

domenica 27 novembre 2011

La libertà di espressione non conosce sbarre


Che la Dozza, la Casa Circondariale di Bologna, abbia problemi seri è cronaca di queste settimane. Come anche che diversi artisti, scrittori, poeti e intellettuali, da Bergonzoni e Marescotti a Roversi e Cacucci, si siano mossi con appelli e iniziative pubbliche di sostegno ai carcerati. Ne è nato ad esempio il progetto “Vernissage”, che porterà all’imbiancatura di celle che da anni non vedono pennelli.
Ma c’è anche chi, alla Dozza, agisce da tempo con iniziative culturali. Come Ausilio per la Cultura, gruppo di volontari che opera da sei anni con il supporto di Coop. Adriatica. Ha portato libri richiesti dai detenuti insieme alla biblioteca Sala Borsa. Ha organizzato, con libri donati, le tre biblioteche centrali (Penale, Giudiziario, Femminile) e altre 4 biblioteche di piano che finalmente stanno assumendo una buona “consistenza”. Qualche dato: il Penale ha circa 2000 libri, il Giudiziario 3000, il Femminile 2000, quelle di Piano circa 700 ognuna. Ed è appena partita la costituzione della sezione di libri universitari per i detenuti studenti.
Ma soprattutto, da 3 anni, c’è una manifestazione letteraria, di scrittura, dietro le sbarre: “Parole in libertà”. Non un concorso, perché Ausilio vuole la massima partecipazione da parte dei detenuti. E anche qui i numeri contano: hanno iniziato con 17 scrittori, quest’anno sono stati 39. E C@ffè letterario.Bo vi offre la possibilità di leggere alcuni testi trascritti dai volontari per far conoscere quello che si scrive alla Dozza. Riflessioni in versi e in prosa, a volte con ironia amara, che dicono cosa significhi essere dentro, e quanto “fuori” sia invocato, con la voglia di ricominciare.


carcere della DozzaSolitudine
La solitudine è considerata al giorno d’oggi come un’autentica sindrome, un male sociale, e cosa dire della morte? Una vera tragedia, queste due cose alla fin fine, vanno di pari passo, quasi in simbiosi, perché l’una può portare all’altra.
Eppure secondo me per siffatta, chiamiamola pure patologia, esiste una cura, un rimedio e di questa cura si può beneficiare in una delle cliniche più specializzata esistenti al mondo: la Dozza!
Avere la fortuna di venire ricoverati dentro la sopra citata casa di cura, nel padiglione penale, fa apparire la solitudine come un dono dal cielo, una grazia ricevuta e la morte un beneficio, una liberazione totale, perché quando si muore, si muore soli.
Per i casi più gravi, si può prescrivere il trasferimento dei pazienti nel padiglione giudiziario, in terapia intensiva.
A questo punto i risultati sono assicurati, in caso contrario si può solo diagnosticare una cronicità irreversibile alla pazzia.
Con me ha funzionato, infatti se naufragassi da solo in un’isola deserta, non considererei il fatto come una sfiga, ma in realtà come una culata pazzesca.
Se essere soli è brutto, essere in tanti è peggio. La solitudine forse rattrista, la compagnia sicuramente scoccia. Da soli si decide, in compagnia si litiga.
La solitudine fa soffrire gli stolti.
(Detenuto italiano, sezione penale)


Me ne vado
Un bel giorno me ne vado
sono stanco e stufo
lascio le stanze
i gradini delle scale
briciole e cenere
e tutto il resto avanzato
in pacchi e pacchetti
che qualcun altro aprirà.
Sull’uscio una luce
rade il cielo
lo fa calvo, concavo, orrendo.
Mi chiudo nel guscio delle palpebre
cammino e incespico
in un pacco, in un braccio teso
in un lamento che dice:
non pestarmi col piede
dammi una mano
(Detenuto italiano, sezione giudiziaria)


29 anni
In questa giungla d’acciaio e di cemento
fatta di porte, cancellli e mura,
dove si ode un continuo lamento,
tutti ad entrarvi hanno paura
Chi va e chi viene,
io resto.
A nessuno conviene
un luogo che io detesto
Chi ride chi piange,
io taccio,
per nulla si intravede
la mia libertà un laccio.
Chi spera e chi dispera,
io esaspero.
Il mondo una chimera
passa ogni dì fino al vespro
Chi ottimista e chi pessimista,
io realista.
Nel desio di una vita vissuta
Come una gara da finalista
(Detenuto stranierio, sezione giudiziaria)
carcere della Dozza

Un gatto senza Dio
Il gatto,
forse un Dio ce l’ha, non come me, che sto perennemente spettinato sulle porte del tempo ad aspettare un cambio di stagione.
Una pioggia che non piove, un sole che si porti via tutto l’inverno.
Io che sembro finirci apposta in quei punti dove tira più forte il vento contrario, per lisciarmi il cuore e l’anima.
Sono certo, un gatto un Dio ce l’ha, non come me che misuro la distanza tra una carezza ed un balzo, in bilico sui tetti che illudono il cielo, io cerco dentro al mio cuore chiedendo ad una lisca di pesce il peso specifico della luna.
(Detenuto italiano, sezione penale)


2 novembre
se il giorno dei morti c’è il sole,
fan festa anche i morti!
Attenti, assorti, ascoltan le preghiere dei vivi
ma quando vien l’ora di partire,
son loro che piangono piano
per non fari sentire
(Detenuto italiano, sezione penale)

(Il corpo si logora)
Il corpo si logora
in 1000 frantumi
li ricucirò
uno per volta e ne farò
un abito invidiabile
(Detenuta donna, italiana)
(È come morire)
È come morire,
avere un cappio al collo,
ti manca il respiro.
Il cuore ti pulsa a mille e il
panico ti prende dentro.
Solo sbarre
divise,
orari strani che compongono la giornata
è un pezzo di vita che ti portano via.
Ogni respiro nel vale mille
e allora dentro hai voglia di urlare,
ma neanche quello puoi fare,
non puoi fare nulla,
solo respirare.
(Detenuta donna, italiana)
(foto di Roberto Serra)


fonte: http://caffeletterario-bologna.blogautore.repubblica.it/

Salinagrande è un inferno”. Delegazione Ue scioccata dal centro di accoglienza trapanese


Vestiti di stracci, privi di cure mediche, con docce gelate e bagni fatiscenti. Così vivono i richiedenti asilo, donne e bambini compresi, nella struttura considerata un "fiore all'occhiello" del ministero dell'Interno. Il racconto di Rosario Crocetta e Rita Borsellino, che l'hanno visitato come europarlamentari della Commissione libertà civilie
Bagni fatiscenti e senza porte, letti che somigliano più che altro a giacigli improvvisati, nessuna coperta e lenzuola logore, cure mediche scarse, riscaldamento inesistente e docce che gettano soltanto acqua gelida. Costretti a vivere in queste condizioni umilianti, centinaia di cittadini in fuga dalla propria terra e in attesa dello status di rifugiato politico. Attesa che spesso può durare anche anni.

E’ lo scenario a che si è presentato alla delegazione della Commissione libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo, in Sicilia da tre giorni per analizzare lo stato della politica migratoria italiana, una volta arrivata al centro richiedenti asilo di Salinagrande, pochi chilometri ad ovest di Trapani, da sempre considerato un fiore all’occhiello dal Ministero dell’Interno. I trenta delegati, guidati dall’europarlamentare svedese Cecilia Wikstrom, hanno visitato diversi centri d’accoglienza in tutta l’isola, e proprio Salinagrande ha offerto lo spettacolo peggiore.

“E’ un vero e proprio abisso infernale, un lager” è il lapidario commento dell’europarlamentare del Pd Rosario Crocetta, che ha fatto parte della delegazione. “Sono stato a Lampedusa – ha raccontato l’ex sindaco di Gela – ma lì la situazione era molto migliore. Almeno i bagni avevano le porte. Qui invece 250 persone vivono in condizioni inumane. Senza coperte, con lenzuola sporchissime. Non avevano neanche indumenti degni di questo nome. Abbiamo chiesto perché gli ospiti non fossero vestiti con capi decenti e ci hanno risposto che il centro ha fornito le tute da ginnastica, ma era una bugia. Ho visto soltanto uno degli ospiti con quella tuta, molti erano vestiti con stracci.”

Il Cara di Salinagrande, aperto ufficialmente nel 2005, con i suoi 260 posti è uno dei più grandi centri d’accoglienza di tutto il meridione. Dallo scorso agosto è gestito dalla cooperativa trapanese Badia Grande, considerata vicino alla Caritas, che in passato aveva amministrato anche le tendopoli di Kinisia. Posizionato strategicamente a pochi chilometri dalla costa tunisina, è stato spesso descritto come un centro d’eccellenza dove i migranti avrebbero addirittura imparato l’italiano. Ma nonostante le premesse, le scene viste dai delegati europei sono ben lontane dall’eccellenza. E anche dalla dignità umana.

“Ce lo avevano presentato come un centro all’avanguardia, dove gli ospiti studiavano la nostra lingua – continua Crocetta – Ma appena siamo entrati nei dormitori abbiamo visto l’inferno. In una stanza c’erano alcuni ospiti sofferenti. Al centro una specie di grande secchio per raccogliere le infiltrazioni d’acqua. Un ragazzo pachistano aveva un mano fratturata: ha detto di essersela rotta ad ottobre. Non gli avevano ancora messo il gesso perché avrebbe potuto fare la radiografia solo il 29 novembre: più di un mese dopo. Ma nel frattempo ovviamente la frattura si è calcificata per sempre. Un trattamento che credo gli addetti del centro non riservino neanche ai loro animali domestici. Qui stiamo parlando di persone umane”.

Anche il racconto della capo delegazione Wikstrom è drammatico: “A Salinagrande l’acqua nelle docce è fredda, non ci sono le porte nei bagni, manca lo scarico, i dormitori sono affollatissimi. In queste condizioni è davvero difficile tutelare la dignità umana. Lì – ha spiegato l’europarlamentare svedese – ci sono persone senza speranze, famiglie intere con bambini piccolissimi. E’ importante prendere sul serio le loro esigenze”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Rita Borsellino secondo la quale “non è accettabile che in Sicilia possa esistere un lager come il centro di Salinagrande a Trapani, o che centinaia di persone vengano lasciate per mesi in un limbo come succede anche a Mineo. Bisogna affrontare il nodo burocratico, perché è inaccettabile che ci siano richiedenti asilo che si trovano nei centri da sei e qualche volta da otto mesi. Uomini, donne e tanti bambini, interi nuclei familiari rimangono per mesi in attesa di conoscere il loro destino, con le vite appese. Bisogna far fronte alle carenze strutturali – ha continuato l’euraparlamentare del Pd – se centri come Salinagrande sono vandalizzati e in queste condizioni fatiscenti o li ripariamo o si chiudono definitivamente”.

Le deprecabili condizioni igienico-sanitarie hanno infatti portato in passato gli ospiti di Salinagrande a manifestare il proprio dissenso per il modo in cui erano costretti a vivere. “E’ assolutamente normale – ha chiosato Crocetta – che trattando la gente in questo modo alla fine esploda. Proprio per questo sono intenzionato ad andare avanti sulla faccenda, anche con un esposto alla procura della Repubblica, per segnalare la gravità della situazione”,

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/

ARRIVA IL 'CODICE ROSSO' PER DETENUTI PIU' PERICOLOSI

AGI) - Roma, 26 nov. - Il codice rosso entra in carcere insieme al codice bianco, verde e giallo ed e' una vera rivoluzione negli istituti di pena per il trattamento dei detenuti, non tutti in carcere per le stesse ragioni e con le stesse modalita' di comportamento, e per gli stessi agenti della polizia penitenziaria, che svolgera' piu' compiti di polizia che non di custodia. 


La 'rivoluzione' porta la firma di Sebastiano Ardita, alla guida della direzione generale detenuti, che dopo nove anni lascia per tornare alla procura della Repubblica di Catania. L'innovazione guarda alla nostra Carta Costituzionale e sottolinea come la rieducazione sia un obiettivo primario del trattamento penitenziario. 


Quarantatre' pagine controfirmate dal capo del Dap, Franco Ionta, la circolare sul nuovo trattamento penitenziario rappresenta una vero cambio di passo nel sistema carcerario: mira ad innovare la gestione dei detenuti comuni introducendo un codice per ogni categoria per evidenziare il livello di rischio che presenta, introduce un regime a celle aperte per i detenuti non pericolosi e garantisce piu' ampi spazi di trattamento e di recupero sociale. 


Le disposizioni non si applicano, per motivi opposti, ne' ai detenuti del circuito alta sicurezza, ne' a quelli in custodia attenuata per cui restano ferme le regole attualmente in vigore, se piu' favorevoli. 


Il codice bianco verra' utilizzato per individuare i detenuti che non sono stati autori di reati di violenza (i tossicodipendenti, gli extracomunitari, i nuovi poveri), e che al tempo stesso abbiano mantenuto una buona condotta ed abbiano risposto al trattamento penitenziario.


 Il codice verde potra' essere individuato per identificare i soggetti autori di reati di violenza, che abbiano risposto bene al trattamento e mantenuto buona condotta.


 Il codice giallo e' per i detenuti che abbiano realizzato violazioni disciplinari.


 Il codice rosso per gli autori di reati in carcere e di tentativi di evasione. 
I codici bianchi dovranno essere tenuti a celle aperte, e tendenzialmente anche i verdi. 
I codici gialli potranno essere tenuti a celle aperte dopo attenta osservazione.
 I codice rosso dovranno essere mantenuti chiusi. 


La polizia penitenziaria perdera' la funzione di custodia ed operera' con funzioni di polizia, andando in giro per gli spazi aperti ed assicurando l'ordine, la disciplina e la sicurezza pubblica. Vengono introdotte anche nuove regole di assistenza ed un gruppo di intervento interdisciplinare per prevenire i suicidi. Viene sostanzialmente abolita la sorveglianza a vista, ossia verra' impedito d'ora in poi che i soggetti a rischio vengano sottoposti a misure preventive con contenuto esclusivamente custodiale, favorendone il recupero. Quanto ai tempi di attuazione, per garantire che tutti gli istituti di pena possano attuare contestualmente quanto previsto dalla circolare, si procedera' per tappe. Intanto verra' stabilmente convocata , in ogni istituto, un'equipe per avviare il censimento della popolazione detenuta e individuare le sezioni da destinare ai detenuti a regime aperto. Gli elenchi dei detenuti da ammettere al regime aperto verranno inviati entro 60 giorni al provveditorato regionale competente che raccogliera' le proposte e verifichera' la fondatezza della eventuale mancata attuazione del regime aperto, inviando poi, entro 30 giorni, alla direzione generale dei detenuti, il progetto completo su base regionale. L'attribuzione del codice e' legata a riunioni periodiche dell'equipe dell'istituto che puo' rivedere in senso positivo o negativo le valutazioni sul livello di pericolosita' del detenuto, comunicando ogni decisione al provveditorato. Se un detenuto viene trasferito, l'istituto che lo accoglie dovra' confermare o modificare il codice assegnatogli. (AGI) .

Scarceranda 2012

Scarceranda


SCARCERANDA

dal 1999
contro ogni carcere giorno dopo giorno, perché di carcere non si muoia più, ma neanche di carcere si viva

Scarceranda è un'agenda autoprodotta da Radio Onda Rossa dal 1999. Il suo motto fin dalla nascita è “contro ogni carcere giorno dopo giorno, perché di carcere non si muoia più, ma neanche di carcere si viva”.
Potete contribuire alle edizioni future di Scarceranda inviando i vostri disegni e scritti: saggi, racconti, poesie, ricette culinarie.
Scarceranda ospita le “Ricette evasive”: ricette culinarie di facile preparazione pensate soprattutto per chi è prigioniero/a riutilizzando anche parte del vitto fornito dall'amministrazione penitenziaria.
Scarceranda partecipa ogni anno alla mostra "Crack! Fumetti dirompenti" organizzata al CSOA Forte Prenestino di Roma, esponendo le tavole delle edizioni passate e raccogliendo disegni per l'edizione dell'anno successivo.
Dal 2006 insieme all'agenda è allegato un Quaderno con testi e immagini aggiuntivi. La collana dei Quaderni di Scarceranda può essere richiesta anche separatamente dall'agenda dell'anno in corso.


Scarceranda viene donata alle persone prigioniere che ne facciano richiesta o segnalate a Radio Onda Rossa che provvede alla spedizione postale in carcere. Se volete far giungere la Scarceranda in carcere potete comunicarci il nominativo del prigioniero/a e il carcere in cui si trova (città).


Scarceranda è auto-distribuita e auto-promossa. Se volete organizzare iniziative di presentazione o di sostegno, prendervene più copie per distribuirla in conto vendita, contattateci per metterci d'accordo.
Scarceranda (agenda + Quaderno) è in vendita a 12 euro. La si può trovare presso Radio Onda Rossa e in altri punti vendita (infoshop, centri di documentazione, librerie) sparsi per l'Italia. Si può acquistare Scarceranda per corrispondenza pagandola preventivamente tramite conto corrente postale o versamento on-line.


SCARCERANDA

Radio Onda Rossa

via dei volsci 56
00185 Roma
Tel 06-491750
E-mail:

PATRIZIO GONNELLA – Redattori in carcere e nomine dell’ultimo minuto

pgonnellaDa qualche giorno si sono costituite due redazioni giornalistiche dentro le carceri di Roma (Rebibbia) e Milano (Bollate). I detenuti elaborano, scrivono, leggono notizie che vanno a essere il cuore di un giornale radio dal carcere (grc) trasmesso su Radio Popolare (Roma, Milano e Salento) all’interno di una trasmissione che si chiama Jailhouse Rock, ovvero suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni.
 Forse è la prima volta che dalle prigioni arriva la voce diretta dei detenuti-giornalisti, non censurati da bravi e disponibili direttori. Questa è la seconda notizia: nonostante il governo Berlusconi e nonostante i  Ministri Angelino Alfano e Nitto Palma, nonostante alcune professionalità di elevatissimo valore siano state umiliate o addirittura invitate ad andare via dall’amministrazione penitenziaria dopo decenni di servizio probo e di qualità a favore dello Stato, nonostante l’abbandono a cui sono oramai tristemente abituati poliziotti, direttori, educatori, assistenti sociali, medici, psicologi, cappellani, nonostante tutto questo vi sono ancora direttori e operatori motivati, appassionati, impegnati, dalla sicura impronta democratica.
Un giornale radio dal carcere ricorda che il carcere non deve essere un luogo rimosso. D’altronde se pensiamo al mondo della musica si capisce come le prigioni siano nell’immaginario di ogni bravo musicista che mai le rimuove dalla sua esistenza. In galera, per motivi diversi e non tutti nobili, per qualche giorno o per qualche anno vi sono stati, tra gli altri: Bob Dylan, Johnny Cash, Frank Sinatra, Leadbelly, Caetano Veloso, Mercerdes Sosa, Johnson Righeira, Roberto Vecchioni, tutta la band degli Allmann Brothers etc. etc. Ecco perché ha senso che una trasmissione rock ospiti al proprio interno un giornale radio dal carcere. E’ anche accaduto che il Presidente della Repubblica è nuovamente intervenuto sul tema delle carceri stigmatizzando la gravità del gap tra norme e prassi indegna. Ora si attende passaggio successivo che sarà la nomina di un sottosegretario che sia esperto del tema per vocazione, passione, militanza, esperienza, professionalità.
Se così non fosse gli elementi di preoccupazione crescerebbero. Infine va tristemente ricordato che il ministro Nitto Palma poco prima di andare via ha fatto qualche nomina. Bon ton istituzionale avrebbe voluto che avesse lasciato la palla al suo successore. Ma il bon ton non è cosa che appartiene ai berluscones.
Patrizio Gonnella
(25-11-2011)

sabato 26 novembre 2011

Daniele Franceschi : un medico e due infermieri sotto accusa


“Omicidio colposo” Questa è l’accusa per un medico e due infermieri sulla morte di Daniele Franceschi

novembre 24, 2011
Grazie anche, e soprattutto, alla caparbietà di Cira Antignano, madre di Daniele Franceschi, siamo giunti ad una svolta nelle indagini per la morte del giovane Daniele avvenuta il 25 agosto 2010 nel carcere francese di Grasse.  Un medico e due infermieri sono indagati per omicidio colposo. Il pm francese ha accettato le conclusioni del giudice istruttore. Tuttavia, le indagini non sono concluse. Non solo non viene esclusa la possibilità che nel registro degli indagati venga iscritto qualche dirigente del carcere ma è da auspicarci che le responsabilità dell’omicidio di Daniele Franceschi non sia scaricata solo sulle ultime ruote del carro. E’ evidente che se c’è stata un’omissione di soccorso o delle percosse esiste una responsabilità oggettiva che il direttore del carcere e i dirigenti della struttura penitenziaria non possono eludere.
In attesa che le indagini proseguino, consideriamo positivo il fatto che sulla vicenda qualcosa si sia mosso.  La determinazione di mamma Cira e la solidarietà che attorno a questo caso è stata portata da varie realtà ha permesso che questa vicenda non cadesse nel dimenticatoio. Sono tanti, però, i casi di omicidi o morti strane che avvengono nelle carceri francesi, italiane e di altri paesi europei per questo occorre tenere alta l’attenzione e denunciare tutti gli abusi che il potere perpetua. A tal proposito venerdì 9 dicembre alle ore 21 presso il cantiere sociale versiliese in via Belluomini 18  il coordinamento anticapitalista versiliese (CAV) promuoverà uno spettacolo teatrale della compagnia Qui Lecco Libera dal titolo: “Mi cercarono l’anima a forza di botte”  sul caso di Stefano Cucchi.
Il ricavato della serata sarà devoluto a Cira Antignano per permettere di proseguire la sua lotta per avere verità e giustizia sulla morte del figlio.

fonte: http://danielefranceschi.wordpress.com/

Celle aperte durante il giorno per i detenuti


Celle aperte durante il giorno per i detenuti (Giovanni Bianconi).

Celle usate solo per il pernottamento, ogni detenuto avrà il suo codice. E «carceri aperte» per i soggetti meno pericolosi. È quanto dispone la nuova circolare diramata dall’amministrazione penitenziaria ai provveditori e direttori. Si tratta di una piccola rivoluzione, un tentativo di rendere meno dura la vita nelle prigioni sovraffollate come mai lo erano state prima d’ora. ROMA — Un tempo si chiamavano celle, e tutti continuiamo a usare quel termine. Ma la dizione ufficiale è «camere di pernottamento» e così dovranno essere di fatto, non solo di nome.
I detenuti italiani assegnati al regime di «media sicurezza» — la grande maggioranza, più di 50.000 rispetto al totale di 67.500 — dovranno tornare nelle «camere» solo di notte. Durante il giorno potranno muoversi liberamente all’interno della prigione: «Il perimetro della detenzione dovrà estendersi quanto meno ai confini della sezione ovvero, dove possibile, anche agli spazi esterni alla stessa, seguendo così l’indicazione dell’ordinamento penitenziario sin qui scarsamente attuata». 
È quanto dispone la nuova circolare intitolata «Modalità di esecuzione della pena — Un nuovo modello di trattamento che comprenda sicurezza, accoglienza e rieducazione», diramata ieri dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a tutti i provveditori e direttori delle carceri. L’ha firmata il responsabile del Dap, Franco Ionta, insieme a Sebastiano Ardita, il direttore dell’Ufficio detenuti che l’ha materialmente redatta come ultimo atto della sua decennale permanenza al Dipartimento, prima di tornare a fare il pubblico ministero in Sicilia. Si tratta di una piccola rivoluzione, un tentativo di rendere meno dura la vita nelle prigioni sovraffollate come mai lo erano state prima d’ora, e di attuare il principio costituzionale della pena tesa al reinserimento sociale dei condannati. Anche attraverso la loro collaborazione.
Il presupposto del nuovo corso è che «per larga parte della popolazione detenuta è possibile e saggio applicare un regime penitenziario più aperto». E forse anche alla luce di episodi più o meno gravi di persone che dietro le sbarre hanno subito abusi o soprusi, nella circolare si ricorda che nei confronti del detenuto «devono essere attuati interventi trattamentali conformi ad umanità e rispettosi della dignità della persona». Quanto ai reclusi, con le norme appena varate viene «elevato il grado di responsabilizzazione di ciascuno, potendo ogni ristretto contribuire, con la propria condotta, alla adozione per tutti del regime meno afflittivo»; cioè quello di una «vita penitenziaria connotata da libertà di movimento, secondo precise regole di comportamento».
Entro tre mesi negli istituti dovranno essere pronte le sezioni aperte dove i reclusi ammessi potranno muoversi a piacimento per l’intera giornata, al di là della tradizionale ora d’aria.
E per stabilire chi potrà accedere a questo regime si procederà al censimento e a un’inedita catalogazione della popolazione detenuta. Tenendo conto della «ragione dell’ingresso in carcere», quindi dei reati di cui si è accusati, ma anche della «condotta intramuraria» (cioè all’interno dell’istituto), della «risposta al trattamento penitenziario», delle «reazioni mantenute nei momenti difficili» e del «rispetto non meramente formale né strumentale delle disposizioni interne», nonché del «modo di relazionarsi con altri ristretti».
Ne verrà fuori una classificazione legata alla pericolosità che ricalca quella adottata nei Pronto soccorso degli ospedali: codice bianco, verde, giallo e rosso, per misurare la pericolosità del detenuto, e dunque «il concreto rischio che il ristretto, condannato o imputato, si renda autore di evasione o di episodi di turbamento dell’ordine e della sicurezza interna all’istituto».
Col codice bianco saranno classificati i reclusi per «reati che non hanno comportato violenza o minaccia alle persone», oppure che risultino potenzialmente preliminari ad atti di violenza, come il possesso di armi; che non appartengano ad associazioni per delinquere o «comunque gravitanti in contesti di criminalità mafiosa» e che abbiano fin qui tenuto una «buona condotta intramuraria, partecipando al trattamento in modo attivo». Questi andranno direttamente ammessi al «regime aperto», senza altri accertamenti e vincoli.
Per i detenuti col codice verde — stessi requisiti del bianco a parte il primo, e cioè siano accusati di reati «connotati da violenza o minaccia alle persone» — andrà fatta un’attenta valutazione per escludere pericoli di fuga o di «turbamento dell’ordine e della sicurezza» prima di essere ammessi alla libertà di movimento, che in ogni caso andrà «tendenzialmente» concessa.
Il codice giallo verrà attribuito ai detenuti per reati di violenza che «pur non avendo tenuto comportamenti intramurari violenti né condotte pericolose, abbiano mantenuto atteggiamenti di tipo dissociale ovvero siano incorsi in violazioni disciplinari». Per loro la regola s’inverte, e la possibilità trascorrere le giornate fuori dalle «camere di pernottamento» sarà riconosciuta solo dopo «una prima ragionata scelta che tenga conto di altri fattori in grado di escludere il pericolo di evasione o turbamento».
Infine ci sarà il codice rosso, assegnato ai reclusi responsabili di atti di violenza o tentativi di evasione, che abbiano partecipato ad associazioni per delinquere finalizzate a reati violenti o collegate, sia pure indirettamente, alla criminalità organizzata. Ad essi il regime aperto sarò di norma negato, «salvo il manifestarsi di specifiche evidenze di senso contrario tanto rilevanti da far escludere in modo ragionevole la possibilità di pericoli»; in ogni caso ciò potrà avvenire dopo un «adeguato lasso di tempo» nel quale l’équipe di osservatori e responsabili dovrà decidere all’unanimità l’ammissione al «regime aperto».
L’assegnazione del codice non sarà definitiva bensì legata a «riunioni periodiche dell’équipe che potranno rivedere in senso positivo o negativo le valutazioni sul livello di pericolosità del detenuto e procedere ad una loro modifica». Inoltre, «l’ammissione alla detenzione aperta non costituisce un diritto acquisito», ma potrà essere revocata «ove il detenuto tenga condotte che ne dimostrino la pericolosità e quindi l’inidoneità ad un regime meno custodiale di quello “chiuso”».
Da oggi i direttori del penitenziari hanno sessanta giorni di tempo per attribuire i codici — che andranno indicati nei fascicoli personali e in tutti i documenti delle persone finite in carcere, subito dopo il nome e il cognome — stilare gli elenchi di coloro che possono essere ammessi alla detenzione aperta e indicare gli spazi da assegnare a chi potrà circolare durante il giorno all’interno delle sezioni «aperte».
Da Il Corriere della Sera del 26/11/2011.

Severino al Quirinale «Prima le carceri», ma niente amnistia

Dalla Rassegna stampa
Giorgio Napolitano torna a insistere su quella che già quattro mesi fa aveva definito «una realtà che ci umilia in Europa». «La condizione carceraria-ha scritto ieri il Capo dello Stato in un messaggio inviato al Coordinamento dei volontari penitenziari, in occasione di un convegno organizzato sul tema a Roma - troppo spesso appare distante dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sul rispetto dei diritti e della dignità delle persone».
Parole che, come uno squillar di trombe, hanno preceduto solo di qualche ora la dichiarazione d'intenti della neo Guardasigilli Paola Severino, ricevuta ieri pomeriggio al Quirinale per «un giro di orizzonte sui principali problemi della giustizia». Al centro del suo programma, esposto per grandi linee in un faccia a faccia definito dal Colle «franco e cordiale», ci sarebbe proprio l'«emergenza carceri». La ministra starebbe già studiando, secondo fonti di via Arenula, «misure tampone per alleggerire il sovraffollamento carcerario». Anche il vice presidente del Csm, Michele Vietti (ricevendo a Palazzo dei Marescialli il capo dello Stato e la ministra Severino alla sua prima uscita ufficiale) ha chiesto a sua volta «misure straordinarie» per rispondere a «situazioni straordinarie come quella carceraria». Niente amnistia o indulto, però: Paola Severino sembra al momento escluderlo categoricamente.
E se non è amnistia e indulto, come chiedono da tanto, troppo, tempo ormai i Radicali, l'ipotesi più credibile è che si stia pensando a una revisione della cosiddetta «legge svuota-carceri» in vigore da un anno: allungare cioè il limite massimo di condanna per poter scontare la pena ai domiciliaci anziché in carcere, da un anno a diciotto mesi. Sempre che non si torni a parlare di piano di edilizia carceraria, per fare fronte a quello ché il presidente Napolitano, solo qualche mese fa definì «un tema di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile». Allora, il monito del capo dello Stato, pronunciato durante un convegno dei Radicali, ebbe una grossa eco. Da quel momento però, dall'estate scorsa, nulla si è mosso. Ed è proprio questo che Marco Pannella e i suoi rimproverano a Napolitano, delusi forse soprattutto perché il nome dell'anziano leader radicale - grazie alla cui iniziativa non violenta l'Italia ha "scoperto" l'illegalità delle carceri italiane non è mai entrato nella rosa dei papabili di Via Arenula.
Ora però a chiedere che almeno venga «nominato un Sottosegretario alla Giustizia con delega alla amministrazione penitenziaria, che sia autorevole, indipendente, appassionato, esperto anche a livello internazionale», sono una serie di associazioni e organizzazioni che hanno rivolto un appello al neo Guardasigilli. Sono Antigone, il "Coordinamento Nazionale dei garanti territoriali dei diritti delle persone limitate nella libertà personale", Arci, Giuristi Democratici, Ristretti orizzonti, Vic Caritas, la Conferenza nazionale volontariato giustizia, la Società della Ragione e l'Unione delle camere penali italiane.
«È necessario che il sistema della esecuzione della pena abbia una guida istituzionale forte - si legge nell'appello - Solo così potrà disporre di quel riconoscimento indiscusso senza il quale è difficile operare in una comunità complessa quale è quella penitenziaria, con un sovraffollamento che rende intollerabili le condizioni di detenzione. Preoccupante è il numero di suicidi e di morti tra i detenuti. Le condizioni igienico-sanitarie degli istituti di pena sono molto gravi. Il personale è affaticato e sotto-dimensionato».

fonte: http://www.radicali.it/

Arrivano i rinforzi.... :-(


Carceri e rinforzi: un solo agente per Savona, ventitre a Sanremo
Data di pubblicazione: 25/11/2011
Carceri e rinforzi: un solo agente per Savona, ventitre a SanremoUna sola unità, femminile, per rinforzare l’organico di Polizia Penitenziaria del carcere di Savona. E’ in servizio in piazza Monticello l’Agente che, terminato il corso di formazione nella Scuola di Formazione di Polizia, è stata assegnata alla Casa Circondariale di Savona. A darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe.

“Credo si possa e si debba parlare di un’occasione d’oro persa dall’Amministrazione Penitenziaria per andare a sanare, seppur parzialmente e con il minimo sforzo, le criticità organiche dei Baschi Azzurri di Savona” spiega Roberto Martinelli (nella foto), segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che sottolinea come “il primo Sindacato dei Baschi Azzurri, il Sappe, aveva sollecitato più volte il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sulle gravi ed oggettive difficoltà operative con le quali quotidianamente si confrontano i poliziotti penitenziari del carcere savonese, auspicando un significativo rinforzo dell’organico anche assegnando a Savona quelle unità di Polizia Penitenziaria che da anni aspirano ad esservi trasferite. Parliamo di un incremento reale di almeno 5 unità, che sarebbero state importantissime per agevolare l’operatività dei colleghi in servizio a Savona”.

“Mi auguro che ora l’Amministrazione Penitenziaria assegni al carcere di Savona un direttore titolare, visto che a tutt’oggi non c’è e la titolarità è affidata di volta in volti a dirigenti diversi” aggiunge Martinelli, che torna a denunciare anche le criticità dell’attuale struttura carceraria: “L’attuale carcere di S. Agostino è contro il dettato costituzionale della rieducazione del detenuto, autorevolmente denunciato in questi giorni dal Capo dello Stato. Togliere la libertà a chi commette reati non vuol dire togliere loro anche la dignità: e quando abbiamo celle senza finestre, come a Savona, non c’è alcun ulteriore commento da fare. Questa grave situazione carceraria espone gli agenti di Polizia penitenziaria a condizioni di lavoro gravose e a rischio. Costruito per ospitare 36 posti letto, il Sant’Agostino ospita in media 70/80 detenuti (erano 79 il 31 ottobre scorso) controllati da Agenti di Polizia Penitenziaria carenti in organico di 15 unità. Tutti dicono che serve un carcere nuovo a Savona, da ultimo lo disse nella sua visita ferragostana l’ex Sottosegretario alla Giustizia che espressamente parlò di “una delle piaghe che il Governo dovrà risolvere” ma che non fece seguire alla denuncia nulla di concreto.”

Martinelli ricorda ancora una volta le ampie convergenze politiche emerse al convegno che il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe tenne lo scorso 8 ottobre 2010 a Cairo Montenotte per un nuovo carcere alternativo al disastroso penitenziario savonese di Sant’Agostino. “Nel convegno pubblico noi, come Sappe, lanciammo la proposta di realizzare un nuovo carcere nella Valbormida, in tempi estremamente brevi, con costi contenuti ed avvalendosi di manodopera locale. Ci fu pure la condivisione degli Amministratori locali ed il Sindaco di Cairo incontrò a Roma il Commissario straordinario per le carceri Franco Ionta. Ma poi non si è saputo più nulla.”


Imperia e Sanremo, in arrivo 23 nuovi agenti
Sono 23 gli Agenti di Polizia Penitenziaria che, terminato il corso di formazione nelle Scuole di Polizia, prenderanno servizio nel Ponente ligure. A darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che con il Segretario Generale aggiunto Roberto Martinelli precisa: “Ad Imperia sono stati assegnati in 6 Agenti, 4 uomini e 2 donne, mentre nel penitenziario di Valle Armea vanno 17 Agenti, tutti uomini. Ma è notizia di questi giorni la volontà dell’Amministrazione penitenziaria di realizzare un polo detentivo femminile a Sanremo, esigenza sottolineata da tempo e in più occasioni dal primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe”.

“E’ sicuramente una buona notizia perché l’Amministrazione Penitenziaria, più volte sollecitata nel merito dal primo Sindacato dei Baschi Azzurri, il Sappe, sembra avere tenuto nel debito conto le gravi ed oggettive difficoltà operative con le quali quotidianamente si confrontano i poliziotti penitenziari dei due penitenziari” dichiara Martinelli, che torna a sottolineare le criticità penitenziarie delle due Case Circondariali: “Il 31 ottobre scorso Imperia, che ha una capienza regolamentare di 78 posti, erano presenti 115 detenuti (45 imputati e 70 condannati, 63% la percentuale di detenuti stranieri) mentre a Sanremo, con capienza regolamentare pari a 209 posti, presenti erano 362 (183 imputati, 179 condannati, 53% la percentuale di detenuti stranieri). E questo determina condizioni lavorative stressanti e difficili per i Baschi Azzurri del Corpo. Vogliamo esprimere ancora una volta la vicinanza e la gratitudine del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria alle colleghe ed ai colleghi di Imperia e Sanremo, quotidianamente impegnati in una situazione di costante sovraffollamento con significative carenze di organico, con l’auspicio che il rinforzo complessivo di 23 neo Agenti ai due Reparti di Polizia possa far calare i pesanti carichi di lavoro che quotidianamente sopportano i nostri colleghi”.

Il Sappe comunica anche l’intendimento dell’Amministrazione Penitenziaria di realizzare un polo detentivo femminile a Sanremo: “La notizia è emersa nel corso di un recente incontro, e siamo assolutamente d’accordo. Da tempo il Sappe ha evidenziato la necessità di avere a Sanremo una sezione detentiva femminile, come peraltro era nel progetto originario della struttura, considerato che le arrestate nella provincia di Imperia vengono inevitabilmente tradotte nella Casa Circondariale di Genova Pontedecimo, unico carcere della Liguria con sezioni detentive per donne. Questo ha provocato e provoca gravi disagi al Personale di Polizia penitenziaria che deve trasportate le arrestate, ma anche ai familiari ed in particolare ai figli delle donne arrestate. Una necessità rispetto alla quale abbiamo anche suggerito la chiusura dell’attuale Sezione detentiva per collaboratori a Valle Armea”.


Fonte Sappe - Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria