lunedì 21 novembre 2011

Testimonianza da Sollicciano


Dal carcere di Sollicciano (Firenze), la testimonianza di un detenuto che ci racconta di drammatici ma quotidiani problemi legati in particolare alla salute.
«Sono un detenuto del carcere di Sollicciano e quando M. mi ha chiesto di scrivere qualcosa per definire la Sanità in carcere, subito ho risposto di sì.
Parto dal fatto che non esiste un “pronto intervento”: se un detenuto è colpito da una colica renale, per esempio, passano almeno due ore prima che sia portato in infermeria; è capitato proprio poche settimane fa ad un mio cocellante, per accellerare i tempi di soccorso abbiamo fatto la battitura: “sbattere il blindo, accompagnato da urla”. Nonostante ciò, è trascorsa più di un’ora e mezzo.
Non mi chiedo cosa succeda se un detenuto sia colpito da infarto perchè ho visto persone uscire in bare di alluminio, certo qualcuno è morto anche per “overdose” ma pure per questa, con una semplice iniezione di “NARCAN” fatta in tempo, non si muore.
Mi dispiace iniziare in modo così crudo ma ho poca scelta, potevo in alternativa parlare prima delle carenze igieniche, che vanno a generare malattie come scabbia, micosi etc. etc. ma, senza sottovalutare nemmeno quest’ultimo aspetto, devo informarvi della ricomparsa copiosa della T.B.C. Per questa malattia infettiva sono stati fatti da poco i controlli annuali, però gli arresti vengono fatti tutti i giorni, quindi…
Devo dire che per quanto riguarda la terapia di psicofarmaci, c’è un’ efficienza a dir poco svizzera, non solo infatti il carrello arriva in perfetto orario due volte al giorno, ma mi riferisco anche alla ”cura del sonno” che andava di moda qualche anno fa. Sarcasmo a parte, credo che le notizie scritte sui quotidiani riguardo alle condizioni delle carceri, da chi lo fa di mestiere il giornalista, siano abbastanza esaurienti, specialmente in quest’ultimo periodo in cui si parla di amnistia, però le persone continuano ad ammalarsi e a morire.
La causa è quasi sempre la stessa, mancato soccorso, in poche parole siamo lasciati a noi stessi.
Io, che sono un fuorilegge, posso dire di non aver mai visto qualcosa di così criminale come la “gestione” delle  nostre Patrie galere. Dico così perchè sono consapevole di dover espiare la mia pena e mi ritrovo paradossalmente ad essere vittima di quello che vogliono far passare come rieducazione, attraverso un pentimento connesso alla dimensione della sofferenza e non esagero se la chiamo schiavitù».
Alcune notizie che mi arrivano dalla Prima Sezione Giudiziaria Femminile di Sollicciano.
«La situazione disumana nella quale viviamo è caratterizzata da: vitto scarso e di pessima qualità, mancanza di carta igienica, assorbenti e prodotti per pulire la cella, di conseguenza dobbiamo acquistare tutto ciò, quindi, può permetterselo solo chi ha la fortuna di avere i soldi. Quando piove, l’acqua che filtra dal tetto arriva direttamente in cella, per non parlare dei corridoi.
Poliziotte penitenziarie che, invece di svolgere le proprie mansioni, istigano a comportarsi in modo non consono alla civile convivenza, aggiungendo alla nostra frustrazione le loro angherie: se una detenuta cerca di essere rispettata come un essere umano, viene subito definita aggressiva e da ciò conseguono rapporti disciplinari e isolamento. Le docce sono diminuite a tre volte alla settimana.
Quando una di noi si sente male, passano ore prima che l’agente di sezione, che per legge dovrebbe essere presente sul posto per tutta la durata del turno, arrivi e decida lei stessa l’entità del  ”male”  in questione. Assisto ad episodi di ragazze che vengono visitate dall’infermiere solo il giorno dopo e dico infermiere, non dottore. Qui non ci si limita a violare le più elementari basi dei diritti umani, credetemi se vi dico che si va ben oltre .
Da quando stanno sfollando le così dette strutture OPG ci troviamo in cella persone che devono essere curate non per delle “semplici” depressioni come può essere la mia, no, qui si parla di individui definiti, per usare un termine che ormai viene abbellito da questi signori, affetti da turbe maniaco-depressive. Nei fatti, in un contesto di pochi metri quadri sono rinchiuse sei persone di cui una o due come sopra descritto.
In sezione 8, nella cella 1, da poco è stato ricostruito il bagno perchè una persona che doveva essere in un ospedale psichiatrico, seguito come “Domine Dio” comanda, ha spaccato completamente tutto, provocandosi tagli e lesioni. A tutto questo dobbiamo aggiungere il resto dei colpi che ha preso dagli agenti. Mi aspettavo, visto che tre agenti non hanno avuto il coraggio di entrare in questa cella che gli tirassero un dardo con la cerbottana come si fa per gli animali.
Non vorrei che quest’ ironia passasse come un minimizzare il problema, ma, quando si è sottomessi, o meglio, condotti ad un depauperamento estremo, tutto sembra normale, progressivamente ci si abitua a tutto ciò. Questo non significa che quei signori sono riusciti nel loro intento di inaridire tutto ciò che è in me, no, io, come tanti altri, ho la fortuna di conservare dentro di me la speranza, che, coadiuvata dal “lavoro” di sostegno dei volontari, mi aiuta a non perdere la mia identità.
I volontari ci trattano come persone vere, facendo si che un’attesa diventi qualcosa di piacevole solo per il fatto di essere riconosciuti, anche se non puoi accenderti la luce quando ti serve  o al contrario spegnerla quando hai sonno, tu per me esisti ,anche quando ti vengono tolte tutte e non esagero se dico tutte le cose più semplici per poter sopravvivere psicologicamente, tu per me esisti».
Testimonianza raccolta da M.
fonte: http://www.progre.eu/

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