domenica 27 novembre 2011

La libertà di espressione non conosce sbarre


Che la Dozza, la Casa Circondariale di Bologna, abbia problemi seri è cronaca di queste settimane. Come anche che diversi artisti, scrittori, poeti e intellettuali, da Bergonzoni e Marescotti a Roversi e Cacucci, si siano mossi con appelli e iniziative pubbliche di sostegno ai carcerati. Ne è nato ad esempio il progetto “Vernissage”, che porterà all’imbiancatura di celle che da anni non vedono pennelli.
Ma c’è anche chi, alla Dozza, agisce da tempo con iniziative culturali. Come Ausilio per la Cultura, gruppo di volontari che opera da sei anni con il supporto di Coop. Adriatica. Ha portato libri richiesti dai detenuti insieme alla biblioteca Sala Borsa. Ha organizzato, con libri donati, le tre biblioteche centrali (Penale, Giudiziario, Femminile) e altre 4 biblioteche di piano che finalmente stanno assumendo una buona “consistenza”. Qualche dato: il Penale ha circa 2000 libri, il Giudiziario 3000, il Femminile 2000, quelle di Piano circa 700 ognuna. Ed è appena partita la costituzione della sezione di libri universitari per i detenuti studenti.
Ma soprattutto, da 3 anni, c’è una manifestazione letteraria, di scrittura, dietro le sbarre: “Parole in libertà”. Non un concorso, perché Ausilio vuole la massima partecipazione da parte dei detenuti. E anche qui i numeri contano: hanno iniziato con 17 scrittori, quest’anno sono stati 39. E C@ffè letterario.Bo vi offre la possibilità di leggere alcuni testi trascritti dai volontari per far conoscere quello che si scrive alla Dozza. Riflessioni in versi e in prosa, a volte con ironia amara, che dicono cosa significhi essere dentro, e quanto “fuori” sia invocato, con la voglia di ricominciare.


carcere della DozzaSolitudine
La solitudine è considerata al giorno d’oggi come un’autentica sindrome, un male sociale, e cosa dire della morte? Una vera tragedia, queste due cose alla fin fine, vanno di pari passo, quasi in simbiosi, perché l’una può portare all’altra.
Eppure secondo me per siffatta, chiamiamola pure patologia, esiste una cura, un rimedio e di questa cura si può beneficiare in una delle cliniche più specializzata esistenti al mondo: la Dozza!
Avere la fortuna di venire ricoverati dentro la sopra citata casa di cura, nel padiglione penale, fa apparire la solitudine come un dono dal cielo, una grazia ricevuta e la morte un beneficio, una liberazione totale, perché quando si muore, si muore soli.
Per i casi più gravi, si può prescrivere il trasferimento dei pazienti nel padiglione giudiziario, in terapia intensiva.
A questo punto i risultati sono assicurati, in caso contrario si può solo diagnosticare una cronicità irreversibile alla pazzia.
Con me ha funzionato, infatti se naufragassi da solo in un’isola deserta, non considererei il fatto come una sfiga, ma in realtà come una culata pazzesca.
Se essere soli è brutto, essere in tanti è peggio. La solitudine forse rattrista, la compagnia sicuramente scoccia. Da soli si decide, in compagnia si litiga.
La solitudine fa soffrire gli stolti.
(Detenuto italiano, sezione penale)


Me ne vado
Un bel giorno me ne vado
sono stanco e stufo
lascio le stanze
i gradini delle scale
briciole e cenere
e tutto il resto avanzato
in pacchi e pacchetti
che qualcun altro aprirà.
Sull’uscio una luce
rade il cielo
lo fa calvo, concavo, orrendo.
Mi chiudo nel guscio delle palpebre
cammino e incespico
in un pacco, in un braccio teso
in un lamento che dice:
non pestarmi col piede
dammi una mano
(Detenuto italiano, sezione giudiziaria)


29 anni
In questa giungla d’acciaio e di cemento
fatta di porte, cancellli e mura,
dove si ode un continuo lamento,
tutti ad entrarvi hanno paura
Chi va e chi viene,
io resto.
A nessuno conviene
un luogo che io detesto
Chi ride chi piange,
io taccio,
per nulla si intravede
la mia libertà un laccio.
Chi spera e chi dispera,
io esaspero.
Il mondo una chimera
passa ogni dì fino al vespro
Chi ottimista e chi pessimista,
io realista.
Nel desio di una vita vissuta
Come una gara da finalista
(Detenuto stranierio, sezione giudiziaria)
carcere della Dozza

Un gatto senza Dio
Il gatto,
forse un Dio ce l’ha, non come me, che sto perennemente spettinato sulle porte del tempo ad aspettare un cambio di stagione.
Una pioggia che non piove, un sole che si porti via tutto l’inverno.
Io che sembro finirci apposta in quei punti dove tira più forte il vento contrario, per lisciarmi il cuore e l’anima.
Sono certo, un gatto un Dio ce l’ha, non come me che misuro la distanza tra una carezza ed un balzo, in bilico sui tetti che illudono il cielo, io cerco dentro al mio cuore chiedendo ad una lisca di pesce il peso specifico della luna.
(Detenuto italiano, sezione penale)


2 novembre
se il giorno dei morti c’è il sole,
fan festa anche i morti!
Attenti, assorti, ascoltan le preghiere dei vivi
ma quando vien l’ora di partire,
son loro che piangono piano
per non fari sentire
(Detenuto italiano, sezione penale)

(Il corpo si logora)
Il corpo si logora
in 1000 frantumi
li ricucirò
uno per volta e ne farò
un abito invidiabile
(Detenuta donna, italiana)
(È come morire)
È come morire,
avere un cappio al collo,
ti manca il respiro.
Il cuore ti pulsa a mille e il
panico ti prende dentro.
Solo sbarre
divise,
orari strani che compongono la giornata
è un pezzo di vita che ti portano via.
Ogni respiro nel vale mille
e allora dentro hai voglia di urlare,
ma neanche quello puoi fare,
non puoi fare nulla,
solo respirare.
(Detenuta donna, italiana)
(foto di Roberto Serra)


fonte: http://caffeletterario-bologna.blogautore.repubblica.it/

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