sabato 15 gennaio 2011

'La mia vita dentro': memorie di un direttore penitenziario

Le riflessioni e la testimonianza unica di Luigi Morsello: 36 anni vissuti in 22 istituti di pena italiani, attraversando le rivolte dei detenuti degli anni '70, la minaccia degli 'anni di piombo', fino alla piaga del sovraffollamento.

Fonte: Immagine dal web
"Non mi era mai accaduto, ma adesso la sera,quando vado a letto, tardissimo, la luce spenta, mi scorre nella mente un film disordinato: la mia vita per tanti, tantissimi anni. Chi dirige un carcere, chi dirigeva un carcere, non ha, non aveva, vita privata. (..) Un direttore di carcere – ma in realtà non so se capita anche ad altri: non l'ho mai chiesto – vede sfilare nei suoi ricordi facce, storie, divise, sbarre, manette, agenti e detenuti. Soprattutto detenuti. Come fosse una galleria di ritratti. Una mostra del passato".

I mille volti delle anime malconce passate per i penitenziari da lui diretti, sono fissi nel ricordo con cristallina nitidezza. Un singolare omaggio a chi ha pagato e paga ancora, ma anche un percorso a ritroso per riconoscere errori e mancanze del proprio operato. 

Nel libro 'La mia vita dentro' (Infinito edizioni), Luigi Morsello classe 1938, ispettore generale dell'amministrazione penitenziaria, oggi in pensione, racconta il carcere come zona d'ombra di un'affollata solitudine; un'isola in cui chi dirige deve avere l'abilità (qualche volta senza riuscirci) di orchestrare destini, dolori e riscatto con i freddi carteggi della legge e dei suoi rappresentanti. Un mestiere che può togliere il sonno per anni. 
Sulla pagina, memorie e riflessioni di Morsello hanno trovato il rigore della narrazione cronologica, che giudica, con amara presa di coscienza, la deriva di un sistema penitenziario alle corde. Il suo volume è un diario di viaggio unico, un ritorno di memoria necessario perché attuale. Ma per scriverlo ci è voluta la pressante sollecitazione di Roberto Ormanni, giornalista e co-curatore del volume, insieme a Francesco De Filippo, che ha avertito come i tempi fossero maturi, e azzeccati, per realizzare qualcosa mai tentato prima: far parlare un mondo dolente e malato attraverso la penna di chi lo ha diretto tanto a lungo e così intensamente, da tentare il suicidio.  

"Avrei potuto scrivere questo libro molto tempo fa - spiega Morsello -, ma ero troppo impegnato a fare il direttore. Poi, quando il tempo me lo ha concesso, il materiale era divenuto così copioso, che non avrei saputo dove mettere le mani. A salvarmi è arrivato il prezioso aiuto dei curatori del volume".  

Dopo 36 anni di servizio, dal 1969 al 2005, in un istituto minorile, sette case di reclusione e missioni come funzionario dirigente in altri 22 penitenziari della Penisola, un direttore 'scomodo', come lui stesso si definisce, ha deciso di ripercorre la sua vita professionale con schietta trasparenza, cadenzata anche da tragiche tappe esistenziali. Propulsiva l'urgenza di testimoniare quasi un quarantennio di storia italiana turbolenta e ferita, paradossalmente capace, lascia intendere l'autore, di rivendicazione e mobilitazione più di quanto si sappia fare oggi.   

Il libro, in quest'ottica, sembra agganciarsi con straordinaria tempestività al recente e accorato appello del Sindacato dei direttori penitenziari (Si.di.pe), a non lasciare sola la categoria nel guado del sovraffollamento carcerario, giunto ad un livello di allarme mai sfiorato prima. La piaga delle galere che scoppiano è una bomba destinata ad esplodere con una violenza che, a detta di Morsello, oggi viene sottovalutata. 

"È un pianeta ormai fuori controllo – spiega -, soggetto a leggi che non ne garantiscono il buon funzionamento, e ne acuiscono mali ormai divenuti endemici. Siamo destinati a veder tornare le rivolte carcerarie che precedettero la riforma della metà degli anni '70, quando si invocavano i 'permessi premiali' – pronostica-, ma stavolta le conseguenze potrebbero essere molto più devastanti, la corda si sta per spezzare. I campanelli di allarme sono i numerosi suicidi e le morti sospette, che evidenziano la quasi totale incapacità e impossibilità di gestire i detenuti nella situazione di sovraffollamento: su oltre 200 istituti penitenziari, dubito che funzioni davvero più del 10 per cento".

Primo passo, suggerito da Morsello, quello di sfoltire il codice penale di almeno 200 reati, pensando ad ammende economiche in un contesto in cui "la magistratura deve occuparsi di reati di bassissimo allarme sociale, che vanno a intasare le celle di persone spesso povere, come immigrati e tossicodipendenti, senza possibilità di pagarsi un buon avvocato. Nel 2012 si arriverà a 80mila detenuti. Il reato di clandestinità ha aggravato in modo drammatico la situazione".

"Soprattutto – aggiunge Morsello - occorrono urgentemente nuove risorse e personale adeguato (psicologi, volontari, medici) a sostegno del percorso di risocializzazione dei detenuti, le cui condizioni sono da terzo mondo: un penitenziario dovrebbe prevedere almeno 9 metri quadrati a detenuto, e comunque una capienza massima di 200-300 detenuti".

Diritti che, per l'ex direttore, passano anche per le tanto discusse 'stanze dell'amore', "certamente da regolamentare, con l'accesso consentito solo alle coppie sposate - precisa Morsello -, ma che senza dubbio renderebbero più dignitosa ed equilibrata l'esistenza nella restrizione della libertà. La rabbia alimentata dalla carenza di spazio vitale e diritti potrebbe esplodere dentro e fuori il carcere, anche una volta scontata la pena. E questa non è la rieducazione che teoricamente un penitenziario civile si propone di fornire".

Il passato dovrebbe essere capace di insegnare molto, secondo Luigi Morsello, perché lui, di questa storia, è stato uno dei protagonisti. 'La mia vita dentro' racconta i retroscena delle rivolte del 1974 e del 1977 a San Gimignano, l'evasione di Gianni Guido, la sezione speciale a Gorgona voluta dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, le guardie carcerarie col whisky e le sfide per gestire il primo carcere dotato di computer. Sullo sfondo, gli anni di piombo ("in cui – ricorda l'autore- eravamo tutti preda della 'sindrome da accerchiamento. Nessuno sapeva quando e come sarebbe stato colpito dalla mano armata delle Br'), il sequestro Moro, l'assassinio di agenti di custodia e funzionari dello Stato, i processi agli esponenti delle Br.

La strada è stata lunga. Abbastanza lunga anche per capire, sottolinea l'autore, "che gli agenti penitenziari avrebbero bisogno di maggiore formazione per sostenere i ritmi e le atmosfere di un carcere, in grado di essere non solo custodi, ma anche garanti di un percorso di pena giusto e nel contempo umano. La rieducazione non è e non deve essere considerata un'utopia – conclude Luigi Morsello -, gli strumenti ci sono. Non usarli sarebbe un fallimento disastroso". 



Fonte: NanniMagazine

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