mercoledì 26 gennaio 2011

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- E Stato Morto un Ragazzo - Federico Aldrovandi -


        


                     


La notte del 25 settembre 2005, dopo una notte brava a Bologna, il diciottenne Federico Aldrovandi rientra a Ferrara, saluta gli amici e si incammina verso casa. Alle 7 del mattino, i genitori, preoccupati per il suo mancato ritorno, tentano di chiamarlo ma il suo cellulare squilla a vuoto, finché non risponde un ispettore di polizia, dichiarando che le forze dell'ordine stanno effettuando degli accertamenti. Solo cinque ore dopo la famiglia Aldrovandi viene a sapere la verità sul figlio: Federico è morto sotto gli occhi della polizia. Le cause del decesso restano ambigue e i due coniugi Aldrovandi vogliono fare chiarezza. Se la Storia fa fatica a trovare le sue verità, l'identità di uno stato civile resta spesso celata dietro la benda e la bilancia mal calibrata della Giustizia. Il caso di Federico Aldrovandi si colloca esattamente a metà tra i fatti del G8 di Genova 2001 (piazza Alimonda e scuola Diaz) e la morte di Stefano Cucchi del 2009, e con essi disegna i contorni di qualcosa di terribile e disarmante solo per il fatto di poterle dare un nome: violenza di stato. Le dinamiche di quella notte di primo autunno restano ancora piuttosto oscure (Aldrovandi era solo quando i vicini hanno avvertito la polizia? Si è davvero sentito male prima che intervenissero le autorità?), ma resta un fatto, stabilito dal tribunale di Ferrara il 6 luglio 2009: l'intervento della squadra mobile ha determinato lo schiacciamento del torace del giovane e l'insufficienza respiratoria che ne ha causato la morte. A proposito dei dubbi e delle oscurità irrisolte della storia, si è grati a Filippo Vendemmiati di evitare le macabre rappresentazioni delle ipotesi tipiche dei salotti televisivi e di limitare le ricostruzioni ad alcune sequenze che riguardano la nascita del blog della madre del ragazzo e al coinvolgimento degli attori dell'Arena del Sole di Bologna per interpretare certi atti del processo e alcuni carteggi privati. A proposito delle certezze, invece, il documentario utilizza una struttura narrativa per inserire in una cornice forte e coinvolgente sia il fatto che il messaggio. È stato morto un ragazzo segue un andamento da legal thriller, ripercorrendo con un certo rigore cronologico la crociata della famiglia Aldrovandi, l'evoluzione delle indagini, le immagini del processo, le verità su intercettazioni e insabbiamenti. Ogni tanto Vendemmiati si lascia prendere la mano dal linguaggio della videoinchiesta, inserendo effetti di disturbo o di sovrapposizione “flou” delle immagini della retorica da prime time. Ma l'incalzante resoconto conserva il pregio di essere accurato sotto il profilo della deontologia giornalistica e il “difetto” di risultare insostenibile per qualunque coscienza civica propriamente detta. Nella confusione grammaticale del titolo è perfettamente sintetizzato questo senso di smarrimento e di rabbia verso chi si permette di confondere la transitività dell'uccidere con l'intransività del morire. A morire si è sempre soli, per uccidere si è sempre almeno in due: una vittima e un carnefice

sabato 22 gennaio 2011



 Un ringraziamento particolare
meritano le due guardie carcerarie 
addette ai colloqui.
Accolgono i parenti dei detenuti
con cortesia, correttezza, professionalità e riservatezza.

Grazie.

A proposito di "domandina"



                                                                                         Lettera di L. da Pontedecimo


Generi di monopolio

Buone nuove dal CARCERE ROSA:

I PREZZI DEI GENERI DI MONOPOLIO SONO ADEGUATI ALLO STANDARD STABILITO!




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COLLOQUI MESE DI FEBBRAIO (DONNE):


mercoledì 2
sabato 5
lunedì 7
giovedì 10
mercoledì 16
sabato 19
lunedì 21
giovedì 24


venerdì 21 gennaio 2011

"Le ali della libertà" - discorso di Red alla Commissione per la libertà vigilata



... "Riabilitato? Dunque, mi lasci pensare.


 A dire il vero non so cosa significa questa parola (...) per me è solo una parola vuota, una parola inventata dai politici in modo che un giovane come lei possa indossare una cravatta e avere un lavoro.


 Che cosa volete sapere?
 Se mi dispiace per quello che ho fatto?


 Non passa un solo giorno senza che io provi rimorso, non perché sono chiuso qui dentro e perché pensate che dovrei.


 Mi guardo indietro e vedo com'ero allora: un giovane stupido ragazzo che ha commesso un crimine terribile.
 Vorrei parlare con lui, vorrei cercare di farlo ragionare, spiegargli come stanno le cose, ma non posso: quel ragazzo se n'è andato da tanto e questo vecchio è tutto quello che rimane e nessuno può farci niente.


 Riabilitato?
 Non significa un cazzo!
 Quindi scriva pure quello che vuole nelle sue scartoffie e non mi faccia perdere altro tempo perché, a dire la verità, non me ne frega niente."


Doverosa rettifica

Abbiamo appurato che

 non solo i prodotti di "Bottega Verde"

vengono accettati in carcere

 ma quelli di qualsiasi linea
 PURCHE' PROVENIENTI DIRETTAMENTE DALLA DITTA, integri quindi ed immuni da qualsiasi manipolazione.

Ci scusiamo per il falso allarme trasmesso.



giovedì 20 gennaio 2011

Ma che bella giornata!

La giornata tipo

La vita in carcere è regolata principalmente dall’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354) e dal regolamento di esecuzione (D.P.R. 30 giugno, n. 230). Nel rispetto delle regole generali, ogni istituto ha tuttavia un margine di autonomia nell’organizzazione delle attività quotidiane. Quella che segue è da intendere pertanto come una descrizione indicativa di una giornata tipo all’interno di un carcere: orari delle attività, dei pasti ed altre regole interne possono cambiare a seconda degli istituti. Limitazioni particolari sono inoltre stabilite per i detenuti sottoposti al regime detentivo previsto dall'art. 41 bis ord. penit., al regime di sorveglianza particolare (art. 14 bis ord. penit.) e all'isolamento giudiziario, sanitario o in esecuzione della sanzione di esclusione dalle attività comuni.

I primi ad alzarsi in carcere sono i detenuti lavoranti della cucina e delle pulizie che vengono svegliati dagli agenti alle 6,00 e lasciano le stanze alle 6,30. Circa un’ora dopo avviene la conta dei detenuti, ovvero il controllo numerico dei presenti.
Fra le  7,30 e le 8,30 viene distribuita la colazione dai portavitto, lavoranti addetti alla consegna dei tre pasti quotidiani forniti dall’amministrazione. Segue una rapida ricognizione da parte degli agenti per verificare se qualcuno dei detenuti ha particolari necessità, soprattutto di carattere sanitario. Vengono raccolte le domandine, richieste alla direzione, compilate su appositi moduli, di svariate autorizzazioni, dai colloqui con gli operatori (direttore, comandante responsabile dell’Ufficio comando, responsabile dell’ufficio matricola, educatore, assistente sociale, psicologo, cappellano, assistenti volontari), all’acquisto  di prodotti non compresi nell’elenco della spesa, al prelievo di libri della biblioteca. I detenuti provvedono direttamente alla pulizia delle camere e dei relativi servizi igienici.
Attorno alle 8,30 le celle vengono aperte per i detenuti che frequentano le attività trattamentali(scolastiche, culturali, sportive, ricreative) o che escono per i passeggi, permanenza all'aria aperta della durata di almeno un'ora.
La fascia oraria di attività mattutina dura all’incirca tre ore. Al termine i detenuti rientrano nelle loro stanze per consumare il pranzo. Il menù viene compilato in base a tabelle vittuarie approvate con decreto ministeriale (art. 9 ord. penit.) e comprende generalmente un primo piatto, un secondo e un contorno, con alternative per  persone che hanno particolari esigenze dietetiche o religiose. Molti detenuti consumano solo parte del cibo distribuito dall’amministrazione ed  acquistano a spese proprie presso il sopravvitto (spaccio gestito direttamente dall’amministrazione carceraria) alimenti ed altri generi (detersivi, cartoleria, sigarette, etc.). In ogni sezione dell’istituto è disponibile una lista di prodotti che è possibile acquistare. In presenza di particolari motivi, tramite domandina si può chiedere l’acquisto di prodotti non presenti nell’elenco.
Alcuni tipi di alimenti possono essere portati o spediti anche dalle persone autorizzate ai colloqui. In ogni istituto è disponibile un elenco degli alimenti e di altri generi ammessi.
Gli acquisti vengono effettuati tramite il denaro che i detenuti hanno su un libretto di conto corrente interno. Gli alimenti acquistati vengono cucinati con un fornello a gas, tipo camping, anch’esso in vendita al sopravvitto. Ogni detenuto può spendere al massimo, 424 Euro al mese (106 Euro la settimana), per acquistare tutti i prodotti inseriti nell’elenco della spesa, quelli tramite domandina, per spedire telegrammi ed effettuare telefonate.
Dopo il pranzo, in genere attorno alle 13,30 i detenuti possono lasciare di nuovo le stanze per frequentare le attività pomeridiane e, al loro termine, possono recarsi nella sala comune per dedicarsi ad attività sociali o ricreative.
Attorno alle diciotto inizia la distribuzione della cena che si consuma verso le 19 con le stesse modalità del pranzo. I detenuti sono autorizzati a fare socialità , vale a dire a consumare insieme i pasti in un numero limitato di persone.
In media i detenuti trascorrono circa 20 ore in cella. Se lo spazio lo consente, in molti istituti è possibile dedicarsi in stanza alla pittura o a piccole attività di hobbistica e può essere autorizzato l’uso del computer portatile.

Dal sito ufficiale del MINISTERO DELLA GIUSTIZIA - itinerari a tema






sabato 15 gennaio 2011

'La mia vita dentro': memorie di un direttore penitenziario

Le riflessioni e la testimonianza unica di Luigi Morsello: 36 anni vissuti in 22 istituti di pena italiani, attraversando le rivolte dei detenuti degli anni '70, la minaccia degli 'anni di piombo', fino alla piaga del sovraffollamento.

Fonte: Immagine dal web
"Non mi era mai accaduto, ma adesso la sera,quando vado a letto, tardissimo, la luce spenta, mi scorre nella mente un film disordinato: la mia vita per tanti, tantissimi anni. Chi dirige un carcere, chi dirigeva un carcere, non ha, non aveva, vita privata. (..) Un direttore di carcere – ma in realtà non so se capita anche ad altri: non l'ho mai chiesto – vede sfilare nei suoi ricordi facce, storie, divise, sbarre, manette, agenti e detenuti. Soprattutto detenuti. Come fosse una galleria di ritratti. Una mostra del passato".

I mille volti delle anime malconce passate per i penitenziari da lui diretti, sono fissi nel ricordo con cristallina nitidezza. Un singolare omaggio a chi ha pagato e paga ancora, ma anche un percorso a ritroso per riconoscere errori e mancanze del proprio operato. 

Nel libro 'La mia vita dentro' (Infinito edizioni), Luigi Morsello classe 1938, ispettore generale dell'amministrazione penitenziaria, oggi in pensione, racconta il carcere come zona d'ombra di un'affollata solitudine; un'isola in cui chi dirige deve avere l'abilità (qualche volta senza riuscirci) di orchestrare destini, dolori e riscatto con i freddi carteggi della legge e dei suoi rappresentanti. Un mestiere che può togliere il sonno per anni. 
Sulla pagina, memorie e riflessioni di Morsello hanno trovato il rigore della narrazione cronologica, che giudica, con amara presa di coscienza, la deriva di un sistema penitenziario alle corde. Il suo volume è un diario di viaggio unico, un ritorno di memoria necessario perché attuale. Ma per scriverlo ci è voluta la pressante sollecitazione di Roberto Ormanni, giornalista e co-curatore del volume, insieme a Francesco De Filippo, che ha avertito come i tempi fossero maturi, e azzeccati, per realizzare qualcosa mai tentato prima: far parlare un mondo dolente e malato attraverso la penna di chi lo ha diretto tanto a lungo e così intensamente, da tentare il suicidio.  

"Avrei potuto scrivere questo libro molto tempo fa - spiega Morsello -, ma ero troppo impegnato a fare il direttore. Poi, quando il tempo me lo ha concesso, il materiale era divenuto così copioso, che non avrei saputo dove mettere le mani. A salvarmi è arrivato il prezioso aiuto dei curatori del volume".  

Dopo 36 anni di servizio, dal 1969 al 2005, in un istituto minorile, sette case di reclusione e missioni come funzionario dirigente in altri 22 penitenziari della Penisola, un direttore 'scomodo', come lui stesso si definisce, ha deciso di ripercorre la sua vita professionale con schietta trasparenza, cadenzata anche da tragiche tappe esistenziali. Propulsiva l'urgenza di testimoniare quasi un quarantennio di storia italiana turbolenta e ferita, paradossalmente capace, lascia intendere l'autore, di rivendicazione e mobilitazione più di quanto si sappia fare oggi.   

Il libro, in quest'ottica, sembra agganciarsi con straordinaria tempestività al recente e accorato appello del Sindacato dei direttori penitenziari (Si.di.pe), a non lasciare sola la categoria nel guado del sovraffollamento carcerario, giunto ad un livello di allarme mai sfiorato prima. La piaga delle galere che scoppiano è una bomba destinata ad esplodere con una violenza che, a detta di Morsello, oggi viene sottovalutata. 

"È un pianeta ormai fuori controllo – spiega -, soggetto a leggi che non ne garantiscono il buon funzionamento, e ne acuiscono mali ormai divenuti endemici. Siamo destinati a veder tornare le rivolte carcerarie che precedettero la riforma della metà degli anni '70, quando si invocavano i 'permessi premiali' – pronostica-, ma stavolta le conseguenze potrebbero essere molto più devastanti, la corda si sta per spezzare. I campanelli di allarme sono i numerosi suicidi e le morti sospette, che evidenziano la quasi totale incapacità e impossibilità di gestire i detenuti nella situazione di sovraffollamento: su oltre 200 istituti penitenziari, dubito che funzioni davvero più del 10 per cento".

Primo passo, suggerito da Morsello, quello di sfoltire il codice penale di almeno 200 reati, pensando ad ammende economiche in un contesto in cui "la magistratura deve occuparsi di reati di bassissimo allarme sociale, che vanno a intasare le celle di persone spesso povere, come immigrati e tossicodipendenti, senza possibilità di pagarsi un buon avvocato. Nel 2012 si arriverà a 80mila detenuti. Il reato di clandestinità ha aggravato in modo drammatico la situazione".

"Soprattutto – aggiunge Morsello - occorrono urgentemente nuove risorse e personale adeguato (psicologi, volontari, medici) a sostegno del percorso di risocializzazione dei detenuti, le cui condizioni sono da terzo mondo: un penitenziario dovrebbe prevedere almeno 9 metri quadrati a detenuto, e comunque una capienza massima di 200-300 detenuti".

Diritti che, per l'ex direttore, passano anche per le tanto discusse 'stanze dell'amore', "certamente da regolamentare, con l'accesso consentito solo alle coppie sposate - precisa Morsello -, ma che senza dubbio renderebbero più dignitosa ed equilibrata l'esistenza nella restrizione della libertà. La rabbia alimentata dalla carenza di spazio vitale e diritti potrebbe esplodere dentro e fuori il carcere, anche una volta scontata la pena. E questa non è la rieducazione che teoricamente un penitenziario civile si propone di fornire".

Il passato dovrebbe essere capace di insegnare molto, secondo Luigi Morsello, perché lui, di questa storia, è stato uno dei protagonisti. 'La mia vita dentro' racconta i retroscena delle rivolte del 1974 e del 1977 a San Gimignano, l'evasione di Gianni Guido, la sezione speciale a Gorgona voluta dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, le guardie carcerarie col whisky e le sfide per gestire il primo carcere dotato di computer. Sullo sfondo, gli anni di piombo ("in cui – ricorda l'autore- eravamo tutti preda della 'sindrome da accerchiamento. Nessuno sapeva quando e come sarebbe stato colpito dalla mano armata delle Br'), il sequestro Moro, l'assassinio di agenti di custodia e funzionari dello Stato, i processi agli esponenti delle Br.

La strada è stata lunga. Abbastanza lunga anche per capire, sottolinea l'autore, "che gli agenti penitenziari avrebbero bisogno di maggiore formazione per sostenere i ritmi e le atmosfere di un carcere, in grado di essere non solo custodi, ma anche garanti di un percorso di pena giusto e nel contempo umano. La rieducazione non è e non deve essere considerata un'utopia – conclude Luigi Morsello -, gli strumenti ci sono. Non usarli sarebbe un fallimento disastroso". 



Fonte: NanniMagazine
Richiesta intervento in tutela della salute
Modulo:
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 Alla cortese attenzione della Confederazione dei Centri liguri per la tutela dei diritti del malato

Dati del mittente :
Nome:
Cognome:
Indirizzo :
Tel:
email:

Centro destinatario : Genova san Martino

Oggetto della segnalazione:
Azienda Ospedaliera ASL n° 3 genovese
Azienda sanitaria locale : servizio sanitario – Carcere …..........................
Ubicazione ambulatorio : Carcere …...............- Genova Via ….....................................

In ottemperanza alla vigente normativa in materia di tutela delle persone rispetto al trattamento dei dati personali (DLGS 30/06/'03 n°106) per interventi presso i responsabili delle strutture ospedaliere, extraospedaliere, enti, al fine della risoluzione del caso sottoposto, autorizzo la Confederazione per la tutela dei diritti del malato a trattare il caso esposto per la soluzione del problema sanitario corrente:




















Data:........................................................ Firma :...........................................................

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Come già comunicato, il modulo deve essere inviato, via email, fax o raccomandata a :
CONFEDERAZIONE DEI CENTRI LIGURI PER LA TUTELA DEI DIRITTI DEL MALATO
LARGO ROSSANA BENZI 10 - 16132 GENOVA
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Invito tutti coloro che hanno parenti ed amici detenuti nelle carceri di Genova ad inviare il modulo affinchè possano segnalare le necessità, i disguidi ed i ritardi relativi agli interventi sanitari.

Ricordo a tutti i genitori che possono firmare il modulo nel caso in cui il proprio figlio detenuto fosse impossibilitato a farlo o nel caso in cui si ravvisi un'emergenza.

venerdì 14 gennaio 2011


L' emergenza carceri italiane continua: il piano Alfano pare produca strani suicidi e troppi morti . 127 da inizio anno
E siamo a quota 127 . Tanti sono i detenuti morti in quest’anno nelle carceri italiane . E tra questi ben 47 sono suicidi e, è bene dirlo subito, molto spesso la linea tra suicidio e “incidente” si assottiglia sempre di più, fino quasi a scomparire del tutto.
Lo sappiamo: in Italia l’ emergenza carceri è un problema forte, annoso, duraturo. Si è detto tanto, ma fatto molto poco e male. Basti pensare all’indulto ideato da Clemente Mastella durante il Governo Prodi , il cui “casus belli ”, sì, era l’esigenza di svuotare le carceri, ma poi sappiamo bene com’è andata a finire e chi in realtà ha beneficiato del provvedimento: ben 25 politici condannati in via definitiva. Tra questi ricordiamoMassimo Berruti (favoreggiamento), Vito Bonsignore (corruzione), Mario Borghezio (incendio aggravato),Paolo Cirino Pomicino (corruzione e finanziamento illecito), Maurizio De Angelis (banda armata e associazione sovversiva) e tanti altri.
Senza dimenticare, chiaramente, Cesare Previti (pregiudicato per corruzione giudiziaria). Insomma, un provvedimento nato e fatto ad uso e consumo dei colletti bianchi (ne hanno beneficiato anche altri gentiluomini del nostro Bel Paese, da Moggi a Wanna Marchi , da Consorte a Fiorani , fino a Ricucci ).
E in questa legislatura? Tanti sono stati i proclami e i bandi di presunti interventi da parte del Governo, con in testa il Ministro della Giustizia. “ Alfano : al via Piano di edilizia carceraria studiato con Matteoli ” (Corriere della Sera, 7 novembre 2008); “ Ionta nominato Commissario Straordinario per l’Edilizia penitenziaria ” (Italia Oggi, 23 gennaio 2009); “ Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al Piano Carceri ” (La Repubblica, 23 gennaio 2009).
La realtà dei fatti, invece, è ben diversa. Proprio ieri, a Potenza, la Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria ( SAPPE ) ha denunciato la situazione allarmante delle carceri italiane, in quanto si è raggiunto il numero più alto di detenuti mai registrato: nelle oltre 200 carceri del nostro Paese si è arrivati a 68.749 detenuti. E il trend non lascia speranze: ne arrivano 800 in più ogni mese.
La proposta di Alfano sembrerebbe essere quella di investire 1,4 miliardi di euro per 24 nuovi istituti, applicando il sistema (ormai famoso) delle emergenze e dunque, si pensa, affidando il tutto a Guido Bertolaso . Ma secondo molti questo non è sufficiente: il problema è interno al sistema penitenziario italiano. Basti pensare, ad esempio, che circa la metà resta in carcere solo poche ore o pochi giorni perché in attesa soltanto della sentenza; gravi responsabilità sono imputabili anche alla ex Cirielli , la quale non solo prevedeva il dimezzamento dei termini di prescrizione (Berlusconi e Previti ringraziano), ma anche maggiore severità per i recidivi, con la conseguenza che un terzo dei detenuti sono tossicodipendenti beccati due volte (o anche tre) in cerca di una dose per uso personale.
Il problema che tuttavia oggi appare il più grave è l’ assoluta mancanza di manutenzione , per via della carenza di organico. Una situazione che favorisce scontri, violenze, suicidi . Il tutto acuito dal fatto che il nostro sistema carcerario è un sistema retrogrado, per il quale i detenuti sono in cella quasi 24 ore su 24 e soltanto pochi hanno la possibilità di lavorare. Una vera e propria bomba ad orologeria.
GUARDA IL VIDEO " DENTRO - UN VIAGGIO NELLE CARCERI D'ITALIA "

Una speranza...per tutte

 La Confederazione dei Centri Liguri per la tutela dei diritti del malato (San Martino - Genova)

OSPEDALE SAN MARTINO
Largo Rosanna Benzi 10 - 16132 Genova
Telefono : 0105553512 - 010352690 (tel/fax)
E-mail : dirittimalato@tiscalinet.it
Orario Ricevimento :
Lunedì, Martedì, Mercoledì, Giovedì, Venerdì - 09.30/11.30
Segretario : Dott. Corrado Canestrelli
Locazione sede : entrata principale ospedale


CONFEDERAZIONE DEI CENTRI LIGURI 
PER LA TUTELA 
DEI DIRITTI DEL MALATO- Maria Chighine - ONLUS
ON LINE

é particolarmente attenta alle segnalazioni in merito.
Risponde prontamente alle email e contatta via telefonica chi si rivolge ad essa.


SEGNALAZIONI E RECLAMI

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Azienda Ospedaliera / Azienda Sanitaria Locale

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Se intende portare avanti le sue rimostranze attraverso la nostra Associazione è necessario che, oltre alla segnalazione nel sottostante riquadro, invii per posta  i suoi dati personali 

( Nome, Cognome, Indirizzo, N° di telefono) scrivendo anche quanto segue: "In ottemperanza alla vigente normativa in materia di tutela delle  persone rispetto al trattamento dei dati personali (DLGS 30/06/03 n° 196) il sottoscritto dichiara di prestare il proprio consenso al  trattamento dei dati personali per interventi presso i responsabili  delle strutture ospedaliere, extraospedaliere, enti, al fine della  risoluzione del caso sottoposto. Per lo svolgimento di questi interventi il nostro consenso comprende l'ottenimento e la ricezione da parte vostra di tutte le informazioni e i dati che le strutture di cui  sopra dovranno darvi per la soluzione del caso sottoposto".
Ciò in ottemperanza all'obbligo di  sottoscrivere la Sua segnalazione con firma autografa non elettronica e ottemperare alla legge sulla privacy.

In alternativa può avvisare il centro interessato anche mediante 
modulo cartaceo
, da spedire tramite posta, o via telefonica.
ASSISTENZA LEGALE
Nel caso in cui dopo un accurato esame della documentazione presentata dal paziente al nostro Centro (cartelle cliniche, esami diagnostici etc), siano emersi elementi sufficienti e probatori per un possibile reclamo per danni subiti, dopo aver consultato ed ottenuto un parere medico-legale da un perito di nostra fiducia, il paziente verrà avviato ad uno studio legale per consulenza ed eventuale azione legale di tutela per il risarcimento del danno. Per maggiori dettagli chiamare la Sede Regionale presso l’Ospedale San Martino.