mercoledì 11 gennaio 2012

l’urlo di antonietta ingravallo.. dal carcere di lecce


Ingravallo Antonietta è un’altra delle detenute del carcere di Lecce che hanno scelto di uscire allo scoperto e raccontare la loro vicenda su questo Blog, o anche solo denunciare un fatto concreto o condividere qualcosa.
Antonietta ci scrive perchè le è stato parlato di un blog “che presta particolare attenziona agli abusi perpetrati dai tribunali italiani nei confronti di chi è solo e senza alcun tipo di risorse”. Diciamo che il nostro Blog fra le cose verso cui ha attenzione (e sono molteplici) ricomprende pure quella che ha indicato Antonietta.  Ormai sappiamo da un pezzo che nel nostro sistema vige una differenza di trattamento intollerabile, tra chi è dotato di mezzi e conoscenze, e chi non lo è, e viene trattato spesso con brutalità, alterigia, diffidenza. Chi non può difendersi diventa l’oggetto dello scatenamento del diritto in tutto il suo rigore. Quasi a compensare l’indulgenza che si attua nei confronti di detenuti di altri ceti sociali, o capaci, in qualche modo di difendersi.
Da due mesi Antonietta non sa nulla della figlia. E gli assistenti sociali, ed ogni altro operatore non hanno finora risposto a nessuna sollecitazione.
Il distacco dalla figlia è il cuore della lettera.
Ma questa lettera ricostruisce tutto un contesto vitale. Un contesto di grandissimo dolore e sofferenza. Una vita tormentata fin dai primi passi, quando la madre di Antonietta,  la “rinchiude”, quando lei aveva otto anni, in un istituto gestito da suore ( a volte certi istituti ecclesiastici per bambini si sono rivelati più intollerabili di molti carceri).  Fin da piccola chiusa in un istituto. Che infanzia si può avere così. Sposatasi giovanissima, e costretta dopo poco a rompere il rapporto perchè soffocata e chiusa in casa dal marito.
E costretta a ricorrere per anni alla prostituzione per mantenere se stessa e i figli che nel frattempo erano nati. E i servizi sociali che si sono svegliati adesso per prenderle l’ultima figlia, dov’erano quando lei aveva bisogno e cercava un’altra strada? Che fecero allora? L’unica cosa che fecero (a quanto racconta Antonietta) fu ridle “hai due gambe e due braccia, datti da fare”. Ricordo che all’epoca Antonietta era obesa e anche per questo le era difficilissimo trovare lavoro. E’ a monte che si deve agire, per mettere le persone in condizioni tali da non dovere subire azioni traumatiche dopo. Si deve agire in tutti i modi.. prima.. per evitare che non si debbano togliere i figli.. dopo.. infliggendo, soprattutto ai bambini, trauma su trauma. Ma dov’erano allora servizi sociali, esperti, assistenti sociali. Davvero le uniche parole che riuscirono a dirle furono.. “hai gambe e braccia, arrangiati”?
Questa donna dovette dare il suo corpo per anni per mantenere la sua famiglia. Nel corso poi di una vicenda che la portò (insieme ad altri) ad agire violentemente verso un cliente, subì una denuncia, che la portò successivamente alla condanna ad alcuni anni di detenzione. Vista la sua ultima gravidanza, le furono dati gli arresti domiciliari. Essendo lei un giorno (o alcune volte.. questo non l’ho capito) uscita al di là del perimetro stabilito dagli arresti domiciliari, questi gli sono stati revocati e il giudice ha stabilito la detenzione a tutti gli effetti, che l’ha portata al fine nel carcere di Lecce. Prima di essere trasferita a Lecce, sarà detenuta a Bari e a Foggia. E proprio a Foggia, nel corso di un incontro drammatico, la figlia le viene sottratta. Da quel momento non ha più saputo nulla di lei. Successivamente pubblicheremo anche la lettera che Antonietta ha inviato all’assistente sociale che si sta occupando del caso. La figlia gli è stata tolta il 24 ottobre del 2011, circa due mesi e mezzo fa.
E’ normale che una madre per più di due mesi non ha ricevuto una notizia sulla situazione della figlia?
E, in senso più ampio, si persegue davvero il bene del minore in tutti i casi in cui un figlio viene sottratto alla madre e destinato ad un’altra famiglia? Come vedremo scritto successivamente nella sua lettera all’assistente sociale..ci sono madri che sono sempre state irreprensibili, ma che non hanno un grande mondo affettivo. E madri con un grande cuore, anche se hanno commesso tanti errori. Non sarebbe meglio, quando è possibile, mettere in condizione quei genitori di potere svolgere degnamente il loro lavoro? Invece di togliere loro i figli, aggiungendo così, negli stessi figli, trauma su trauma.
Antonietta deve ricevere qualche risposta e in tempi non remoti. Perchè è una madre, non una cane di periferia. E dovrà esserle data la possibilità, in prospettiva anche dell’uscita dal carcere (che dovrebbe avvenire nel 2016), di potere essere messa in condizione di chiedere che la figlia possa ritornare con lei. Non si sta dicendo che le deve essere data necessariamente ragione. Si sta dicendo che dovrà essere tratta con rispetto, e le sue questioni considerate con attenzione, come se appartenesse ad uno di quei ceti che vengono sempre trattati con i guanti e con delicatezza… come se non fosse considerata tra i “figli di un dio minore”.
Ritorneremo su questa vicena. Adesso vi lascio alla lettera di Antonietta Ingravallo.
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Sono Ingravallo Antonietta, attualmente  detenuta nella casa circondariale di Lecce.
La mia compagna di cella mi ha parlato  di un Blog che presta particolare attenzione agli abusi perpetrati dai tribunali italiani nei confronti di chi  è solo e senza alcun tipo di risorse. Ho pensato così di raccontare la mia tragedia. Mi scuso per gli eventuali errori letterari ed ortografici, in quanto ho solo la quinta elementare, ma la mia speranza è quella di far conoscere  un altro tipo di errori, o meglo di orrori.
La mia storia. Avevo otto anni, quando mia mamma decise di chiudermi in un Istituto di correzione che si trova a Mola di Bari dalle suore Santa Rita, perché diceva che dovevo impegnarmi alla scuola. Ero molto testarda per la scuola. In effetti ho preso solo la quinta, perché tanti tentativi scappavo spesso dall’istituto, dove dopo ho conosciuto un ragazzo di nome D’Amico Giuseppe. Avevo 11 anni e scappai con lui, pur di non rimanere in istituto. Dopo ci siamo innamorati. Sono stata fidanzata per sei anni, e a 17 anni ho chiesto, tramite mia mamma, al Tribunale dei minori, il permesso per sposarmi. Anche perché ero rimasta incinta della mi prima figlia, Luana D’Amico. Dopo due anni di matrimonio tutto andava male, perché mio marito prima era dolce, poi  mi chiudeva in casa con la bambina, notte e giorno. Era diventato troppo geloso. Così in una occasione, venne mia mamma a trovarmi e le raccontai storia e feci l’abbandono del tetto coniugale. Ma a lui poco interessava. Tanto che passava sotto casa di mia mamma con altre donne e pretendeva la bambina. Io non gliela davo perché veniva con donne non vestite per bene, ma in maniera volgare.
Successivamente lui si è rivolto ad un avvocato, e mi fecero chiamare per arrivare ad una separazione consensuale. Ero piccola, non capivo molto di legge, e non nego che ancora oggi  non ne capisco molto di più. Comunque, vado allo studio e mi dicono di firmare delle carte. Io chiedo il perché. E l’avvocato mi risponde che era per i miei e i suoi (di mio marito) diritti. Cioè lui doveva darmi il mantenimento e io avrei avuto la bambina per la maggior parte del tempo. Lui avrebbe avuto la bambina nelle festività e farla vedere. Abbiamo firmato, ma tutto quello che era stato detto non è stato mantenuto da parte sua. Mentre io invece rispettavo i patti.
Sono andata in cerca di lavoro, ma essendo obesa, nessuno mi offriva lavoro. Forse pensavano che non mi potessi muovere. Ma non è così. Sono molto agile. A quel punto mi consigliarono di andare ai servizi sociali per chiedere aiuto, anche perché in quello stesso periodo muore mio padre, e rimango con una mamma malata ed una bimba.
Quindi ero io che dovevo pensare alla casa. Comunque, quando sono andata ai servizi sociali mi hanno risposto “hai gambe e braccia, datti da fare”. E non è servito a nulla. Andando in giro, un giorno incontrai il nipote del mio ex marito. Gli chiesi di aiutarmi. Lui  mi fece salire in macchina e mi ha fatto conoscere un luogo dove ci si prostituiva. Non nego che all’inizio tremavo, poi  vidi i soldi che mi entravano e così ho cresciuto Luana fino a 5 anni. Però questo lavoro mi faceva schifo, e cercavo altro. Così, per caso, ho conosciuto un ragazzo a un bar. Gli racconto la mia storia. E lui subito mi offre un lavoro come donna delle pulizie a casa sua. Mi porta  e mi fa vedere dove stanno i detersivi, ecc. Dopo un mese, lui mi chiese se volevo stare con lui. E così dopo due mesi rimango incinta di un bambino che chiamammo Nicola. Alla nascita di Nicola, lui si presenta in ospedale, e mi dice che non ha più un lavoro. Ed è di nuovo tragedia. Lui verrà anche arrestato. Io non ho mai saputo il suo lavoro, ma mi hanno detto che aveva spacciato fumo. Io dovetti mantenerlo anche i n carcere, e mi ritrovai di nuovo sulla strada.
Ma mente lui era carcerato, e mancavano pochi mesi, mi innamoro di un altro ragazzo, Michele. Ma non lasciai Francesco, finché non uscì di galera. Dopo che uscì, gli dico la verità e mi misi con questa nuova persona. Non avevo lasciato la mia attività sulla strada, anzi anche Michele veniva con me. Ma il rapporto si ruppe presto, perché lui era troppo puttaniere. Dopo avere cresciuto i miei due figli per 8 anni tramite ciò che ricavavo con la prostituzione, i servizi sociali decidono di mettere i miei figli in una casa famiglia. Mi chiedono se voglio andare con loro. Io, infatuata da Michele, che mi dice che me li avrebbero ritornati indietro, faccio un grande errore, che mi fa perdere la potestà genitoriale.
Ormai disperata e per la strada, dopo anni, incontro un altro ragazzo di nome Vincenzo, che mi ospita a casa sua, anche perché mia mamma mi aveva cacciato di casa. Lui aveva il vizio della cocaina e io, per avere un letto, gli davo 50 euro al giorno. Ma un giorno pioveva, e lui  mi offrì la sua macchina per il lavoro. Lui si sdraiò dietro per non farsi vedere dai clienti. Io trovai un cliente. Era buio, scesi dalla macchina e andai nella macchina del cliente. Gli chiesi 30 euro, ma nel buio non mi accorsi che me ne aveva dati 15. Così tornai indietro e dissi al cliente che si era sbagliato, ma il cliente rispose con aria minacciosa che quelli bastavano. Enzo, che era in macchina, aveva sentito la discussione. Scese dalla macchina, picchiò il cliente, gli prese il portafoglio e io sto scontando tre anni di rapina per lui.  Lui successivamente si trovò a scontare una pena in carcere, ma è stato trovato morto nel dicembre del 2011. Sembra difficile che si sia ammazzato, in quanto andava anche in permesso. Ora faranno l’autopsia nella C.C. di Taranto.
Comunque, prima di essere arrestata per quel reato, conobbi un ragazzo non italiano, ma rumeno. Questo ragazzo mi chiese di prendere un caffè insieme, e così gli raccontai tutto di me. Lui mi chiese se volessi essere la sua ragazza per gioco. Io ci sono stata. Ma al di là del gioco, è nato l’amore. Però mi disse chiaramente che non dovevo andare con altre persone. Mi ha tolto dalla strada. E’ un ragazzo dolcissimo. Dopo tre mesi rimango incinta di Asia, la mia principessa, nata a marzo del 2011. Dopo i nove mesi di gravidanza, mi mettono agli arresti domiciliari, perché ero incinta. Mio marito non mi ha mai abbandonata fino ad oggi. Una volta nata Asia, mi sentivo un po’ chiusa per non potere andare da nessuna parte. E faccio un errore di evasione (in pratica Antonietta uscì fuori di casa nonostante i domiciliari, in questo senso si parla giuridicamente di “evasione”.. nota di Alfredo). Sul momento non detti molta importanza a quello che sarebbe potuto succedermi. Il giudice stabilì che fossi arrestata. Prima mi portano nel carcere di Bari, poi a Lecce, poi a Foggia dove ho cresciuto la mia principessa per dette mesi. Stavo con due zingare e altri quattro bambini.
Un bel giorno, mentre finivo di pulire la cella, mi chiama un’assistente e mi dice di andare giù dal commissario. Mi toglie la bambina di braccio, io volevo riprenderla, ma mi risponde che voleva giocare con Asia, ma che scendeva anche lei, insieme con la bambina, dal commissario. Entro nella stanza del commissario e il commissario apre un libro e mi chiede cosa mangia Asia. Incomincio a dire il latte, lo yogurt, la frutta, la pastina. Appena dico la parola pastina, entrano nella stanza due poliziotti alti e grossi, l’Ispettore, la Direttrice, lo psicologo, dottori, infermieri. Io mi alzo e dico al commissario di avere capito tutto e di chiudere quel libro. A quel punto mi metto a correre, sbattendo contro tutto e facendo cadere gli agenti per terra, per riprendere mia figlia che era ancora in braccio ad un agente. Ma a un certo punto mi sbattono per terra e mi fanno dormire dopo avermi fatto una iniezione da una siringa. Mi tolgono la maglia di dosso e me ne mettono un’altra, perché con la mia dovevano avvolgere la bambina per farle sentire il mio calore.  Mi portano in cella, dove entra la Direttrice e mi dice di stare tranquilla, che ero stata una brava mamma e che se il Tribunale dei minori avesse chiesto delle informazioni, gli avrebbero detto che mia figlia era stata tenuta come una principessa. E anche il medico mi diceva che ero una mamma molto premurosa. E che anche lui avrebbe fatto una bella relazione. Anche se gli agenti mi informarono che gli assistenti sociali avevano delle brutte facce ed erano cattivi.
Dopo una settimana, vengo trasferita nuovamente al carcere di Lecce, dove ho fatto numerose richiese ad educatori, psicologi, ed assistenti sociali, psichiatra, ispettori, circa come fare per avere notizie di mia figlia. Fino ad oggi ancora non so nulla, e non danno notizie neanche a mio marito  che continua ad andare dagli assistenti sociali, e neanche gli aprono la porta. Eppure nel provvedimento del Tribunale dei minori, era scritto che dovevano prendere contatto con noi.
Insieme a Domiria abbiamo scritto una lettera all’assistente sociale incaricata, ma anche questo non ha portato a niente. Ma Domiria mi ha detto che il provvedimento  era stato già emesso qualche mese prima che venissero a prendere la bambina, in data 24 ottobre 2001, appena quattro giorni prima di un’udienza fissata il 28 ottobre 2011. In questa udienza doveva essere presentata, da parte dei servizi sociali, una relazione sullo stato della minore, e una valutazione sulla capacità genitoriale. La domanda è: quando avrebbero effettuato l’osservazione attuale sui comportamenti del nucleo familiare e sulla reazione della bambina al distacco materno? In quattro giorni? Tra l’altro non mi è stato notificato l’esito dell’udienza del 28, alla quale mi hanno impedito di presenziare. Sicuramente è la solita farsa dei tribunali, che usando il meschino trucchetto dei provvedimenti provvisori, impediscono l’impugnazione e così la tutela dei diritti dell’individuo, in particolare del primario bene di un minore così come prevede la nostra legislatura.
Grazie per l’ascolto. Antonietta.

fonte: LE URLA DAL SILENZIO

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