sabato 24 dicembre 2011

Storia dei 65 detenuti che nel 2011 hanno preferito la morte al carcere


L'ultimo a essersi tolto la vita non è un detenuto, ma una guardia carceraria, travolta dalla stessa disperazione. Prima di lui, solo nell'ultimo mese, quattro detenuti si sono suicidati. "Una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile", così l'aveva definita il capo dello stato, intervenendo lo scorso luglio al Senato al convegno sui temi della giustizia e delle carceri organizzato dai radicali. Eppure, a ormai quattro mesi da quel drammatico allarme, l'emergenza carceri non è arretrata di un passo. Anzi, continua ad aggravarsi, come dimostrano i numeri.
Numeri insostenibili, a cominciare dal sovraffollamento. Sono infatti oltre 68 mila le persone attualmente recluse nelle patrie galere, di cui il 42 per cento in attesa di giudizio, costrette a spartirsi poco più di 45 mila posti regolamentari. A vivere in spazi ridottissimi, di gran lunga inferiori a quelli previsti dall'ordinamento penitenziario, a dormire su letti a castello di tre o quattro piani e in alcuni casi perfino sul pavimento. Condizioni di degrado tali da infliggere, come ha denunciato domenica scorsa Papa Benedetto XVI davanti ai detenuti di Rebibbia, una "doppia pena", in violazione dei principi costituzionali, che sanciscono la finalità rieducativa della pena, ma anche dei diritti umani universalmente riconosciuti. Ma il dato più allarmante è quello delle morti che si consumano dietro le sbarre: quasi duemila negli ultimi undici anni, secondo l'osservatorio di Ristretti orizzonti, di cui oltre 600 suicidi. Da gennaio a oggi si sono registrati nelle carceri italiane circa 180 decessi, mentre sono 65 i detenuti che si sono tolti la vita; 61 in base ai dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che però esclude dalla lista dei lutti coloro che, pur avendo cercato la morte in cella, spirano fuori dalle mura di cinta.
Una lista che si allunga con cadenza quasi quotidiana e che quindi rende difficile tirare le somme di un anno che già si conferma drammatico quanto i precedenti, se non di più. Il disagio non risparmia ovviamente il personale, vittima insieme ai detenuti delle conseguenze del grave stato di crisi. Tra i più esposti, gli agenti di polizia penitenziaria che stando alle statistiche si suicidano quattro volte in più rispetto ai loro colleghi degli altri corpi di polizia. Sono cinque i baschi blu che si sono tolti la vita quest'anno, circa 80 in dieci anni. Ultimo in ordine di tempo l'assistente capo Antonio Caputo, di 43 anni, in servizio presso il carcere di Pordenone. "Quando nel 2001 fu decretata la pianta organica - fa sapere il segretario generale della Uil Penitenziari Eugenio Sarno - erano in servizio circa 42 mila unità, con una popolazione detenuta attestata intorno alle 45 mila. Dieci anni dopo, con una popolazione detenuta che ha sfondato quota 68 mila, con molti istituti nuovi e qualche decina di padiglioni attiva ti, la polizia penitenziaria conta 37.784 unità. In sintesi, negli ultimi dieci anni la popolazione detenuta è aumentata del 51 per cento, mentre l'organico della polizia ha subito un decremento di circa il 9 per cento". Sottodimensionati e provati da condizioni di lavoro sempre più difficili, i poliziotti devono far fronte al malessere dei detenuti che solo quest'anno si è tradotto in oltre 5 mila atti di autolesionismo e un migliaio di tentativi di suicidio. E in focolai di rivolta, come quelli scoppiati nelle scorse settimane nel carcere di Montacuto, ad Ancona, e a Parma, dove alcuni reclusi hanno tentato di dare fuoco alle lenzuola per protestare contro il sovraffollamento e la mancanza di riscaldamenti. Più numerose, fortunatamente, le manifestazioni non violente, come lo sciopero della fame che nel corso dell'anno moltissimi detenuti hanno messo in atto insieme a Marco Pannella, capofila dei sostenitori di un provvedimento di amnistia, che proprio due giorni fa ha riproposto al presidente della Repubblica l'emanazione di un messaggio alle Camere (ex art. 87 Cost.), perché il Parlamento sia portato a conoscenza dell'amnistia "quale proposta di riforma strutturale dell'amministrazione del sistema giudiziario italiano, sovraffollato oltre che nelle immonde carceri, anche e soprattutto da 10 milioni di procedimenti civili e penali pendenti".
Il Guardasigilli Paola Severino ha dichiarato che non si opporrebbe, a un'amnistia, se di iniziativa parlamentare. La politica si divide. Tra i favorevoli la presidente del. Lazio Renata Polverini, l'ex ministro Altero Matteoli e il deputato Pdl Gaetano Pecorella, che la ritiene "l'unica vera soluzione". Tra i contrari la capogruppo dei deputati Pd in commissione Giustizia Donatella Ferranti, la Lega e l'Idv.
fonte: http://www.radicali.it/

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