lunedì 31 ottobre 2011

"Presto un nuovo decreto svuota carceri"


Sarà portato ai "prossimi Consigli dei ministri" un nuovo decreto 'svuota carceri' per aumentare "di sei mesi il tetto finale di pena per cui è possibile applicare l'under one, cioè, in altri termini, l'ultimo anno e mezzo di pena viene espiato in detenzione domiciliare". Lo ha annunciato a Fano, dove ha preso parte a un'iniziativa del Pdl, il ministro Nitto Palma
Il ministro ha sottolineato che il sovraffollamento delle carceri ormai sfiora i limiti di compatibilità del sistema". Il nuovo provvedimento è motivato dal fatto, ha spiegato Palma, che "l'esperimento fin qui posto in essere con oltre 3.200 detenuti che sono stati posti alla detenzione domiciliare ha sortito effetti estremamente positivi non essendosi verificata alcuna evasione. Dopo di che, come ho già detto nella sessione del Senato, tutti quanti insieme dobbiamo capire che cosa è il carcere nell'attuale sistema, perché alla luce di quello che è e sarà il carcere si potranno fare i relativi interventi e credo che l'edilizia carceraria sia uno strumento per superare l'attualità, ma non è nient'altro che uno strumento, non una soluzione".

Aiutatemi ad aiutare Fabio Wify


scritto da: Stefano Balbo
Cari amici pazienti e canteisti,
clikka per ingrandire la lettera
Purtroppo il mio amico Fabio Santacroce è ancora in carcere, Fabio si trova nei guai per un reato di opinione, l’hanno trovato due volte mentre coltivava della canapa-medica per curare i nonni. Fabio non è il classico scoppiato che si divertiva a coltivare canapa per fini ludici o commerciali, da diversi anni studiava i cannabinoidi anche non psico-attivi  CBD e CBG quindi ufficialmente non vietati che hanno proprietà anti-infiammatorie paragonabili all’80% al cortisone ma prive di effetti collaterali, questi cannabinoidi in aggiunta al THC hanno un potentissimo potere anti- radicali liberi. L’esperienza di Fabio è maturata in due aziende farmaceutiche svizzere, in una ditta olandese, inglese e californiana, purtroppo l’improvvisa morte del papà delle due zie (cancro e SM) e la patologia che ha colpito il nonno materno (cancro) e la nonna materna (Parkinson) l’ha convinto a ritornare in Italia per continuare gli studi e curare il nonno. Quello che ha fatto in Italia Fabio purtroppo è severamente vietato, mentre all’estero era pagato per quello che faceva e forse in Israele gli avrebbe fatto vincere un Nobel, in Italia è premiato con il carcere “duro” degno di un vero boss della mala. Vi chiedo solo di restare vicino a Fabio, per chi non ha nessuna disponibilità economica gli scriva una bella letterina, occhio a quelle che scrivete il “grande fratello” non è capace di farsi i caz.. suoi, chi ha qualche euro lo mandi sul conto della mamma di Fabio, si trova in un mare di guai e preoccupazioni, ha fuso il motore della sua macchina, i genitori anziani stanno ora peggio perché oltre ad essere senza farmaco, si sentono responsabili della carcerazione di Fabio. Siamo riusciti ad avere l’aiuto gratuito del migliore avvocato nazionale, seguirà gli interessi di Fabio gratuitamente, giustamente dobbiamo pagargli le spese vive, lui lavora a Rimini, Fabio è incarcerato a Verbania, se vogliamo che gli faccia visita spesso le spese ci sono, ogni euro che donerete sarà speso per una giusta causa che rimarrà nella storia. Vi allego l’ultima lettera di Fabio che mi è giunta in leggero ritardo.
Posta Pay : 4023 6006 1105 1998
CHIARINI LUCIANA C.F. CHRLCN54C65B188O
Fabio Santacroce Via G. Castelli, n° 8
28922 Verbania

sabato 29 ottobre 2011

Carceri affollate, secondi solo alla Serbia. In Italia un suicidio ogni cinque giorni






 Triste primato per l'Italia, che vede le sue carceri tra le più affollate d'Europa.


 Con 67.428 detenuti stipati in 45.817 posti, il nostro Paese presenta un tasso di sovraffollamento di 147 detenuti ogni 100 posti. Al primo settembre 2009, data dell'ultima rivelazione ufficiale del Consiglio d'Europa, il tasso di sovraffollamento era analogo (148,2%) e rappresentava un record assoluto nel Vecchio Continente, superato solo dalla Serbia (157,9%). In Francia il tasso era del 123,3%, in Germania del 92%, in Spagna del 141%, nel Regno Unito del 98,6%, mentre la media europea si attestava al 98,4%.
A scattare la fotografia, che getta non poche ombre sul sistema penitenziario del nostro Paese, è l'VIII Rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione di Antigone onlus, presentato oggi a Roma. Al primo settembre 2009 l'Italia aveva 106,6 detenuti ogni 100 mila abitanti (oggi sono 111,4). In Francia il numero scendeva a 103,1 su 100 mila, in Germania si attestava a 89,3, in Spagna saliva a 167,5, nel Regno Unito era a 150,5. Eppure, stando al Rapporto 'Prigioni malate' che riporta dati Eurostat, i tassi di criminalità in Italia sono piuttosto bassi, con 4.545 reati registrati ogni 100 mila abitanti. Dati leggermente superiori in Spagna e Francia, rispettivamente con 5.147 e 5.559 reati registrati per 100 mila abitanti, mentre Germania e Regno Unito presentano tassi di criminalità decisamente più elevati, con 8.481 e 7.436 reati registrati per 100 mila abitanti.
Ma sono anche altre le anomalie italiane emerse dal confronto con diverse realtà europee. Mentre in Francia al primo settembre 2009 non aveva una sentenza definitiva il 23,5% dei detenuti, in Germania il 16,2%, in Spagna il 20,8% e nel Regno Unito il 16,7%, in Italia questa percentuale schizzava al 50,7%.
Altro dato che rende uniche nel Vecchio Continente le nostre carceri è la percentuale di persone condannate per reati previsti dalla legge sulle droghe. Se al primo settembre 2009 tra i definitivi in Francia questa percentuale era del 14,5%, in Germania del 15,1%, in Spagna del 26,2%, nel Regno Unito del 15,4%, da noi la percentuale si attestava a ben il 36,9%. A dimostrazione dell'"impatto fortissimo che il giro di vite sulle droghe - sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone onlus - ha avuto sul sistema penitenziario".
Italia fanalino di coda, inoltre, sull'applicazione di misure alternative al carcere. Se nel corso del 2009 hanno iniziato a scontare questo tipo di misure 123.349 persone in Francia, quasi 120 mila in Germania, 111.994 in Spagna e ben 197.101 persone nelle solo Inghilterra e Galles, in Italia le misure alternative alla detenzione sono diventate realtà solo per 13.383 persone.
Non solo. Un detenuto ogni 5 giorni si toglie la vita nelle carceri italiane. Nei penitenziari della Penisola si suicida circa un recluso ogni mille, rispetto ai dati nazionali che registrano fra la popolazione un suicidio ogni ventimila persone. Dall'inizio del 2011 al 25 ottobre scorso, mostra il Rapporto 'Prigioni malate', si contano 154 morti dietro le sbarre, di cui 53 per suicidio. A questi si aggiunge il detenuto che si è tolto la vita ieri a Livorno, a sole 48 ore dalla libertà.
"Penso - ipotizza Franco Ionta, Capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, a proposito di questo episodio - che abbia avuto timore di uscire perché forse non aveva possibilità di accoglienza nella società. Altrimenti - aggiunge - è impensabile commettere un atto così drammatico a poche ore dalla fine della pena. Ogni suicidio - ribadisce infine a più riprese - è una sconfitta per il sistema".



fonte: IGN

"Giustamente" - Per conoscere la civiltà del tuo paese devi visitare le sue carceri


Detenuto si suicida nel carcere delle Sughere


Livorno. Detenuto si suicida nel carcere delle SughereL'uomo, 56 anni, sarebbe stato scarcerato domani per fine pena. Si è tolto la vita impiccandosi con una corda artigianale. Sale a 56 il conto totale dei suicidi nelle carceri italiane, dal 1 gennaio 2011

LIVORNO. Ha creato una corda artigianale, se l’è stretta intorno al collo e si è lasciato cadere in sospensione sulle scale. E' morto così, in carcere alle Sughere, un detenuto 56enne, Filia Agatino di origine catanese, che sarebbe stato scarcerato domani per fine pena. Sale a 56 il conto totale dei suicidi nelle carceri italiane, dal 1 gennaio 2011 ad oggi.

Un episodio terribile che ha suscitato grande amarezza all’interno della casa circondariale, dove poche settimane fa c’era stato un altro tentativo di suicidio.

Inutili i tentativi di rianimare l'uomo: quando la polizia penitenziaria s’è accorta del fatto, era già morto. Il decesso è stato constatato dal medico del 118, giunto sul posto insieme a un’ambulanza della Misericordia di via Verdi. Apparentemente il 56enne non aveva ferite evidenti sul corpo, si esclude quindi che abbia subito delle ferite. In base a quanto emerso, aveva solo le tipiche lesioni post mortem dovute al trauma al collo per via dell’impiccagione. Queste sarebbero le prime indiscrezioni, ma solo l’autopsia potrà far luce sulle cause della morte.

L’episodio riporta alla ribalta le difficili e precarie condizioni in cui vivono i detenuti, in celle piccole e affollate e in strutture fatiscenti. Lo scorso maggio i detenuti avevano dato vita a forme di protesta - tra cui lo sciopero 
della fame, messo in atto anche insieme alla polizia penitenziaria - proprio per attirare l’attenzione sul forte disagio che vivono quotidianamente alle Sughere.


fonte: http://iltirreno.gelocal.it/livorno

    martedì 25 ottobre 2011

    «Detenuti denudati e picchiati» Asti, a processo cinque agenti


    Gli uomini della polizia penitenziaria
    accusati di vessazioni contro due prigionieri

    (Newpress)
    (Newpress)
    MILANO - Cinque agenti della polizia penitenziaria, in servizio nella casa circondariale di Asti, sono stati rinviati a giudizio con l'accusa di aver picchiato e sottoposto a vessazioni due detenuti: entrambi sono stati lasciati per alcuni giorni, in isolamento, completamente nudi in una cella priva di vetri alla finestra, di materasso, di lavandino e di sedie; per vitto è stato fornito loro solo pane ed acqua. Ai due, inoltre - secondo l' accusa - veniva impedito di dormire. Il processo contro i cinque agenti penitenziari comincerà il 27 ottobre ad Asti. (Fonte Ansa)
    I RACCONTI DEI DETENUTI - A denunciare gli agenti sono stati Claudio Renne e Andrea Cirino. Il primo - si legge negli atti dell'inchiesta - fu portato nel 2004 in una cella di isolamento, come punizione per aver cercato di placare un diverbio tra un agente e un altro detenuto. Secondo Renne, la cella è priva di materasso, sgabelli e acqua; la finestra priva di vetri. Il detenuto racconta di essere rimasto nella cella per due mesi, i primi due giorni completamente nudo. Il cibo, racconta, è limitato a pane e acqua, ma a volte gli agenti gli lasciano dietro la porta della cella il vitto del carcere che lui può vedere ma non prendere. Le botte si ripetono più volte al giorno, calci e pugni su tutto il corpo, tanto che gli sarà riscontrata la frattura di una costola oltre ad una grossa bruciatura sul volto causata da un ferro rovente. Tra il dicembre 2004 e il febbraio 2005 anche Andrea Cirino viene tenuto in isolamento, per 20 giorni. La notte, racconta, gli agenti gli impediscono di dormire battendo le grate della cella, il giorno viene picchiato ripetutamente, gli viene negata l'acqua. Cirino, in seguito, tenterà il suicidio per impiccagione.
    LE INTERCETTAZIONI - «Dalle intercettazioni e dalla relazione di polizia giudiziaria emergono particolari inquietanti», afferma Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone, che ha chiesto di costituirsi parte civile al processo. «Nel carcere di Asti - aggiunge - vigeva una cultura diffusa di violenza da parte dei poliziotti e di indifferenza da parte di medici e direttore». Un assistente di polizia penitenziaria dello stesso carcere nel 2006 testimonia: «Nel caso in cui i detenuti risultino avere segni esterni delle lesioni, spesso i medici di turno evitano di refertarli e mandano via il detenuto dicendogli che non si è fatto niente o comunque chissà come si è procurato le lesioni. Inoltre lo convincono a non fare la denuncia dicendogli che poi vengono portati in isolamento e picchiati nuovamente». In una intercettazione ambientale tra uno degli imputati e un altro agente del carcere, il primo afferma: «Ma che uomo sei... devi avere pure le palle... lo devi picchiare... lo becchi da solo e lo picchi... io la maggior parte di quelli che ho picchiato li ho picchiati da solo...».
    IL SINDACATO - «Personalmente non ci credo». Donato Capece, segretario del maggiore sindacato di polizia penitenziaria, il Sappe, prima di dire la sua sul rinvio degli agenti, chiede delucidazioni al rappresentante sindacale locale. I due detenuti che hanno denunciato di aver subito vessazioni tra il 2004 e il 2005 «avevano aggredito i nostri agenti - riferisce Capece - e per questo sono stati mandati in isolamento. Probabilmente c'è stata una colluttazione». Capece precisa comunque: «Non vogliamo dare l'impressione di coprire qualcuno. Perciò, se gli agenti hanno usato le maniere forti, è giusto che ne rispondano all'autorità giudiziaria. È facile sparare contro la Croce Rossa e contro la polizia penitenziaria. I fatti - conclude - vanno prima accertati». (Fonte Ansa).


    fonte: http://www.corriere.it/

    Lavoro per i carcerati di Marassi


    lunedì 24 ottobre 2011





    Una mattina, mentre mi trovavo al passeggio, vengo chiamato dalle
    guardie, dopo che mi vengono messe le manette vengo fatto salire in
    una jeep, mettono in moto ed usciamo. Mi ordinano di tenere la testa
    abbassata. Ad un tratto una guardia impugna la pistola e mi dice “Stai
    per morire!” Mi punta la pistola nella tempia destra. Non ho battuto
    ciglio, certamente la paura c’era, ma non potevo fare nulla. In quel
    momento pensavo alla mia famiglia, quando sento il grilletto girare a
    vuoto … una finta esecuzione con le relative risate dei secondini.
    Come se non bastasse mi si dice:”Ora scappa, corri per la campagna”.
    Io con la testa faccio segno di no. Un aguzzino mi dà uno schiaffo e
    urla: “Scappa” io non mi muovo. Prendono una corda la mettono tra le
    mie manette e la legano alla jeep, mettono in moto e mi tirano dietro,
    cerco di correre il più forte possibile, ma non posso farlo più forte
    della jeep, finchè con un piede entro in una buca, perdo l’equilibrio,
    cado e sono trascinato per circa 100 metri con risate e divertimento
    delle guardi carcerarie.
    (Matteo Greco, carcere di Pianosa 1992)

    Dopo i primi giorni avvenne il primo pestaggio: quando si usciva
    all’aria gli sgherri erano messi in fila con i manganelli nelle mani.
    Un compagno anziano, lento nei movimenti, rimasto indietro, venne
    preso a calci, pugni e manganellate. Sentivamo urli strazianti. Al
    ritorno vedemmo tutto il sangue sparso nel corridoio, ma noi eravamo
    troppo impauriti per potergli dare la nostra solidarietà. E quella
    nostra debolezza fu l’inizio della fine, perché fatti del genere in
    seguito si ripeterono sovente.
    In quel periodo imparai a conoscermi a crescermi dentro, scoprii che
    lo Stato è peggio di quel che credevo, mi faceva conoscere privazioni,
    torture e patimenti nell’assenza totale di legalità, giustizia e
    umanità. In quella maledetta isola persino i gabbiani erano infelici
    per quello che vedevano. Alla fine, nell’estate del ’93, iniziai a
    fare lo sciopero totale della fame …
    (Carmelo Musumeci, carcere dell’Asinara 1992)

    Perchè meravigliarsi tanto dell’omicidio di Stefano Cucchi e delle
    botte ai detenuti?
    Il carcere in Italia è così e basta e non deve rendere conto a
    nessuno.
    Perché queste lacrime di coccodrillo da parte dei politici e dei mass
    media?
    Non è un segreto che in carcere i detenuti vengono picchiati, è sempre
    stato così e sempre sarà così.
    Vengono picchiati soprattutto i detenuti più deboli, i più soli e i
    più emarginati.

    Carmelo Musumeci
    Carcere di Spoleto - Novembre 2009

    Ecco due testimonianze tratte dalla tesi di laurea “Vivere
    l’ergastolo”:



    fonte:http://www.urladalsilenzio.wordpress.com/

    domenica 23 ottobre 2011

    Giovane detenuto si uccide a Marassi

    Genova - Un detenuto di 29 anni, di origini tunisine, si è suicidatoieri sera nel carcere genovese di Marassi. Lo riferisce il segretario generale della Uilpa Penitenziari, Eugenio Sarno, precisando che si tratta del cinquantacinquesimo suicidio in cella, in Italia, dall’inizio del 2011.
    L’uomo, Rahamani Jalel, detenuto per spaccio di stupefacenti e che avrebbe finito di scontare la pena tra due mesi, si è impiccato verso le 23.30 con le lenzuola in dotazione nella sua cella della sesta sezione del carcere. Gli agenti di polizia penitenziaria e alcuni medici del 118 hanno tentato di rianimare il detenuto tunisino, ma nonostante l’impiego del defibrillatore non c’è stato nulla da fare e il detenuto è morto alle 23.57. L’uomo ha lasciato due lettere, una in arabo e una in italiano.
    «Non posso più vivere senza vedere mio figlio». Sono queste le parole che Rahamani Jalel ha scritto su una delle due lettere trovate dagli agenti della polizia penitenziaria. L’uomo, che sarebbe uscito ad aprile, aveva ricevuto da poco anche un’ordine di espulsione dall’Italia. La sua compagna aveva interrotto le visite in carcere da un anno e lui non ha retto alla lontananza dal figlioletto. Il pubblico ministero Vittorio Ranieri Miniati ha disposto l’autopsia, per chiarire le esatte cause del decesso.


    Al momento, sottolinea la Uilpa, risiedono 812 detenuti nonostante i posti disponibili siano 456. Una situazione che ha portato, solo quest’anno, a due suicidi, nove tentati suicidi, circa 85 atti di autolesionismo grave, dieci aggressioni a danno di poliziotti penitenziari. «Di sicuro - dichiara ilsegretario generale della UILPA Penitenziari - il depauperamento degli organici, con gli innumerevoli distacchi di poliziotti penitenziari verso sedi non operative, non aiuta a gestire l’ordinario stato di emergenza che si riscontra quotidianamente».
    «Stornare qualche milione di euro dal fantomatico piano carceri, da dedicare ad un più concreto e necessario piano di manutenzione straordinaria ed automazione degli istituti penitenziari» è l’invito che la Uilpa rivolge al ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, anche alla luce del suicidio del giovane detenuto marocchino.
    «I crolli di Taranto e di Marassi, la chiusura di un Padiglione a Potenza per l’instabilità strutturale, il transennamento di una vasta area alle Sughere di Livorno - afferma il segretario generale della Uilpa Penitenziari, Eugenio Sarno - sono solo alcuni esempi del degrado delle strutture penitenziarie con annessi rischi per l’incolumità fisica per chi in quelle strutture vive e lavora. Pertanto ribadiamo l’invito al Ministro Palma di stornare qualche milione di euro dal fantomatico piano carceri ad un più concreto e necessario piano di manutenzione straordinaria ed automazione degli istituti in uso. Più che nuovi posti detentivi servono carceri salubri e sicure. Per deflazionare il sovraffollamento basterebbe trasferire i tossicodipendenti nelle comunità, rendere automatico l’accesso alla detenzione domiciliare per chi ha residui pena non superiori a dodici mesi e, soprattutto, disciplinare il ricorso alla custodia cautelare»

    fonte: .http://www.ilsecoloxix.it/

    sabato 22 ottobre 2011

    ...ennesimo omicidio di Stato?


    Giuseppe Uva, morto per un farmaco, o ennesimo omicidio di Stato?

    Raccontai la storia di Giuseppe Uva più di un anno fa (vedi link 1 2 , 3 , 4 )  ma finalmente sembra che qualcosa si stia muovendo, o che almeno i media nazionali si degnino di parlarne (nei giorni scorsi ne hanno parlato 'Le Iene') … sembra l’ennesimo caso Cucchi, Aldovrandi, Bianzino, Rasman, Lonzi, Sandri … insomma l’ennesimo omicidio di Stato!
    Giuseppe Uva viveva a Varese, 43 anni … Era il 14 giugno 2008 e secondo ricostruzioni, leggermente ubbriaco, insieme ad un amico sposta delle transenne e blocca una strada … poco dopo arrivano i carabinieri che portano i due in caserma (già qui si parla di inseguimenti, botte) … ma Giuseppe non ne uscirà mai vivo!
    Col passare del tempo sono usciti fuori altri particolari, come che Alberto Bigigiore (l’amico di Giuseppe) sentendo le urla di dolore di Uva, probabilmente massacrato dagli agenti,chiama il 118 con il suo cellulare, chiedendo un’ambulanza,  che purtroppo non arriverà mai … verranno in seguito pubblicate le telefonate e si scoprirà che in caserma dopo esser stati contattati dal 118 che chiedeva conferme sulla questione, veniva negato il bisogno di qualunque tipo di soccorso, tanto più di un’ambulanza. Solo più tardi veniva ricontattato il 118 dalla stessa caserma ma per chiedere un TSO e il trasferimento nel repartopsichiatrico (Giuseppe Uva, come è stato confermato da tutti i testimoni non era pazzo …perchè chiamare un TSO?), dove il 43enne muore poche ore dopo per arresto cardiaco. Dagli esami tossicologici risultano somministrati farmaci controindicati in caso di assunzione di alcool (questa la prima ipotesi, poi smentita).
    Ma subito si capisce che qualcosa non quadra .. il corpo di Uva viene trovato martoriato da botte e lividi, forse una sigaretta spenta sul viso (la seconda foto sotto), e tantissimosangue perso dal retto … e proprio in questi giorni le rivelazioni scioccanti di tracce rilevate sui suoi abiti … “matrici biologiche” oltre al sangue:  “sperma, urine, feci”.

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    Ripropongo il servizio di Carlo Lucarelli su Raitre che fa una ricostruzione della vicenda … sperando che un giorno si possa sapere la verità e finalmente avere giustizia! Se in questo paese ne esiste una!

    (Ricostruzione della vicenda. Intervista alla sorella di Giuseppe Uva e a Alberto Bigiogero. Intorno al minuto 8:00 potrete ascoltare la telefonata integrale della chiamata di Bigiogero al 118, che chiedeva un ambulanza)


    Video dal canale youtube, karmelo7777

    fonte: http://www.stopcensura.com/

    Un ginecologo in carcere per le donne del carcere di Pontedecimo


    venerdì 21 ottobre 2011

    Informazione Contro!: Carcere: quattro storie e una “notizia” che non fa...

    Informazione Contro!: Carcere: quattro storie e una “notizia” che non fa...: Articolo 21 - INFORMAZIONE Carcere: quattro storie e una “notizia” che non fanno “notizia” ...

    “Dal Dentro” Una storia vera


    La dove cresce il dolore è terra benedetta. Un giorno o l’altro, voi tutti riuscirete a capire cosa significa questo. (Oscar Wilde)
     
    In carcere capita spesso che si possa osservare meglio gli altri che se stessi.
    E scrivendo si può essere la voce di chi non ha neppure più la forza di avere voce.
    Questa è una storia vera che nessuno scriverà mai in un giornale e mai nessuno racconterà in televisione.
    Questa è una storia vera che rimarrà prigioniera nelle celle, nei cortili e nelle sezioni dell’Assassino dei Sogni (il carcere,  come lo chiamo io).
    Io ci provo a fare evadere questa storia dalle sbarre della mia cella per farla conoscere aldilà del muro di cinta, al mondo dei “buoni”.
    Questa è la storia di Salvatore Liga, detenuto nel carcere di Spoleto in Alta Sicurezza, 80 anni compiuti l’estate scorsa, vecchio malato e stanco.
    E destinato con certezza a  morire in carcere perché è stato condannato alla pena dell’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio,  se al suo posto non ci mette un altro.
    L’ultima volta che l’ho visto era questa estate e si muoveva a malapena nel cortile del carcere con due stampelle sotto le ascelle.
    Stava sotto il sole seduto in una panchina di cemento armato tutto l’orario del passeggio a prendersi l’ultimo sole della sua vita.
    Poi un giorno non l’avevo più visto.
    In seguito avevo saputo che gli avevano trovato un tumore maligno allo stomaco e l’avevano trasferito d’urgenza in un centro clinico carcerario.
    Proprio l’altro giorno ho saputo che era ritornato, l’avevano operato, ma che adesso non riusciva più a camminare e gli hanno dato una sedia a rotelle.
    Oggi, da un suo paesano, ho saputo che per Salvatore Liga le disgrazie non sono finite perché gli hanno applicato un residuo d’isolamento diurno.
    A che serve e a chi serve applicare ad un povero vecchio in fin di vita una misura così sadica e vessatoria?
    Molti forse non sanno che l’isolamento diurno è una pena che si dà normalmente quando si è condannati alla pena dell’ergastolo e che ti costringe a non fare vita comune con i tuoi compagni.
    Che altro aggiungere, se non che il carcere non dovrebbe essere uno strumento di tortura, mortificazione, un luogo di violenza istituzionale e una fabbrica di emarginazione.
    E se siete dei credenti, aggiungo solamente che Gesù nelle sue predicazioni non chiedeva giustizia ma perdono.
    Visto però i risultati, credo che Gesù abbia perso solo tempo a venire su questa terra.
     
    Carmelo Musumeci.
    Spoleto ottobre 2011

    giovedì 20 ottobre 2011

    A Pontedecimo un detenuto sfonda un mezzo della Polizia Penitenziaria



    "La tensione resta alta nelle carceri liguri: la Polizia Penitenziaria di Genova ha infatti sventato l'ennesima criticita' avvenuta durante un servizio di trasferimento di un detenuto in altra sede carceraria. E' accaduto a Pontedecimo, dove un detenuto ha dato in escandesceza e ha sfondato un mezzo della Polizia Penitenziaria". A raccontare l'accaduto e' Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e Commissario straordinario ligure del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe.
    "Una scorta del Nucleo traduzioni di Marassi - spiega Martinelli - stava prelevando un detenuto da assegnare in altra sede congiuntamente ad altri due reclusi del carcere di Marassi, gia' a bordo del furgone. Durante le operazioni di prelievo del detenuto, uno dei due detenuti - un marocchino di 22 anni in carcere per vari reati tra i quali rapina, lesioni e rissa - ha dato improvvisamente in escandescenza e, tentando probabilmente una improbabile fuga, ha sfondato la porta della cella interna del mezzo".
    "I nostri agenti - assicura - sono pero' riusciti immediatamente a sventare il possibile tentativo di evasione, ma e' evidente che quanto accaduto deve fare seriamente riflettere. Non e' possibile che i mezzi adibiti al trasporto dei detenuti evidenzino tali lacune, per la sicurezza del mezzo stesso e della scorta della Polizia Penitenziaria a bordo", sottolinea.


    fonte: IGN

    lunedì 17 ottobre 2011

    Marassi: ennesimo tentato suicidio in carcere



    Genova - L'ennesimo tentativo di suicidio ad opera di un detenuto straniero, sventato ieri sera dagli agenti della polizia penitenziaria di Genova Marassi, riaccende i riflettori sullo stato di salute delle carceri italiane. Nel solo 2010 - spiega in una nota il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria- gli agenti in servizio nelle carceri italiane hanno sventato ben 1.137 tentativi di suicidio di detenuti, impedendo che i 5.703 atti di autolesionismo potessero avere gravi conseguenze”.Il sindacato e i suoi iscritti, lunedì 24 ottobre saranno in piazza davanti al Ministero della Giustizia a Roma, per protestare contro una situazione diventata ormai insostenibile. A Marassi, a fronte di 456 posti regolamentari, sono infatti sistematicamente presenti oltre 800 detenuti (erano 821 il 30 settembre scorso, più del 60% stranieri e ben 464 in attesa di giudizio definitivo), mentre il Reparto di Polizia Penitenziaria conta la carenza di ben 160 agenti.


    fonte: 


    “L’ondata di violenza che sta attraversando il carcere genovese di Marassi va indagata immediatamente, perché oramai il fenomeno sta assumendo dimensioni molto più che preoccuanti. A questo punto l’Amministrazione Penitenziaria non può più restare inerme e ha il dovere di mettere in piedi una efficace strategia di contrasto”. Così il segretario generale della Uilpa Penitenziari, Eugenio Sarno, commenta quanto accaduto nel penitenziario genovese nelle ultime 24 ore.
    “Oltre all’ennesimo salvataggio da un tentato suicidio effettuato dalla polizia penitenziaria, questa notte c’è stata una brutale aggressione in danno di un detenuto che a sua volta ha ferito tre agenti. Ieri notte – informa Sarno – il detenuto marocchino oggetto, martedì scorso, dell’aggressione da parte di otto detenuti italiani ha tentato in cella di impiccarsi con le lenzuola. Il tempestivo intervento degli agenti ha scongiurato che il tentativo andasse in porto. Questa notte, invece, un detenuto maghrebino M.M. è stato aggredito in cella dai suoi compagni di detenzione. Dopo l’intervento della sorveglianza, lo stesso stato portato in infermeria dove, dopo essersi barricato in bagno e divelto le suppellettili, brandendo dei pezzi di vetro ha ferito tre agenti penitenziari. I tre agenti sono stati trasportati al pronto soccorso e dopo le cure del caso sono stati dimessi con prognosi di dieci giorni”.
    La UIL PA Penitenziari ha più volte denunciato come le attuali condizioni detentive rappresentino l’humus più adatto per alimentare le violenze intramurari.
    “Dall’inizio dell’anno, sul territorio nazionale, la polizia penitenziaria contra circa 250 feriti, per aggressioni subite da parte di detenuti. E’ un fenomeno dilagante di cui non si parla mai. Bene farebbero al DAP ad applicarsi sul tema. Riteniamo – aggiunge il Segretario Generale – che sia necessario prevedere nei confronti dei violenti misure sanzionatorie adeguate e certe. Non sempre, infatti, vengono comminate sanzioni disciplinari. E’ pur vero, (ma questo non può essere una esimente) come succede a Marassi, che se la quasi totalità dei detenuti è costretta all’ozio per 22 ore su 24 si creano le condizioni per alimentare pulsioni e tensioni. Il sovraffollamento, in strutture degradate e degradanti, completa il quadro dell’ inciviltà, della disumanità e dell’ illegalità . Questo spiega anche in parte il fenomeno dei suicidi (40 dall’inizio del 2011) e dei tentati suicidi (circa 620 dal 1 gennaio 2011). Nonostante tutto ciò la politica continua ad ignorare il pressante appello del Presidente Napolitano”.
    La UIL PA Penitenziari non manca di denunciare in quali infamanti condizioni di lavoro siano costretti a lavorare i baschi blu della polizia penitenziaria
    “Mentre nelle celle ci si suicida o si tenta di farlo, semmai per ammazzare il tempo inutile, le nostre condizioni di lavoro rappresentano un dramma nel dramma. Auspichiamo che il ministro Palma quanto prima decida per una audizione delle OO.SS. Anche a lui, come i suoi predecessori, spiegheremo che le 8mila unità di polizia penitenziaria che rappresentano l’attuale disavanzo organico del Corpo sono un lusso che non ci si può permettere. Spiegheremo anche a Palma che non è possibile garantire ordine, sicurezza e trattamento nelle sezioni se per la sorveglianza a centinaia di detenuti viene impiegata una sola unità. Proveremo a fargli comprendere che non si può rischiare la vita , oltreché anticipare fondi personali, per garantire traduzioni su mezzi obsoleti e pericolosi. Tenteremo – conclude Sarno – di far comprendere, come accade anche a Marassi, quali sono gli effetti del mancato godimento delle ferie e dei riposi. Illustreremo come si raddoppino per i poliziotti penitenziari turni e carichi di lavoro senza che vengano nemmeno corrisposte le competenze per straordinari e missioni. Insomma gli delineeremo la dura realtà del poliziotto penitenziario moderno: lavoratori a cui si negano i diritti, ma a cui si chiede (gratis) sempre di più”.
    fonte: http://www.genova24.it/

    Carcere di Valle Armea, il Sappe denuncia: qui degrado e fumi tossici, politici assenti

    Imperia - 
    "Riteniamo di intervenire vibrantemente a difesa dei nostri poliziotti penitenziari abitanti e residenti in Valle Armea, zona del secondo penitenziario della Liguria". Sono le parole del vice segretario regionale dela Sappe Liguria Cosimo Galluzzo, che lamenta la presenza di fumi tossici e degrado nell'area della Valle Armea, proprio dove c'è l'omonimo carcere. 


    "Come primo sindacato di categoria - prosegue Galluzzo - con circa 12.000 iscritti all'attivo su tutto il territorio nazionale, sentiamo forte il dovere di richiamare la massima attenzione di tutti gli organi competenti sulla questione di forte degrado di questa zona della citta dei fiori e del festival internazionale della canzone italiana.
    Orbene, non è la prima volta che nell'area del carcere, dove allocherebbero 370 detenuti e circa 200 poliziotti, parte accasermata tra Dirigente, Comandante di Reparto e personale di altre qualifiche, sovente debba subire lo sprigionamento di fumi malodoranti proveniente da incendi anomali della vicina discarica. A subire il duro colpo sono anche i cittadini residenti della zona, il fatto ci viene riportato direttamente dalle lamentele incessanti dei colleghi quivi residenti. Appare strano ma vero, proprio il carcere e proprio la Polizia Penitenziaria deve accollarsi anche quest'altra problematica oltre alle altre di ben noto dominio pubblico, cioè quella della sovrappopolazione detenuta e delle mille difficoltà dei servizi da affrontare per garantire sicurezza interna il carcere e annessa sicurezza alla società esterna.
    Ormai appare evidente che questa zona dell'area sanremese non è sotto il controllo di nessuno, fumi e nubi tossiche ammantano l'area del penitenziario almeno due o tre volte al mese, con difficoltà respiratorie e occhi arrossati dei residenti, bambini compresi. A pagare in fatto di salute sono anche i poliziotti penitenziari che devono ricorrere a mille peripezie per difendersi da questa condizione a nostro avviso oltre ogni limite di decenza e di accettabilità.
    Come vice responsabile della segreteria Sappe della Liguria, chiedo che vengano poste in essere tutte le misure di sicurezza e tutti i controllo previsti per accertare eventuali responsabilità ; ci risulta troppo difficile credere a sistematici incendi di tipo doloso e pertanto occorre soprattutto che il Sindaco e i vari responsabili del Comune facciano sopralluoghi sul posto e si impegnino a restituire maggiore disciplina e rigore nell'area in questione prima che la cosa possa addirittura approdare in Tribunale a Sanremo magari per seri danni a cose o persone.
    Noi come Sappe, a tutela dei nostri colleghi in servizio presso il penitenziario di Valle Armea, porremo interventi a carattere interrogativi anche presso il superiore Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria per non lasciare cadere questo stato di cose ancora per troppo tempo nel vuoto e dove pare che anche la classe politica locale e provinciale non muove un dito per migliorare l'area, la quale in vero tra discarica e carcere ha già troppo il sapore del voler ghettizzare o ritenere diversa una specie umana".



    fonte: http://www.edizionioggi.it/

    domenica 16 ottobre 2011

    SUICIDI IN CARCERE, LA REGIONE VARA LE INIZIATIVE PER PREVENIRLO

    Firenze, 15 ott. -
     Un'accoglienza qualificata e multiprofessionale, in grado di individuare i bisogni sanitari, sociali, psicologici e psichiatrici di ogni detenuto al suo arrivo in carcere. L'individuazione tempestiva degli indicatori di rischio. L'attenzione alle situazioni ambientali e logistiche che possano favorire suicidio e atti di autolesionismo. La stipula di appositi protocolli d'intesa tra le direzioni delle Asl e le direzioni degli istituti penitenziari. Le linee di indirizzo per la prevenzione del suicidio in carcere sono contenute in una delibera approvata di recente dalla giunta, delibera che si inserisce nel quadro piu' generale delle linee di indirizzo per la qualita' della salute dei detenuti per il biennio 2011-2012 approvate dalla giunta nel maggio scorso. Il documento, elaborato da un apposito gruppo di lavoro, ispirandosi anche al documento prodotto sul tema dal Comitato Nazionale di Bioetica, sara' uno strumento condiviso tra Regione Toscana e Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria (PRAP) per mettere a punto tutti gli interventi necessari per individuare e trattare per tempo le situazioni di disagio e fragilita' e prevenire il suicidio nelle carceri toscane. "La privazione della liberta' personale non deve portare alla perdita di altri diritti, tra cui quello alla salute - dice l'assessore al diritto alla salute Daniela Scaramuccia - La salute e' un diritto di tutti indistintamente. Tutti, che siano liberi cittadini o detenuti, sono uguali davanti alla malattia, e il trattamento penitenziario deve sempre assicurare il rispetto della dignita' umana, senza alcuna discriminazione. Amministrazione penitenziaria e istituzioni sanitarie devono collaborare sempre piu' strettamente perche' questo diritto sia garantito a tutti i detenuti, con il coinvolgimento della polizia penitenziaria, degli operatori dell'area educativa, e del personale sanitario.
      Le delibera che abbiamo approvato indica questa strada".
      "Nonostante le strette misure di sorveglianza, in carcere il suicidio si verifica 20 volte di piu' che in altri ambienti - informa l'assessore al welfare Salvatore Allocca - Questo esito drammatico non riguarda solo le persone con sofferenza psichica, in quanto la carcerazione e le sue condizioni costituiscono di per se' un fattore di stress acuto e a volte insuperabile. Il sovraffollamento, l'inadeguatezza degli spazi, la carenza di personale e di attivita' trattamentali, i livelli igienico-sanitari, l'uso e abuso di psicofarmaci, sostanze e alcol, l'isolamento, sono tutti fattori che contribuiscono ad au
    mentare il rischio delle azioni di autolesionismo e dei tentativi di suicidio".
    fonte: AGI news

    sabato 15 ottobre 2011

    Metti un orto nel carcere

    Pochi giorni fa sono entrato nel carcere di Pontedecimo, a Genova, perché la direttrice si è messa in testa di voler fare un orto che possa essere curato dagli stessi detenuti. Vuole fare un orto, ma, ce l’ha chiarito subito, non ci sono i soldi per finanziarlo. E allora, insieme alle persone che con Terra! si occupano di agricoltura sinergica, siamo andati a sentire di cosa si trattava. Insieme a noi c’era Alessandra Ballerini, avvocato di Genova,  una di quelle persone che hanno deciso di dedicare la loro vita agli “ultimi”, e lo fa per davvero; è stata lei a creare il contatto tra Terra! e il carcere.

    E così ci siamo incontrati. Lei, la direttrice, ci ha raccontato tutte le difficoltà, i soldi che non ci sono, il personale ridotto al minimo; e ci ha parlato dei “suoi” detenuti e dell’orto perché, se è vero che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato” (articolo 27 della Costituzione italiana), allora un orto sinergico può essere una delle risposte. A noi l’idea è piaciuta e così, anche se i soldi mancano, Terra! si è impegnata a farlo ugualmente e, grazie ad Alessandra, abbiamo già raccolto quanto basta per pagare le spese vive per realizzare il primo orto in agricoltura sinergica nel carcere di Pontedecimo.

    Certo, l’orto non cambierà la vita delle detenute e dei detenuti, che continueranno a contare i giorni che li separano dalla libertà, ma nel frattempo si saranno presi cura di qualcosa di vivo, imparando il mestiere della terra, mangiando del cibo sano e, chissà, magari fuori da lì, per alcuni quello diventerà il mestiere futuro.

    Ho un solo rammarico: pensare che questo progetto sia realizzabile solo grazie all’intraprendenza di una singola persona, in questo caso due, la direttrice del carcere e la Ballerini, e non grazie allalungimiranza delle istituzioni. Sarebbe bello se un giorno queste cose nascessero direttamente su impulso delle istituzioni, perché vorrebbe dire che la politica avrebbe capito il senso di quell’articolo 27.

    Considerata però la situazioni delle carceri italiane, adesso sembra un pensiero un po’ troppo utopico.



    fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/