giovedì 29 settembre 2011

Mozione radicale su carceri e giustizia votata ieri al Senato


Mozione radicale su carceri e giustizia votata ieri al Senato

28-09-2011
Quello che segue è il testo della mozione che i senatori radicali hanno presentato in occasione del dibattito che ha avuto luogo ieri in Senato su Giustizia e carceri. Mozione che non è stata accolta, ma che costituisce uno straordinario documento, uno strumento di lavoro e di iniziativa politica per i prossimi giorni, ricco com’è di dati, notizie e “fatti” incontrovertibili e non smentiti perché non smentibili.
Il Senato, premesso che: 
la crisi della giustizia e delle carceri, a causa dei numerosi e complessi problemi cui non si è data in tanti anni adeguata risposta da parte del legislatore e del Governo, rappresenta la più grave questione sociale del nostro Paese perché colpisce direttamente milioni di persone vittime della lentezza dei processi, di condizioni di detenzione intollerabili e di reati che restano impuniti, con ciò minando alle fondamenta il principio stesso di legalità e certezza del diritto;
considerato che:
è un dato oggettivo e non più un'opinione di alcuni che lo stato della giustizia nel nostro Paese abbia raggiunto livelli di inefficienza assolutamente intollerabili, sconosciuti in altri Paesi democratici, per i quali l'Italia versa, da anni ed in modo permanente, in una situazione di sostanziale illegalità, tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo;
il diritto ad ottenere giustizia è garantito a tutti dalla Costituzione repubblicana, ma è oggi posto seriamente in discussione: le attuali condizioni degli uffici giudiziari italiani e del sistema giustizia nel complesso, unitamente ad una mancata riforma organica della normativa sostanziale e processuale, impediscono di fatto di assicurarlo in tempi brevi e in modo efficace;
il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, nella risoluzione del 2 dicembre 2010, ha posto sotto osservazione speciale lo stato della giustizia nel nostro Paese e ha ribadito che i tempi eccessivi nell’amministrazione della giustizia italiana pongono in discussione la stessa riconoscibilità nel nostro Paese di un vero e proprio Stato di Diritto, tutto ciò prospettando il rischio di gravi sanzioni a carico dell’Italia, con disdoro internazionale dell’immagine del Paese e vanificazione dei sacrifici sopportati dai cittadini per costruire un Paese degno di far parte del gruppo di testa della Comunità europea;
nel settore della giustizia penale i procedimenti pendenti ammontano a circa 3.300.000. In media, ogni anno, si hanno tre milioni di notizie di reato e se a ciò si aggiunge la cifra oscura del crimine si è portati inevitabilmente a delineare uno scenario dirompente. La durata media dei procedimenti presso le Procure della Repubblica è di circa 400 giorni; quella dei processi penali davanti ai tribunali si attesta intorno ai 350 giorni, mentre i procedimenti davanti alle Corti d’appello durano in termini assoluti più di 730 giorni. Ma la situazione della giustizia penale è addirittura ben peggiore di quella che emerge da tali dati: questi, infatti, si riferiscono a medie che comprendono anche i processi che si esauriscono in pochi giorni, se non in poche ore e comunque non tengono conto del lasso temporale che intercorre, ad esempio, per la redazione del provvedimento definitorio e per la trasmissione degli atti al giudice della fase successiva;
dall’analisi che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha compiuto sulle proprie decisioni nel cinquantennio 1959-2009 risulta che per l’eccessiva durata dei procedimenti civili e penali l’Italia ha riportato 1095 condanne, la Francia 278, la Germania 54 e la Spagna 11;
rispetto a tale situazione la stessa introduzione della cosiddetta "legge Pinto", strumentalmente approvata al solo fine di evitare continue condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, ha ulteriormente sovraccaricato i ruoli delle corti di appello e, d'altra parte, per quanto è stato autorevolmente affermato, se tutti gli aventi diritto dovessero agire nei confronti dello Stato sulla base della cosiddetta “legge Pinto”, lo Stato stesso sarebbe costretto a dichiarare bancarotta;
ed invero dall’entrata in vigore della c.d. legge Pinto, sono stati promossi dinanzi alle corti d’appello quasi 40.000 procedimenti camerali per l’equa riparazione dei danni derivanti dall’irragionevole durata del processo, con costi enormi per le finanze dello Stato, il quale, inoltre, ritarda nel pagamento degli indennizzi già liquidati in via giudiziale, al punto che la stessa Corte di Strasburgo, nel comunicato stampa n. 991 del 21.12.2010, ha reso noto di aver pronunziato, in un solo mese, 475 sentenze di condanna dell’Italia per ritardati pagamenti di indennizzi e che presso di essa sono già pendenti oltre 3.900 ricorsi aventi il medesimo fondamento;
l’oggettiva impossibilità di evadere nel settore penale un numero così elevato di carichi pendenti ha indotto in passato alcune Procure della Repubblica ad emanare circolari nelle quali viene stabilita una scala di priorità nella trattazione dei procedimenti, ciò in aperta violazione della legalità giudiziaria stabilita dal precetto costituzionale e codicistico dell'obbligatorietà dell'azione penale;
negli ultimi dieci anni, a causa dell’eccessivo ed esorbitante numero dei procedimenti pendenti, sono stati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione poco meno di due milioni di reati (in media, ogni anno, si registrano in Italia circa 180 mila prescrizioni), il che ha dato vita ad una vera e propria amnistia strisciante, crescente, nascosta, di classe e non governata;
il sistema giudiziario italiano si contraddistingue inoltre per non essere in grado di far fronte alla massa crescente dell’illegalità che pervade il Paese. La giustizia relativa ai reati minori sta addirittura scomparendo, schiacciata dalle esigenze di quella maggiore. Sicché la giustizia italiana, avendo smarrito la sua funzione di forza stabilizzante e riparatrice, non può più dare né speranza né conforto, e genera invece sofferenza. Anche da questo punto di vista i numeri confermano largamente la crisi in atto. Infatti, su circa tre milioni di delitti denunziati, quasi due terzi riguardano i furti, di cui rimangono ignoti gli autori nella misura del 97,4%. Del resto anche per gli altri reati non è che vada molto meglio, giacché su omicidi, rapine, estorsioni e sequestri di persona a scopo di estorsione, la percentuale media degli autori che rimane impunita supera l’80%;
l’elevato numero dei reati che ogni anno rimangono sostanzialmente impuniti, accompagnato all'enorme numero di processi pendenti e all'impossibilità che questi siano definiti in tempi ragionevoli, ha ormai determinato una sfiducia generalizzata dei cittadini nel sistema giustizia tale da rendere sempre più concreto il pericolo che si ricorra a forme di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Del resto se si pensa che ogni processo penale coinvolge un numero di persone, come imputati o come parti lese, certamente superiore alle cifre sopra indicate, si ha subito la sensazione concreta dell’entità dell’interesse e del malcontento che per la giustizia hanno i cittadini. Non senza considerare le spese e i costi materiali e le ansie che i processi comportano per ciascuna delle persone coinvolte e dei loro familiari;
le numerose condanne che ancora vengono pronunciate nei confronti dell’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo testimoniano come le misure adottate dal nostro Paese in questi ultimi due decenni non siano risultate idonee ad assicurare il ripristino di condizioni di funzionamento dell’apparato giudiziario ritenute normalmente accettabili a livello internazionale;
la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente un sistema giudiziario efficiente, per il cui miglioramento è necessario realizzare riforme normative organiche e stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell’amministrazione della giustizia;
per realizzare una seria riforma della giustizia occorre un progetto organico di interventi diretti a restituire credibilità ed efficienza all'intero sistema giudiziario, allo scopo di farlo funzionare, fornendo risposte rapide ed efficienti alle attese dei cittadini e assicurando loro una ragionevole durata dei processi civili e penali, nel rispetto dell'articolo 111 della Costituzione e senza rinunziare alle altre garanzie costituzionali;
il sistema giudiziario, oltre che efficiente, va reso anche giusto e garantito, sicché occorre realizzare una riforma complessiva del diritto e del processo penale, il cui obiettivo sia quello di assicurare non solo l’efficacia del sistema giudiziario, ma anche l’affermazione di principi quali, tra gli altri, la terzietà del giudice, la responsabilità civile dei magistrati e il superamento del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale;
in particolare, per il sistema penale, è di massima importanza introdurre strumenti di deflazione del carico di lavoro degli uffici inquirenti e giudicanti quali: la depenalizzazione dei reati minori, l'introduzione dell'istituto dell'archiviazione dell'irrilevanza penale del fatto e la mediazione dei conflitti interpersonali. In questa stessa chiave assume un ruolo strategico la previsione di una clausola di necessaria offensività del fatto penale. Già da sole, queste innovazioni assicurerebbero maggiore razionalità, coerenza ed efficienza al sistema penale;
ritenuto inoltre che
la situazione di grave crisi e sfascio in cui versa il nostro apparato giudiziario incide pesantemente sulla sua appendice ultima, quella carceraria, sicché nel contesto dato i concetti stessi di “pena certa” e di esecuzione “reale” della stessa rischiano di risultare fortemente limitativi se non del tutto fuorvianti;
il numero elevato ed in costante crescita della popolazione detenuta, che al 31 agosto 2011 ammontava a 67.104 unità – a fronte di una capienza regolamentare di 45.647 posti -, produce un sovraffollamento insostenibile delle nostre strutture penitenziarie;
i nostri istituti di pena stanno affrontando una fase di profonda regressione perché “affogati” e privi di funzionalità a causa dell’aumento di misure contraddittorie ed incontrollabili nell’ambito dell’esecuzione pena e del sistema penitenziario;
i detenuti ristretti in custodia cautelare sono 27.808, di questi ben 14.075 sono in attesa della sentenza di primo grado. In pratica poco più del 40% dei reclusi - ossia una percentuale doppia rispetto a quella della media europea - è in attesa di giudizio e quasi la metà di loro verrà assolta all’esito del processo; il che significa che il ricorso sempre più frequente alla misura cautelare in carcere e la lunga durata dei processi – dato abnorme e anomalia tipicamente italiana - costringe centinaia di migliaia di presunti innocenti a scontare lunghe pene in condizioni spesso disumane;
nel corso del convegno: “Giustizia! In nome del popolo sovrano”, svoltosi lo scorso 28 e 29 luglio presso il Senato della Repubblica, il dott. Ernesto Lupo, primo presidente della Corte di Cassazione, ha dichiarato: “[…]Tenere sempre presente la concreta realtà carceraria può e deve costituire un efficace antidoto all’uso non necessitato della custodia cautelare  e  contribuire a far diminuire il dato percentuale dei detenuti imputati, oggi ancora elevato, per quanto inferiore a quello degli anni passati. […]Il carcere, in queste condizioni, rischia di essere un fattore generatore di illegalità, in contrasto palese e inaccettabile con la sua fisionomia normativa […]”;
tra quanti in Italia stanno scontando una condanna definitiva, il 34,4% ha un residuo di pena inferiore ad un anno, addirittura il 62,9% inferiore a tre anni, soglia che rappresenta il limite di pena per l’accesso alle misure alternative della semilibertà e dell’affidamento in prova, il che dimostra come in Italia il sistema delle misure alternative si sia sostanzialmente inceppato; ciò sebbene le statistiche abbiano dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva bassissimo, mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere con una percentuale del 70%; le misure alternative quindi abbattono i costi della detenzione, riducono la possibilità che la persona reclusa commetta nuovi reati aumentando la sicurezza sociale e sconfiggono il deleterio “ozio del detenuto” avviandolo a lavori socialmente utili con diretto vantaggio per l’intera comunità;
il 30% dei detenuti è tossicodipendente, il 20% invece è affetto da patologie psichiatriche. Negli ultimi 11 anni nelle carceri italiane sono morti 1.800 detenuti, di cui 600 per suicidio. Quest’anno all’interno dei nostri istituti di pena si contano già 146 decessi, di cui 51 suicidi. In Italia la percentuale delle morti violente in carcere su 10.000,00 detenuti è pari al 10,24%, negli Stati Uniti del 2,55%: in pratica nelle carceri italiane le morti violente accadono con una frequenza addirittura 4 volte maggiore rispetto a quanto avviene nei famigerati penitenziari americani;
in tale contesto si registra, inoltre, una gravissima carenza organica del Corpo di Polizia penitenziaria per circa 7.500 unità; situazione che riguarda anche il personale addetto al trattamento e alla rieducazione dei detenuti;
il sovraffollamento, la mancanza di spazi, l’inadeguatezza delle strutture carcerarie, la carenza degli organici e del personale civile, lo stato di sofferenza in cui versa la sanità all’interno delle carceri, tutto ciò provoca una situazione contraria ai principi costituzionali ed alle norme del regolamento penitenziario impedendo il trattamento rieducativo e minando l’equilibrio psico-fisico dei detenuti, con incremento, negli ultimi due anni, dei suicidi e di gravi malattie; ed invero il sovraffollamento ha effetti dirompenti, tra l’altro, proprio sulle condizioni di salute dei reclusi, ai quali non vengono garantite le più elementari norme igieniche e sanitarie, atteso che gli stessi sono costretti a vivere in uno spazio che non corrisponde a quello minimo vitale, con una riduzione della mobilità che è causa di patologie specifiche;
il sovraffollamento rischia di assumere dimensioni tali da creare addirittura problemi di ordine pubblico; in questa situazione di emergenza la funzione rieducativa e riabilitativa della pena è venuta meno; il rapporto numerico tra detenuti ed educatori e assistenti sociali ha frustrato ogni possibile serio tentativo di intraprendere e seguire, per la maggior parte dei reclusi, percorsi individualizzati così come previsto dall’ordinamento penitenziario. Tutto ciò rappresenta innanzitutto una questione di legalità perché nulla è più disastroso che far vivere chi non ha recepito il senso di legalità - avendo commesso reati - in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto viene attuato in pratica ed è quotidianamente vissuto dagli operatori del settore e dai detenuti stessi;
l’enorme tasso di sovraffollamento comporta automaticamente porsi fuori dalle regole minime, costituzionalmente previste, della funzione rieducativa della pena per scadere in quei trattamenti contrari al senso di umanità sanzionati non solo dal nostro ordinamento giuridico, ma anche dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo se è vero, come è vero, che recentemente lo Stato italiano è stato condannato - sulla base dell’art. 3 della Convenzione (divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti) - a mille euro di risarcimento per aver costretto un detenuto a vivere due mesi e mezzo all’interno di una cella in uno spazio di appena 2,7 metri quadrati (Sulejmanovic c. Italia – ricorso n. 22635/03);
nel gennaio 2010 il Ministro della Giustizia aveva comunicato all'Assemblea del Senato che per affrontare la drammatica situazione del nostro sistema carcerario il Consiglio dei Ministri aveva disposto la dichiarazione dello stato di emergenza per tutto il 2010: uno "strumento fondamentale" a parere del Ministro - per provvedere alla realizzazione di quegli interventi che avrebbero consentito di rispettare il precetto dell'articolo 27 della Costituzione, secondo il quale "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato";
il cosiddetto Piano carceri per il 2010, tanto propagandato dal Ministro, rimane in gran parte inattuato: il primo pilastro del piano, relativo agli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione di nuovi padiglioni e di istituti necessari ad aggiungere oltre 20.000 posti alla dotazione disponibile, è molto lontano dall'essere realizzato: come ammesso dalla stessa amministrazione penitenziaria solamente per la creazione di 10.806 nuovi posti ci sarebbe una adeguata copertura finanziaria, senza però considerare i costi per il personale da assumere per le nuove strutture, la gestione quotidiana delle carceri, per non parlare dell'eventuale costo del lavoro dei detenuti. Si punta tutto sulla realizzazione di nuovi padiglioni da costruirsi all'interno delle mura di cinta di istituti penitenziari già esistenti occupando, quindi, spazi oggi a disposizione del personale penitenziario o della popolazione detenuta per attività sportive o ricreative che si tengono all'aperto, attività essenziali ad assicurare quel minimo di vivibilità delle attuali strutture;
non si è ancora proceduto alle duemila assunzioni di nuovi agenti di polizia penitenziaria che avrebbero dovuto costituire il terzo pilastro del piano: l'articolo 4 della legge 26 novembre 2010, n. 199, che avrebbe dovuto permetterle, non ha ancora una copertura finanziaria e l'amministrazione non può dunque procedere. Infine, riguardo agli interventi normativi annunciati - il secondo pilastro del piano del Ministro - la legge sull'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori un anno sta avendo effetti trascurabili sulla popolazione penitenziaria, mentre ancora non è stato proposto dal Governo alcun provvedimento sulla messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni;
di fronte alle drammatiche condizioni di vita dei detenuti, il "piano carceri" fornisce risposte di tutta evidenza inadeguate. E’ indispensabile l’elaborazione e l’attuazione di un progetto che punti insieme alla riduzione della pena carceraria e, soprattutto, dell’area della penalità; occorre inoltre riavviare il sistema delle misure alternative, ripensando quel meccanismo di preclusioni automatiche che – soprattutto con riferimento ai condannati a pene brevi – ha finito per imprimere il colpo mortale alla capacità di assorbimento del sistema penitenziario; su tale versante è anche necessario rafforzare e rendere più estesa l’applicazione della detenzione domiciliare quale strumento centrale nell’esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità anche attraverso l’attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
intervenendo in occasione del convegno: “Giustizia! In nome del popolo sovrano”, svoltosi lo scorso 28 e 29 luglio presso il Senato della Repubblica, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dichiarato che la giustizia “è una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile” e che la realtà carceraria rappresenta “un’emergenza assillante, fuori del trattato costituzionale, che ci umilia in Europa e nel mondo”, sollecitando quindi dalla politica “uno scatto e delle risposte”;
nel libro “Diritti e Castighi”, Lucia Castellano e Donatella Stasio - rispettivamente direttrice di carcere e giornalista – hanno definito la condizione carceraria presente all’interno dei nostri istituti di pena con l’espressione “tortura legalizzata”;
in un recente saggio il dott. Alberto Gargani, Professore di diritto penale, studiando il rapporto tra sovraffollamento e violazione dei diritti umani, ha scritto che nei confronti dei detenuti vengono consumate quotidianamente forme di maltrattamento massive e seriali a causa dell’eccessivo numero delle persone ristrette all’interno dei nostri istituti di pena;
con riferimento alla situazione esistente all’interno dei nostri istituti di pena, nel 2006 il dottor Sebastiano Ardita – allora responsabile della Direzione generale dei detenuti e trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria - ha dichiarato: “siamo consapevoli di versare in una situazione di grave, perdurante, quanto involontaria ed inevitabile divergenza dalle regole, per il fatto di non essere nella materiale possibilità di garantire, a causa del sovraffollamento, quanto previsto dalle normative vigenti e dal recente regolamento penitenziario” (fonte ANSA 1° marzo 2006);
il Dott. Francesco Cascini, magistrato, responsabile del servizio ispettivo del DAP, in occasione del workshop realizzato all’interno del seminario per giornalisti “Redattore Sociale” tenutosi nel novembre 2009 ha reso noto che “in tutti i Paesi europei ci sono circa 500mila detenuti, di cui 130mila in attesa di giudizio. L’Italia contribuisce con oltre 31mila detenuti. E’ di gran lunga il Paese con il numero più alto di detenuti in attesa di giudizio”;
nel corso del convegno “Sovraffollamento: che fare?” svoltosi a Sarzana il 13/07/2011, il dott. Piergiorgio Morosini, Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Palermo nonché Segretario di Magistratura Democratica, ha dichiarato: “L’ordine di mandare in carcere un individuo può avere alla base solo delle giustificazioni forti; non basta l’esigenza di neutralizzare una persona pericolosa e non basta neppure rispondere ad un male illegale con un male legale. La vera ragione che giustifica quell’atto di carcerazione è il fatto che noi in quel momento cerchiamo di creare le condizioni perché quel soggetto inizi un percorso diverso nella sua vita, con qualche possibilità di reinserimento nella società nel momento in cui egli sarà fuori dal carcere. Se così non fosse il nostro atto sarebbe un atto di mera forza, ma se addirittura costringessimo quello stesso individuo ad andare in un luogo degradato, il nostro atto diventerebbe violento e moralmente inaccettabile”;
nella relazione presentata alla Camera dei deputati il 27 gennaio 2009, l’allora Ministro della Giustizia, Angelino Alfano ha testualmente riferito alle Camere quanto segue: “Quello che di impressionante vi è da sottolineare immediatamente all'attenzione di tutti voi è la mole dei procedimenti pendenti, cioè, detto in termini più diretti, dell'arretrato o meglio ancora del debito giudiziario che lo Stato ha nei confronti dei cittadini: 5 milioni 425mila i procedimenti civili, 3 milioni 262mila quelli penali (che arrivano a 5 milioni e mezzo con i procedimenti pendenti nei confronti di ignoti). Ma il vero dramma è che il sistema non solo non riesce a smaltire questo spaventoso arretrato, ma arranca faticosamente, senza riuscire neppure ad eliminare un numero pari ai sopravvenuti, così alimentando ulteriormente il deficit di efficienza del sistema”;
in questo contesto, le condizioni disumane in cui si espia la pena in carcere sono diventate più una forma di perpetuazione dell'ingiustizia, piuttosto che uno strumento di affermazione della certezza del diritto anche nel suo aspetto punitivo; nei nostri istituti di pena vengono recluse, infatti, soprattutto le persone meno in grado di utilizzare la pressoché paralisi del sistema giudiziario a proprio vantaggio, per esempio attraverso l'istituto della prescrizione, o gli autori dei reati collegati a fenomeni sociali come l'immigrazione e la tossicodipendenza, che lo Stato aggrava con leggi inadeguate a risolverli;
di fronte ad un sistema giudiziario e ad una realtà carceraria così ingiusti e così lontani dai loro veri scopi e alla luce delle gravi condizione igieniche e di vivibilità che hanno ormai trasformato la pena in una tortura legalizzata e il carcere in un sistema chiuso, sempre più patogeno e criminogeno, occorrono soluzioni immediate e radicali in grado di assicurare l’improcrastinabile rientro da parte del nostro Paese nel perimetro della Legge e dello Stato di Diritto;
in un contesto di tale sfascio e assenza di legalità, su iniziativa dei deputati e senatori radicali eletti nelle liste del partito democratico, sono già state presentate e approvate risoluzioni e mozioni che hanno impegnato il Governo a varare alcune importanti riforme sia in ambito giudiziario che penitenziario, ma a tutt’oggi i dispositivi contenuti in quei documenti parlamentari non hanno avuto alcun tipo di seguito, il che dimostra la totale assenza di strategia da parte del Governo nell’affrontare la crisi che stanno attraversando i nostri istituti di pena e le nostre aule giudiziarie;
l’attuale situazione di profonda e devastante illegalità in cui versano il nostro sistema giudiziario e penitenziario non si possono essere affrontate con misure tanto effimere quanto intempestive sul fronte dell’edilizia penitenziaria o della depenalizzazione dei reati minori, ma solo con provvedimenti quali l’amnistia e l’indulto i quali avrebbero il pregio di riattivare immediatamente i meccanismi giudiziari ormai prossimi al collasso, evitando una dissennata lotta contro la prescrizione incombente, consentendo così al nostro Stato di rientrare nella legalità e di ricondurre il sistema carcerario a forme più umane, il che faciliterebbe l’avvio di quelle riforme strutturali e funzionali della Giustizia capaci di impedire il rapido ritorno alla situazione attuale;
l'amnistia e l’indulto, quindi, non rappresentano soltanto una risposta d'eccezione ed umanitaria al dramma della condizione carceraria, ma costituiscono la premessa indispensabile per l'avvio e l'approvazione di riforme strutturali relative al sistema delle pene, alla loro esecuzione e più in generale all'amministrazione della giustizia. Inoltre la loro approvazione è necessaria per ricondurre entro numeri sostenibili il carico dei procedimenti penali nonché per sgravare il carico umano che soffre in tutte le sue componenti (detenuti, personale amministrativo e di custodia) la condizione disastrosa delle prigioni, perché nessuna giustizia e nessuna certezza della pena possono essere assicurate se uno Stato per primo non rispetta la propria legalità ed è impossibilitato a garantire la certezza del diritto:-
considerato altresì che
nonostante la profonda e strutturale crisi del nostro sistema giudiziario e penitenziario, il tema giustizia e carceri è praticamente scomparso sia nei telegiornali che nelle trasmissioni di approfondimento del nostro sistema televisivo, il che è dimostrato dai recenti dati elaborati dal Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva con riferimento alle edizioni principali – meridiane e serali – dei telegiornali delle reti RAI, Mediaset e La7 andate in onda nel periodo 1 luglio-21 settembre 2011;
in particolare le analisi di cui sopra sono suddivise in tre periodi distinti, relativi alle seguenti iniziative politiche e istituzionali: a) “periodo 1”: sciopero della fame e della sete di Marco Pannella e Convegno “Giustizia! In nome del popolo sovrano” promosso dal Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, sotto l'Alto patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Senato della Repubblica (1 – 29 luglio 2011); b) “periodo 2”: Giustizia e carcere. I radicali promuovono uno sciopero generale della fame e della sete per chiedere la convocazione straordinaria del Parlamento su Giustizia e Carceri (30 luglio – 31 agosto 2011); c) “periodo 3”: il Senato della Repubblica si riunisce in seduta straordinaria per comunicazioni del Ministro della giustizia sul sistema carcerario e sui problemi della giustizia (1 – 21 settembre 2011);
per quanto riguarda i dati che emergono dall’analisi del “periodo 1” (1-29 luglio 2011) si evince che nel mese di luglio 2011 il tema “carceri” è presente in 17 notizie su circa 8.000 notizie totali tra le edizioni principali dei telegiornali delle reti Rai, Mediaset e La7. Le notizie sono concentrate nei giorni del convegno “Giustizia! In nome del popolo sovrano” e focalizzate sull’intervento del Presidente della Repubblica. Sono stati circa 49milioni (pari allo 0,3%) gli ascolti consentiti su un totale del periodo di 15,5miliardi. In particolare: Tg1: 16milioni di ascolti su 4,5miliardi totali (0,3%), in 5 notizie su 1.409; Tg2: 12milioni di ascolti su 2,7miliardi totali (0,4%), in 5 notizie su circa 1.500 ; Tg3: 3,5milioni di ascolti su 1,4miliardi totali (0,2%), in 2 notizie su circa 900; Tg4:; 0,7milioni di ascolti su 586milioni totali (0,1%), in 1 notizia su circa 1.000; Tg5: 15,3milioni di ascolti su 1,7miliardi totali (0,9%), in 4 notizie su circa 1.100; Studio Aperto: nessuna notizia su 894; Tg La7: 1,7milioni di ascolti su quasi 1miliardo di ascolti totali (0,2%), in 1 notizia su 900; il Tg Parlamento, infine, ha trattato il tema del convegno “Giustizia! In nome del popolo sovrano” in 3 puntate consentendo circa 2milioni di ascolti, mentre il Tg3 Linea notte in una puntata consentendo circa 800mila ascolti;
per quanto riguarda i dati che emergono dall’analisi del “periodo 2” (30 luglio-31 agosto 2011) si evince che - nonostante i radicali abbiano visitato gli istituti penitenziari annunciando il 14 agosto lo sciopero totale della fame e della sete per la convocazione straordinaria del Parlamento su Giustizia e Carceri (iniziativa alla quale hanno aderito più di 1.800 persone) - dal 30 luglio al 31 agosto il tema carceri è presentato ai cittadini in 19 notizie su quasi 8.000 notizie trattate nel periodo. In pratica gli ascolti consentiti su questo argomento sono stati 35 milioni (0,2%), su un totale di 15,6miliardi di ascolti. In particolare: Tg1: 3,8milioni di ascolti su circa 4miliardi totali (0,09%) in 1 notizia su 1.000; Tg2: 9milioni di ascolti su 2,6miliardi totali (0,3%), in 4 notizie su 1.350; Tg3: 3milioni di ascolti su 1miliardo (0,3%) totale, in 2 notizie su 958; Tg4: 2,5milioni di ascolti su 0,6miliardi totali (0,4%), in 4 notizie su circa 1.000; Tg5: 14 milioni di ascolti su 3,8miliardi totali (0,36%), in 5 notizie su 1.200; Studio Aperto: nessuna notizia su 1.235 totali; Tg La7: 2,7 milioni di ascolti su 880 milioni totali (0,3%), in 3 notizie su 912;
per quanto riguarda i dati che emergono dall’analisi del “periodo 3” (1-21 settembre 2011) si evince che – a fronte del fatto che nel mese di settembre 2011, su iniziativa dei radicali, è stato convocato il Senato della Repubblica in seduta straordinaria per comunicazioni del Ministro della giustizia sul sistema carcerario e sui problemi della giustizia - sono stati circa 31milioni gli ascolti consentiti su questa iniziativa su un totale di 12,6miliardi (0,2%), ossia in 11 notizie su 5.600. In particolare: Tg1: nessuna notizia su 933 notizie del periodo; Tg2: 8,2milioni di ascolti su 3,6miliardi totali (0,2%), in 3 notizie su 933; Tg3: 7,6milioni di ascolti su 2miliardi totali (0,4%), in 4 notizie su circa 700; Tg4: nessuna notizia; Tg5: 15milioni di ascolti su 3,2miliardi totali (0,5%), in 4 notizie su 850; Studio Aperto:nessuna notizia su 770; Tg La7: nessuna notizia su 605; Tg Parlamento ha trattato l’iniziativa in 3 puntate consentendo circa 3milioni di ascolti ai cittadini;
nei tre periodi analizzati, i dati aggregati dimostrano che gli ascolti consentiti sui temi della giustizia e della carceri sono rispettivamente dello 0,3% per il primo,periodo, e dello 0,2% per il secondo e il terzo: mentre sugli omicidi Rea e Scazzi in confronto, gli ascolti consentiti sono stati del 2,4% per il primo periodo (otto volte superiori), del 3% nel secondo (15 volte superiori) e dell'1,1% nel terzo (cinque volte e mezzo superiori);
si conferma, quindi, anche in questo caso, il carattere strutturalmente fuorilegge di un sistema radiotelevisivo che costringe il popolo italiano a ignorare le ragioni alla base della compiuta distruzione dello Stato di diritto e della democrazia, al tempo stesso sottraendogli la possibilità di conoscere e giudicare le diverse proposte politiche anche in materia di Giustizia e Carceri;
impegna 
tutte le forze istituzionali, garanti della legalità della repubblica italiana e della legalità e difesa dei diritti umani a promuovere e assicurare almeno due mesi di riparazione della negata conoscenza e informazione dei cittadini italiani sul drammatico stato della giustizia attraverso dibattiti e approfondimenti televisivi che vedano lo specifico confronto tra coloro che sostengono la necessità di un provvedimento urgente di amnistia e indulto per interrompere l'illegalità e la flagranza di reato in cui si trovano ad operare le istituzioni del nostro paese e coloro che invece ritengono di potere affrontare adeguatamente il problema con i più consueti e tradizionali strumenti.
fonte: Notizie Radicali

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