CARCERE: ROMPERE LE GABBIE!
Le carceri italiane hanno poco da invidiare a paesicome la Turchia, sono infatti tra le più affollate d’Europa, in alcune
regioni i detenuti sono il doppio del numero consentito, ogni mese
entrano circa 1000 detenuti,la stragrande maggioranza dei quali per
reati legati al possesso e spaccio di droga anche leggera, alla
immigrazione clandestina e a piccoli reati. La popolazione carceraria a
fine anno arrivarà dunque a 70 mila unità, a fronte di una capienza di
44mila posti. Il 50% dei detenuti nelle carceri italiane è in attesa di
giudizio e i dati del Ministero di grazia e Giustizia dicono che il 30%
di loro viene assolto al momento del processo. Il 40% dei detenuti ha
semplicemente violato le regole sancite dalla legge 3091990 meglio nota
come testo unico sulle droghe. In carcere ci sono quasi 27 mila detenuti
tossicodipendenti circa il 70% in più di quelli ricoverati in strutture
terapeutiche. I detenuti migranti non possono per lo più beneficiare
degli arresti domiciliari perché non hanno un posto dove andare, sono
privi di legami affettivi stabili e di supporti esterni (famiglia,
lavoro, legami sociali). Ben 13 mila detenuti immigrati sono colpevoli
solo di non avere rispettato l’ordine del questore di lasciare il
territorio nazionale, il loro reato risiede nella loro stessa esistenza
sociale . Ed è bene sapere che il detenuto che trascorre la pena in
carcere ha buona possibilità di tornare dietro le sbarre (il 68%) al
contrario di chi invece beneficia di misure alternative (meno del 27%
torna in carcere), ciò a dimostrare l’inutilità del carcere se non per
riprodurre le condizioni stesse della propria legittimazione
securitaria.
Allora questi pochi dati ci consentono di dire con
assoluta certezza che a nelle carceri italiane c’è un alto numero di
detenuti innocenti e quelli colpevoli in buona parte dovrebbero
beneficiare di misure alternative al carcere se esistesse una
legislazione e uno stato di diritto degne di questo nome e non legate
all’emergenza, alla carcerazione preventiva, alla ferocia securitaria
che sottrae risorse alla scuola e al sociale per investirli in apparati
repressivi, militari e di controllo sociale. L’Italia è stata condannata
per trattamenti degradanti e inumani, l’Italia non ha sottoscritto la
convenzione internazionale contro la tortura, è ormai drammatica
l’emergenza umanitaria e sanitaria, malattie come la scabbia, l’epatite,
la stessa Tbc sono diffusissime negli istituti di pena. La situazione
delle carceri è insostenibile come si evince dalle sempre più numerose
denunce di maltrattamenti, di pestaggi che arrivano ai garanti dei
detenuti e a quei legali che si occupano di queste tematiche.
A questo
punto , se vogliamo affrontare la tematica carceraria bisogna partire da
una lotta per l’ abrogazione delle leggi vergognose che alimentano la
detenzione e al contempo creano un clima sociale irrespirabile. Ci
chiediamo se la Bossi fini, la Fini Giovanardi e la Cirielli che
insaprisce le pene e ai recidivi e impedisce l’accesso a misure
alternative al carcere, come la semilibertà i permessi o l’affidamento
in prova, non siano leggi da abolire (come anche quegli aspetti
dell’ordinamento penitenziario vedi l’art.4 bis) e contro le quali
aprire una campagna politica che inchiodi la classe politica
all’assunzione di precise responsabilità. Ci chiediamo se non valga la
pena di partire dal carcere per una battaglia contro il testo unico
sulle droghe, per la eliminazione del reato di clandestinità e di
mancata ottemperanza all’ordine di espulsione, la costruzione di
percorsi terapeutici da un lato e di reinserimento sociale dall’altro,
tempi celeri per i processi che certo non potranno essere ottenuti con
una macchina giudiziaria sulla quale pesano come macigni le decisioni ad
personam del Presidente del Consiglio e del Ministro Alfano. Sarebbe
ragionevole una riforma seria del Codice Penale italiano, in buona parte
fermo ancora agli anni “30 della dittatura (vedi la configurazione dei
reati associativi e di pericolo presunto) che si concluda con una
Amnistia riequilibratrice. Sono questi solo alcuni esempi di come
trasformare la questione carceraria in battaglia politica perché la
soluzione non sia la riproposizione delle logiche securitarie, la
edificazione di nuovi carceri o delle chiatte galleggianti.
Occuparsi
oggi di carcere significa non solo aiutare il detenuto e seguire il tema
specifico di cui nessuno piu’ si occupa, vuol dire rimettere in
discussione legislazioni, modelli sociali e culturali ormai trasversali
al sistema politico. E da qui riparte la campagna no carcere, perché le
zone del silenzio si trasformino in proposta e azione politica.
ZONE DEL SILENZIO -PISA-
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