domenica 27 marzo 2011

SALUTE IN GABBIA


Siamo a Rebibbia, a Roma. Il carcere è uno dei meglio diretti nel Paese. Con Luigi Nieri e Giancarlo Torricelli incontriamo un bel po’ di detenuti. Caso 1: giovane, affetto da Aids conclamata. Una pancreatite acuta gli impedisce l’assunzione della terapia anti-retrovirale. I valori stanno andando pericolosamente verso il basso. Sta molto male. Fa fatica ad alzarsi dal letto.
Caso 2: giovane, ha un tumore all’apparato intestinale, gli viene asportato lo stomaco. Molto magro. Non riesce a mangiare. Iniziano a ritirarsi le gengive. I valori del ferro sono bassissimi.
Caso 3: giovanissimo, soffre di una grave forma di epilessia. Gli stessi compagni di cella sono preoccupatissimi ogniqualvolta (praticamente tutti i giorni) ha un attacco epilettico che lo porta a cadere violentemente per terra. L’epilessia gli determina episodi di cefalea dolorosissimi tanto da costringerlo ad assumere anche sei anti-infiammattori al giorno con gravi danni collaterali.
Caso 4: di media età, una cisti gli ha oramai deturpato il viso. Aspetta da tempo (lui dice due anni circa) l’intervento chirurgico. Nel frattempo la cisti cresce di dimensioni e effettivamente fa una grande impressione.
Caso 5: anche lui di media età, una forma grave di psoriasi gli ha completamente seccato la pelle che cade a strati.
Non è facile capire che fare in casi di questo genere. Viene naturale chiedersi se la loro condizione di salute sia compatibile con il carcere. Il punto, probabilmente, non è il tipo di cura ma il tipo di ambiente. Quello carcerario, patogeno per una persona sana, diventa tragico, e in alcuni casi crudele, per una persona gravemente malata.
E’ vero che ognuno di quei cinque casi può astrattamente ricevere utili o inutili terapie anche in galera, ma è altrettanto vero che il carcere – con la sua durezza di vita, con le sue regole, con i suoi inevitabili tempi lenti, con il suo condizionamento psicologico – accelera e rende più dolorosi i processi patologici fino a renderli mortali. Inoltre un luogo di vita salubre e una terapia azzeccata può cambiare in meglio la vita delle persone.
Salute e sicurezza entrano, per la magistratura, in conflitto (artificioso, visto che è ben difficile che un malato allettato si trasformi in un efferato criminale). La vita – che non è solo quella biologica ma è più correttamente quella biografica (come afferma Eligio Resta) – è un bene, un valore, un diritto che vorremmo stesse sempre al di sopra di tutto.


difensorecivico@associazioneantigone.it


(18 febbraio 2011) 



Nessun commento:

Posta un commento