lunedì 28 marzo 2011


SABATO 12 MARZO 2011

OCCHIO DI GIUDA : Autolesionismo

OCCHIO DI GIUDA : Autolesionismo

Premetto che non parlo di autolesionismo in generale , almeno in apertura di questa riflessione, ma di autolesionismo in un particolare contesto qual è quello del carcere. Premetto anche che spesso trattandosi di adolescenti la ricerca delle libertà , la spinta al cambiamento avviene con un taglio e una rottura anche distruttiva e violenta.Una rottura per esempio nei confronti di quello che si è al momento in cui si è entrato in carcere ma anche di quello che si è durante la stessa detenzione.
L’autolesionismo fisico dunque a volte è la manifestazione di un disagio.
Ma perché molti ragazzi, tra quelli con i quali sono vissuto per quasi quarant’anni manifestano il loro disagio in questo modo? In sintesi e avvicinandomi al problema in modo diretto devo dire che purtroppo che questo è uno dei pochi modi per segnalare uno stato di disagio in minori che posseggono pochi strumenti . Si tratta di una povertà di strumenti, appunto, che mette l’adolescent6e nella incapacità di agire in altro modo. La coazione a ripetere fa sì che quel comportamento venga ripetuto tutte le volte che si ripetono determinate circostanze.Ancora.Orobabilmente la manifestazione di disagio attraverso atti di autolesionismo è frutto di un’attenzione poco efficace da parte degli operatori ,a causa di una comunicazione intempestiva, di un approccio formale ( che è , per quest’ultimo caso, quasi sempre il rischio delle istituzioni).
Poi c’è da dire che gli operatori mettono lo sguardo sul fatto in se stesso e non si curano forse abbastanza di altri momenti ovvero non hanno abbastanza attenzione per le motivazioni del gesto o per le soluzioni che il gesto richiede.Il farsi male con l’autolesionismo però non scaturisce sempre da un quadro psicopatologico tale da richiedere un intervento nei confronti di chi lo mette in atto di tipo medico, psichiatrico, psicologico o farmacologico. L’autolesionismo interessa solo alcuni giovani e li interessa in quella sfera che è il loro intimo , nella loro fragilità strutturale ed è determinato anche da problemi di carattere familiare e dell’ambiente da cui provengono. Concorrere ad aiutare l’adolescente ad un recupero del sè per una valorizzazione delle sue capacità lo induce spesso a riconsiderare molti aspetti delle esperienze che vive in quella età e lo aiuta quindi a sviluppare strumenti con i quali muoversi .
Certo nel carcere, partendo da una affermazione della letteratura scientifica che dice grossomodo “laddove la persona non è più dotata di capacità c’è una persona non dotata di potere” il discorso si fa più complicato . Resta il fatto che comunque il comportamento autolesionistico rimane un tentativo di riacquistare potere rispetto ad una istituzione e rispetto ad un contesto.Gesti di questo tipo richiamano l’attenzione. La soluzione degli operatori dunque in un contesto carcerario deve tendere a prestare più attenzione e più ascolto per prevenire sul nascere tali comportamenti.
Siamo spesso in un quadro di disperazione , di bisogno che è di tipo materiale altrettanto spesso o siamo in una condizione di ricerca di attenzione umana negata.
Comportamento autolesionistico è ammissione di malessere. Certo in contesti istituzionali dove la carenza di personale si fa sentire è difficile promuovere maggiore attenzione nei confronti di queste persone. Il dialogo comunque , le ragioni del dialogo, le premesse del dialogo e le condizioni del dialogo sono il lavoro da fare e rappresenta una risorsa per i pochi operatori. In un contesto dialogante non c’è un accaparramento di risorse e la collaborazione diventa spontanea . Questo risolve il primo gradino dei bisogni, quello del comunicare che è fondamentale percostruire altro .
Sono convinto comunque che il carcere è quel posto dove tutti lavorano per qualcosa per cui volendo è possibile costruire altro.
Ma torniamo agli atti di autolesionismo. A volte è difficile capire “Perché lo hai fatto ? ” atteso che “non vuoi dirmelo” oppure che comunque non sai nemmeno perché lo hai fatto.
Lo ha fatto, dico io , perché è arrivato al fondo perché in qual momento non ha visto più alcuna speranza , perché è stato incoerente, perché non sa che cosa sta dicendo, perché non sa, non vuole, non può assumersi responsabilità fino in fondo. . Lo fa in situazioni in cui spesso le altre persone a loro volta non vogliono assumere responsabilità .
Fin qui allora il contributo a questo tema che ho voluto riassumere partendo dalla mia esperienza professionale. Però voglio fare un tentativo per andare oltre. Voglio riflettere un attimo sul nostro autolesionismo, quello di tutti i giorni, quello di cui non ci accorgiamo e che non ha bisogno di una lametta per essere manifestato.
Sono i tentativi di resistere e di opporsi a certe idee , di usare certi strumenti , in sostanza di cercare di vivere in libertà e con libertà.La rottura è di tutti i giorni. Per esempio fumando troppo o bevendo troppi alcolici o dandoci allo shopping incontrollato o insensato , non controllando la nostra dieta noi ci facciamo male. Siamo autolesionisti e lo facciamo perchè andiamo alla ricerca di qualcosa o non ce ne importa più di nulla ( è la stessa cosa forse ) con un senso di vuoto o di pienezza con una aspettativa per qualcosa o con uno stracco senso di appagamento.
Cantava la Rettore “ Datemi una lametta che mi sgarro le vene…” ma non occorre arrivare a tanto per farsi male e male davvero. Basta che noi , in senso metaforico lo pensiamo ecco che dovrebbe suonare un campanello di allarme. Il campanello di un malessere che vogliamo vedere appunto solo in senso metaforico ma che ci sta attanagliando in modo subdolo , inconfessabile : Nei sotterranei della nostra anima vive un’ombra quella necessaria per permetterci di vivere. Ricordate la novella di quello che vendette l’ombra e poi non poteva più vivere. O tutta la letteratura dell’Ottocento che ha costruito affascinanti storie sull’ombra e sul doppio. Ebbene Noi siamo anche questo e per questo dobbiamo fare attenzione. Che per averlo pensato o detto quel pensiero , quella parola non prenda il sopravvento , non ci riduca in schiavitù. Ma c’è una salvezza.Scriveva Mogol e cantava Battista “ …domandarsi perché quando cade la tristezza /in fondo al cuore/ come la neve non fa rumore e guidare come un pazzo a fari spenti nella notte/ per vedere/ se è poi tanto difficile morire /. E stringere le mani per fermare / qualcosa che è/ dentro me/….Parlare del più e del meno con un pescatore ,/ per ore ed ore / per non sentire che dentro qualcosa muore …”
La salvezza delle emozioni.


Eremo Via vado di sole, L’Aquila,
sabato 12 marzo 2011

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