venerdì 25 marzo 2011

Parole-bonsai



Abbiamo scritto un glossario delle parole del carcere. 
Dentro c'è anche un po' della nostra vita e dei nostri sogni.
Ci piacerebbe tanto che lo leggeste.

Se abitate a Milano lo trovate nel bar tabaccheria di fronte a San Vittore, in Piazza Filangieri.

Se volete una copia "personalizzata" possiamo provvedere in un modo curioso, che qui non vi diciamo (è una sorpresa).
Mandate un'e-mail con il vostro nome a emilia@ildue.it, in modo che vi si possa raggiungere via Internet. E' un po' complicato, ma intrigante.

Se siete in una città dove vendono "Terre di mezzo", il venditore del mensile ce l'ha nello zainetto.
E poi cercatelo nelle librerie, bisogna solo scovarlo tra le cataste di libri.







Domandina 




(tratto da: "I pugni nel muro")


Tipica parola-bonsai che rappresenta, come spesso accade in carcere, un concetto-macigno.

In carcere ci sono:
i secondini (oggi nessuno li chiama più così,

 solo i giornalisti che non sanno quanto se la prendono, 
gli agenti di polizia penitenziaria!), 
la squadretta (gruppo di agenti "specializzati" in spedizioni punitive, 

non previste dalla legge, evidentemente!), 
lo scopino (colf dietro le sbarre), per finire, se tutto va bene,

 con il braccialetto (elettronico), nome molto aggraziato 
per il più tecnologico degli schiavettoni..

La domandina è il modello 393, un pre-stampato 

che misura una trentina di centimetri, 
e il cui spazio è diviso più o meno in tre:

in alto stella e alloro della Repubblica

 più dicitura "Ministero della Giustizia - dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria", direzione del carcere, data. 

Il sottoscritto richiede (tre, quattro righe a disposizione).
Seconda parte : notizie e informazioni

 (su ammontare del peculio, posizione giuridica, colloqui), 
una decina di righe, da compilare a cura dell'Amministrazione.

Terza parte : decisione : cinque righe, sottoscritte dal Direttore.
Ogni detenuto fa in media una , due domandine al giorno.
A chi legge le moltiplicazioni del caso.

"Chiedere è lecito, rispondere è cortesia", si dice.
In carcere la cortesia dell'istituzione 

è lenta, burocratica, faticosa, umiliante.

Una volta compilata, la domandina và allo scrivano, 

che la "mette in fila", al capoposto ( la lettura è prerogativa di due, tre agenti),
 poi al brigadiere, che la passa agli "uffici addetti" 
(telegrammi o conti correnti per gli acquisti),
 poi di nuovo agli agenti, alla firma del direttore, 
di ritorno al brigadiere eccetera.

La domandina serve a tutto e per tutto.
Un colloquio con il cappellano, con l'educatore, 

con il Direttore, con un volontario,
 l'acquisto di qualcosa (di lecito, s'intende), dal dentifricio al giornale,
 un francobollo, un telegramma.
Tutto e passibile di domandina, in carcere.

Anzi della "apposita" domandina...
Un detenuto della redazione aveva chiesto

 (come permessa dal regolamento) che al colloquio con un parente 
fosse ammesso il suo amato cane (con medaglietta di riconoscimento).
Risposta: "Sì, se accompagnato".

"Un altro, essendo stato ammesso al lavoro esterno con articolo 21, 

voleva una sveglia.
La Direzione ha respinto la domandina con la richiesta di precisazioni.
Risposta del detenuto: 
"per sapere quand'è ora di andare a dormire"

Sembrano barzellette, sono verità.
È un mestiere sopravvivere in galera. 

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