domenica 27 marzo 2011

IL CASO BIANZINO-LONZI-SALADINO


Gentilissimo Beppe Grillo,
Il caso recente di Stefano Cucchi e, quello ancor più recente, di Giuseppe Saladino a Parma (Il Manifesto dell’11 novembre), hanno richiamato l’attenzione sui casi di Marcello Lanzi e di mio figlio Aldo Bianzino, anch’essi morti in carcere in circostanze tutte da chiarire (chissà quando e soprattutto se). Ora, volendo esaminare il caso di Aldo, bisogna precisare alcune cose.
Il P.M. dott. Giuseppe Petrazzini, che aveva fatto arrestare Aldo e la sua compagna la sera del venerdì 12 ottobre 2007, è lo stesso magistrato che ha in carico le indagini sul suo successivo decesso avvenuto nella notte tra il 13 e il 14, Aldo era stato messo in cella di isolamento nel carcere “Capanne” di Perugia.
Era stato visto da un medico, che l’aveva riscontrato sano e da un avvocato d’ufficio, col quale aveva parlato verso le 17 di sabato. Non sono disponibili registrazioni di telecamere su ciò che è avvenuto successivamente, né, dopo il decesso, la cella risulta sia stata isolata e sigillata, né che siano stati chiamati per un intervento i reparti speciali di indagine dei Carabinieri.
A detta degli altri detenuti del reparto, durante la notte Aldo aveva suonato più volte il campanello d’allarme ed aveva invocato l’assistenza di un medico, sentendosi anche, pare, mandare al diavolo dall’assistente del corridoio, la guardia carceraria Gian Luca Cantore, attualmente indagato. Fatto sta che verso le 8 del mattino di domenica le due dottoresse di turno, arrivate a svolgere il loro turno di servizio, trovarono il corpo di Aldo, con indosso solo un indumento intimo (e siamo a metà ottobre, non ad agosto). I suoi vestiti si trovavano nella cella, accuratamente ripiegati (cosa che Aldo, in 44 anni, non aveva fatto mai). Le due dottoresse provarono di tutto per rianimarlo, ma alla fine dovettero desistere: Aldo era morto. L’autopsia, svoltasi il giorno dopo, diede risultati controversi: si parlò prima di due vertebre poi di due costole, rotte, poi tutto fu negato.
Di certo ci fu un’emorragia celebrale e un’altra di 200 ml. al fegato. Segni esterni di percosse o violenze, nessuno (i professionisti sanno come si fa C.I.A. insegna). Ora, l’emorragia cerebrale è stata imputata ad un aneurisma, quella epatica ad un maldestro tentativo di respirazione artificiale, che le due dottoresse respingono nel modo più assoluto (e ci mancherebbe, si tratta di medici, mica di personale non qualificato), ma nessun altro ha affermato d’aver fatto tentativi in tal senso.
Ora, può accadere quando si è nelle mani delle “forze dell’ordine“, lo abbiamo purtroppo visto in molti casi, basterebbe pensare al G8 di Genova, e magari al colloquio recentemente intercettato nel carcere di Teramo (i detenuti non si massacrano in reparto, ma sotto!). L’emorragia cerebrale potrebbe benissimo essere stata la conseguenza di uno stress per colpi ricevuti in altre parti del corpo, immaginatevi l’angoscia e il terrore di una persona in quelle condizioni.
In ogni caso credo proprio di poter dire in tutta coscienza che Aldo è stato assassinato in un ambiente violento e omertoso, del quale non si riesce neppure a sapere i nomi del personale presente quella notte nel carcere. Quanto al dott. Petrazzini, mi sembra che dignità gli imporrebbe di passare ad altri il suo incarico, date le omissioni, invece di insistere come sta facendo, per ottenere l’archiviazione del caso.
Ma i veri assassini sono coloro che hanno voluto ed ottenuto una legge sulle “droghe” come l’attuale, persone che nella loro profonda ignoranza, considerano in modo globale, senza distinzioni. Una legge fascista e clericale, da Stato etico e peggio, da Stato che manda in galera (con le conseguenze che si sono viste) il poveraccio checoltiva per uso personale qualche pianta di cannabis, mentre, se la droga (quella pesante, cocaina o altre sostanze) circola nei festini dei potenti, non succede nulla. Vorrei dire comunque che un Paese che considera delitto la detenzione e l’uso di droghe, magari solo marijuana, o l’essere “clandestino“, pur non avendo colpe e quasi sempre per sfuggire a condizioni di vita impossibili, uno Stato che avendo preso in custodia delle persone, è responsabile a tutti gli effetti delle loro vite e della loro salute, uno Stato che non riconosce come reato gravissimo la tortura, uno Stato che difende i forti e i potenti e non i deboli, è uno Stato che non può ritenersi civile e non può chiedere ai suoi cittadini (o sudditi?) di amare la propria patria.”
In fede Giuseppe Bianzino, Vercelli, 16 novembre 2009
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Lettera di Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi morto nel carcere di Livorno l’11 luglio 2003, ai parenti di Aldo Bianzino morto nel carcere di Perugia il 14 ottobre 2007.
Pubblicata dal “Manifesto” del 28/10/07
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Sono la mamma di Marcello Lonzi, morto nel carcere delle Sughere l’11 luglio 2003. Voglio mandare un forte abbraccio alla famiglia del povero Aldo Bianzino, morto nel carcere di Perugia.
Vi sono vicina nel dolore e nella rabbia. Ma vorrei dirvi, non mollate. Capisco che non è facile, ma io da 4 anni stò combattendo per avere giustizia. Anche per mio figlio (morte naturale), se non era per le ferite al volto, ci sarei caduta. Un anno fa, però, è stato riesumato e avendo scoperto che non aveva due costole rotte, ma otto, il polso sinistro rotto, due buchi profondi alla testa sino all’osso, mandibola fratturata, non si può definire la sua morte naturale.
Anche io fui avvertita con 12 ore di ritardo e c’è stata un’archiviazione. Ma non ho accettato e ho combattuto contro tutti e tutto, tra poco avrò finalmente una vera risposta. Non credo alle parole del sostituto procuratore Giuseppe Petrazzini, perchè le ho già sentite, ma poi ci fu un’archiviazione.
Ecco perchè vi ripeto non mollate.
All’inizio ci sono state le interrogazioni, tutte quelle belle parole alle quali ti aggrappi con tutta la tua forza, che svaniscono in una bolla di sapone, allora ti chiedi perchè? Perchè? Piangi, vorresti urlare, spaccare tutto e continui a guardare quella foto, l’unica cosa che ti è rimasta. Mi sono chiesta tante volte: perchè quando muore un detenuto la tv, tipo la Rai ecc. non ne parla? Sono figli nostri, mariti; e muoiono in un posto dove lo stato li prende in consegna, e dovrebbe proteggerli. Invece lo stato li uccide. Un abbraccio dal profondo del cuore.
MARIA CIUFFI, Pisa
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Giuseppe Saladino, il giovane morto in carcere a Parma (Ansa)Giuseppe Saladino, il giovane morto in carcere a Parma (Ansa)
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La mamma di Saladino: “Era sano e me l’hanno ridato senza vita”. Forse c’è un “caso Cucchi” a Parma

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“Era sano e me lo hanno ridato senza vita”. A parlare la mamma di Giuseppe Saladino, un giovane di 32 anni morto senza un motivo plausibile nel carcere di via Burla a Parma. Potrebbe trattarsi di un altro caso Cucchi, insomma, anche se è troppo presto per dirlo. La procura di Parma, comunque, ha aperto una inchiesta per omicidio colposo contro ignoti per la morte del detenuto. Il giovane era stato condannato a un anno e due mesi di reclusione dopo essere stato sorpreso a scassinare alcuni parchimetri del centro storico e il giudice gli aveva concesso gli arresti domiciliari nella casa che condivideva con la madre, Rosa Martorano.
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La scelta sconsiderata di uscire, l’incarcerazione e la morte - Nel pomeriggio di venerdì scorso Giuseppe compie un gesto che probabilmente non concepisce in tutta la sua gravità: esce di casa. In pratica, in punta di codice penale, evade. La “bravata”, tuttavia, dura poco perché una pattuglia della polizia lo riconosce e lo porta direttamente in prigione, in via Burla. Trascorrono 15 ore e in casa della signora Rosa arriva una telefonata. All’altro capo del cavo telefonico il direttore del carcere che, con tono di circostanza, le comunica “suo figlio non c’è più”. “Il direttore mi ha detto che Giuseppe era morto – racconta a Tv Parma la donna – aggiungendo che era stata una cosa improvvisa, inspiegabile, mi pare abbia parlato di un malore. Poi ha aggiunto che aveva voluto telefonarmi di persona perché aveva preso in simpatia il mio ragazzo e perché ..sa0 1a0(incomprensibile nel testo, n.d.m.)
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