mercoledì 29 giugno 2011

Domenico D'Andrea: crimine e calcolo economico


In questo saggio l'azione criminosa viene analizzata nell'ottica delle conseguenze economiche e psicologiche.
Un'analisi attenta che porta ad inevitabili ed utili riflessioni.
"La visione che viene fornita da questa teoria è quella di una persona umana responsabile che, prescindendo dalle motivazioni profonde, spesso inconsce, o dai determinismi sociali, sarà più consapevole di quello che compie e delle scelte che effettua sia nell'ambito criminale che in quello lecito. Responsabile e consapevole!
Responsabile e consapevole anche se non sempre la sua condotta è razionale poiché l'uomo allo stesso tempo è dotato di ragione, di sentimenti e di emozioni ed è proprio da questa consapevolezza e dalle relative scelte che derivano la colpa morale e la responsabilità penale." (Domenico D'Andrea)




Crimine e calcolo economico
di D'Andrea Domenico


L'economia ha sempre avuto un ruolo preponderante nel gestire le cose pubbliche e private. Nessuno muove un solo passo se non per un ritorno economico razionale conscio o inconscio.
Così come per il mondo del lavoro, il mondo della politica, delle ideologie e delle religioni si orientano sul calcolo economico razionale, anche il mondo del crimine fonda i suoi pilastri nel calcolo di utilità, il più delle volte irrazionale.
Le regole dell'economia sono spietate tanto quelle del crimine, infatti: l'imprenditore irrazionale sopporta il peso del fallimento; il politico irrazionale sopporta il peso della perdita del consenso; la religione irrazionale vedrà calare il numero dei suoi fedeli; ed in fine anche il delinquente irrazionale si ritroverà in carcere con perdite enormi, sarà stigmatizzato ed escluso dal contesto sociale con scarse possibilità di ripristinare la situazione quo ante.
I pilastri del socialismo reale sono crollati perché la gestione delle imprese da parte dello stato non è stata in grado di fornire quel livello di benessere materiale proprio dei paesi capitalisti. Così un errato calcolo economico razionale ha comportato il crollo dell'ideologia comunista e la caduta dell'impero sovietico.
Allo stesso modo, un delinquente irrazionale che compie un crimine irrazionale comporta la fine di se stesso.
Con il modificarsi delle regole economiche sono andati mutando anche le ideologie, i valori culturali ed il crimine che muta le tipologie di reato aumentando il fenomeno della carcerazione.
A ben vedere anche il modello sociale del welfare state è caduto in crisi per ragioni economiche e proprio in quell'occidente che si contrapponeva ai sistemi socialisti.
Diciamo che con il mutare delle regole economiche i vecchi sistemi collegati ma contrapposti crollano con effetto domino dando spazzi a nuovi sistemi e a nuove tecniche razionali.
I grandi economisti hanno capito che il bilancio costi-benefici si è rilevato troppo gravoso per una nuova economia e pur mantenendo i principi informatori di giustizia sociale – un po' distorti ma ancora esistenti - e di un equa distribuzione dei beni e di opportunità cercano rimedi per eliminare i deficit di bilancio, le perdite e i rischi così come si impone ovunque secondo le regole della globalizzazione economica. Ma in questi calcoli razionali il mondo del crimine è rimasto molto indietro, continua a perdersi nell'irrazionalità del “tutto e subito” ed è incapace di calcolare le perdite e le conseguenze che ne derivano.
Da queste irrazionalità ne deriva anche un mutamento di valori, di esigenze e di condizioni sociali che poi si riflettono in maniera violenta sulla vita quotidiana di ogni uno di noi. Ogni singolo percepisce questo effetto sotto forma di paura ed insicurezza.
Giddens, già dal 1997, afferma che: l'assicurazione che oggi il cittadino chiede allo stato non è più quella contro i colpi della fortuna avversa ( malattia,vecchiaia, disoccupazione ecc.) ma quella prodotta contro i rischi delle nostre stesse scelte.
Con questa affermazione si vuole dire solo che lo stato non può più garantire protezione al cittadino, “dalla culla alla tomba” come si diceva, non stimola più la competitività, non premia più il merito e l'iniziativa dei singoli lasciando il cittadino da solo con un cumulo di responsabilità. Da qui quel senso di accanimento e di vendetta sociale verso gli altri considerati diversi.
Ciò che si vuole evidenziare in questa premessa è il fatto che i mutamenti economici hanno prodotto grandi cambiamenti di idee, delle prospettive e delle ideologie.
L'economia è diventata una componente importante anche al di là della stretta cerchia degli addetti ai lavori, si riflette sul pensiero intellettuale, sulla cultura e soprattutto sul crimine.
Infatti ultimamente si profilano nuovi approcci nella visione del crimine e ai problemi della criminalità che vedono: “ la condotta criminosa agita secondo principi più razionali”, cioè secondo quegli stessi criteri che guidano l'economia. Ma questo, bisogna dirlo, vale solo per le grandi organizzazioni criminali, ben organizzate poiché munite di economisti razionali preparati al reciclaggio, quindi ne resta esclusa la criminalità comune, quella di strada, la criminalità predatoria, la criminalità minorile, cioè tutta quella criminalità che non rientra nelle forme di criminalità organizzata che continua a destreggiarsi nell'ambito dell'agire irrazionale.
Cercare di capire il comportamento criminale, le cause e gli effetti, è stato da sempre la più grande ambizione della criminologia. Gli sforzi in tal senso sono stati immani e alcuni risultati raggiunti sono stati apprezzabili anche se persi nei meandri delle teorie e spesso confutate da altre teorie o dagli stessi tassi elevati di recidiva.
Basti pensare a tutte quelle teorie sociologiche e psicologiche che si sono poi perdute dentro se stesse mentre vedevano aumentare vertiginosamente il numero dei reati.
Sarebbe troppo banale affermare che per ridurre il tasso di criminalità – eliminarlo è un utopia – non bastano teorie mistificatrici ma l'agire concretamente sulle cause.
A tal proposito abbiamo già citato nel saggio precedente i diagrammi e gli istogrammi di Pareto.
Teniamo presente inoltre che queste teorie vengono elaborate dopo anni di ricerca e presentate quando già ci sono stati dei mutamenti sociali sostanziali in un mondo dove il mutamento globale è sempre più rapido anche per i fenomeni delittuosi. Quindi sono teorie non più duttili al cospetto di una criminalità moderna, sempre più organizzata, sempre più al passo con le regole dell'economia di mercato.
I criminali sono sempre più ben inseriti nel contesto sociale in cui vivono e, paradossalmente diventa un escluso ma ben mimetizzato nella latente rete di relazioni sociali.
Tra poco vedremo come anche i reati non predatori, come quelli causati dalla follia, dalla gelosia o dall'impeto non si discostano dalle regole proprie dell'economia poiché l'utilità si ravvisa comunque nella soddisfazione degli impulsi.
Una buona strada che cerca di mettere in relazione le regole dell'economia con le regole del crimine ci viene indicata dall'economista statunitense Becker, promotore della socology economy che già alla fine degli anni 60 ha iniziato ad applicare le teorie economiche basilari ad alcuni settori della vita quotidiana come la famiglia, l'istruzione, la discriminazione razziale, ma soprattutto alla criminalità.
In questo calcolo razionale-irrazionale potremmo perderci in numerosi paradossi che, seppur con sfaccettature diverse sembrano giungere ad un unica causa per un unico effetto: per esempio in un sequestro di persona abbiamo un delinquente che priva della libertà un individuo con lo scopo di ricavarne un utilità chiamata riscatto. Nella prigionizzazione abbiamo un agente che senza sapere a chi e perché priva della libertà un individuo, chiudendolo in cella, con lo scopo di ricevere un utilità chiamata stipendio. Entrambe compiono la stessa azione, producono lo stesso effetto, raggiungendo lo stesso scopo.
Secondo Becker la causa del comportamento criminale non deve essere ricercata in una propensione biologica o psicologica dell'individuo, ne in problemi legati al suo ambiente o in fattori sociali- infatti se cosi fosse tutti i malati di mente sarebbero criminali come lo sarebbero tutti gli abitanti di un quartiere a rischio. Ma per l'economista: alla base dell'agire criminale vi è una forte componente di calcolo e una razionale analisi di costi-benefici connessi alla commissione del reato.
Ma se così fosse sarebbe davvero un bel guaio. Purtroppo è un calcolo palesemente errato poiché gli effetti devastanti sono di gran lunga superiori delle utilità che ne potrebbero derivare e in questo caso la razionalità del calcolo si appalesa come irrazionalità e qui per irrazionalità si intende ignoranza, cioè la non conoscenza degli effetti devastanti che ne potrebbero derivare. Detto in due parole è razionale chi comprende che nessun tipo di crimine paga, è irrazionale colui che non comprende questo.
Tutti fanno calcoli nell'intraprendere la propria attività, lo fanno i professori, gli ingegneri, gli impiegati andando a lavoro, gli imprenditori e fin anche le casalinghe. Tutti calcolano i benefici che ne possono derivare dalla propria attività. Anche ogni singola azione, non di carattere economico, può essere oggetto di calcolo razionale. Molti cercano di mescolare il piacere cono il guadagno e da questi non ne sono esclusi i delinquenti che calcolano, spesso erroneamente, i possibili benefici che ne possono derivare da una o più attività illecite come il furto, la rapina, la corruzione ecc.
Il delinquente calcola e valuta razionalmente i vantaggi e irrazionalmente gli svantaggi che possono derivare dalla commissione di un crimine e se i benefici (razionali) attesi risultano essere significativi, almeno superiori ai costi e agli svantaggi calcolati irrazionalmente sarà incline a consumare l'azione criminosa. Pertanto il delinquente non è diverso da qualsiasi operatore economico che quando si destreggia nella sua irrazionalità, anziché sopportare il peso del carcere, andrà incontro alla sopportazione del peso di un fallimento e quindi dal suo allontanamento dal mondo economico e dal mondo sociale.
Infatti il fallimento comporta più o meno le stesse interdizioni che sopporta chi commette un crimine ed entra in carcere; cioè la perdita di diversi diritti civili e politici; interdizione dai pubblici uffici, interdizione nell'esprimere il proprio consenso elettorale ed altre interdizioni di carattere personale.
Il delinquente valuta le proposte del mercato illecito e le confronta con quelle del mercato lecito, pondera e soppesa i costo connessi alla realizzazione dell'azione criminosa.
Alla base di ogni crimine, sia come utile immediato o differito, sia come utile monetario o satisfativo vi è sempre un possibile vantaggio per l'autore; nel senso che se non ci sarà un ritorno di tipo monetario vi è comunque un ritorno di tipo impulsivo.
I costi di un delitto possono sempre distinguersi in costi diretti e costi indiretti. I costi diretti possono essere per es. l'acquisto dell'attrezzatura da scasso per compiere un furto. I costi indiretti possono essere collegati per es. al rischio di essere individuato, processato e condannato.
È bene tenere presente la differenza tra l'essere individuato e l'essere condannato; nel primo caso si corre il rischio di dover sopportare un processo con tutte le conseguenze che ne derivano; nel secondo caso si corre il rischio di affrontare anche una detenzione con tutte le conseguenze che ne derivano, per un numero più o meno determinato di anni.
La distinzione tra individuazione e condanna è importante anche perché le due situazioni appartengono ad organi sostanzialmente diversi; polizia giudiziaria e procura nel primo caso, giudici della cognizione dall'altro. In questo caso il rischio è proporzionato all'efficienza dell'uno, dell'altro o di entrambe, ed è proporzionato anche alla magistratura di sorveglianza più o meno garantista a cui si è affidati.
Tra i costi del crimine suscettibile di valutazione economica da parte del delinquente vi troviamo anche il depauperamento dei valori etici, dell'educazione civile e religiosa e gli eventuali legami di tipo affettivo ed amicali e comunque gli effetti devastanti di carattere familiare e psicologico.
I costi possono essere eventuali o effettivi, materiali o immateriali.
I costi genericamente calcolati possono essere, in caso di cattura:
- le spese legali da sostenere per le varie fasi processuali.
  • il mancato guadagno per chi potrebbe o vorrebbe fare un attività lecita.
  • Il pagamento delle spese processuali
  • il pagamento di eventuali perizie e consulenze.
  • Il pagamento del mantenimento penitenziario che ammonta a circa i 2\3 di una quota che viene stabilita annualmente dal ministero della giustizia.
  • L'acquisto di tutto il materiale igienico e non per poter vivere in carcere, oppure il cibo del sopravvitto.
  • Le perdite dovute a furti, soprusi ed estorsioni che paradossalmente avvengono anche in carcere da parte di altri detenuti.
  • Il costo di treni, autobus, taxi, alberghi ecc. che i familiari devono sopportare per poter vedere un proprio congiunto.
  • Il costo delle seconde spese legali per poter accedere ai benefici penitenziari, con gli eventuali costi annessi delle spese processuali in caso di ricorso (in caso di impugnazioni le spese processuali possono raddoppiare o triplicare, così come le spese legali).
  • L'eventuale pagamento del risarcimento del danno da pagare alla vittima.
  • Il deprezzamento del costo della refurtiva non immediatamente spendibile, cioè il decurtamento dovuto alle operazioni di reciclaggio o di ricettazione.
I costi immateriali sono ancora più devastanti e si appalesano in:
  • Perdita della dignità.
  • Perdita del rispetto e della considerazione sociale.
  • Difficoltà di reinserimento sia nel mondo del lavoro che nel tessuto sociale.
  • Rimorso.
  • Per le lunghe detenzioni:
a) perdita dei legami affettivi, coniugi o conviventi
b) perdita di amici.
c) abbandono da parte di alcuni familiari o nella peggiore delle ipotesi il decesso.
  • Le frustrazioni e le umiliazioni che spesso producono effetti devastanti sulla psiche.
  • Deterioramento della salute fisica e mentale.
  • L'emergere di alcune patologie, oggi oggetto della branca di medicina penitenziaria. Tra le più frequenti vi troviamo il calo della vista, disfunzioni all'apparato genitale ecc.
  • il processo di stigmatizzazione e di individualizzazione, cioè colui che non è criminale lo diventa perché comincia a percepirsi come tale.
  • La perdita di molti valori acquisiti, come i valori familiari, dell'amicizia, ecc.
  • il senso di alienazione e di annichilimento.
  • Probabile ricorso a psicofarmaci.
  • Apprendimento del comportamento e delle tecniche criminali.
  • Eventuali atti di autolesionismo (questi sono molto frequenti, purtroppo) o di tentato suicidio ed in alcuni casi veri e propri suicidi.
A questo punto appare molto più complesso determinare l'ammontare dei benefici connessi alla commissione del crimine, posto che in taluni casi questi sono suscettibili di immediata valutazione economica, mentre in altri, come le condotte violente di mero danno a persone o cose, la valutazione risulta assai difficile.
Per esempio nel caso di un furto (il reato più comune), se il bene rubato ha un valore commerciale di 1000 euro il beneficio non sarà mai di tale importo ma dipenderà dalle capacità del ladro di piazzare la merce al ricettatore. L'utile finale per quella cosa potrebbe essere per es. di 300 euro avendo però il soggetto prodotto un danno di circa 2000 euro se consideriamo un furto con scasso.
Per altri reati, come quelli vandalici, di violenza sessuale, di ingiuria ecc. è evidente che la quantificazione in termini economici non è possibile anche se è indubbio che: un utile, inteso come piacere e soddisfacimento di certe pulsioni, è pur sempre presente.
Sarebbe infatti privo di ogni logica criminale rischiare tutti quegli effetti negativi che abbiamo visto per qualcosa a cui si è del tutto indifferenti.
Bowles ci prospetta alcune ipotesi alquanto irrealizzabili affermando che: il beneficio che il criminale ricava come risultato del reato da lui compiuto può essere misurato stabilendo la somma che, in una data situazione di mercato, dovrebbe essere offerta al delinquente per persuaderlo nel compiere il crimine.
Nel caso del nostro esempio; dare 300 euro al ladro per evitare che egli commetta un danno di 2000 euro.
Se da un lato questo può risultare estremamente vantaggioso sia per l'economia generale che per la vittima resta pur sempre una teoria irrazionale sia perché questo modo di pensare è lo stesso modo di agire del reato di estorsione, ed inoltre si realizzerebbe il più grande paradosso della storia criminale poiché il delinquente anziché essere punito viene non solo premiato ma gli viene anche risparmiata la fatica di rubare e ciò incoraggerebbe a rubare di più.
In queste scelte operano anche altre variabili per la quantificazione del danno. Oltre quelle già citate come per es. il mancato guadagno nel fare attività lecite bisogna tenere presente che anche i valori in perdita possono variare a seconda dello status sociale.
Un imprenditore che ha tirato su un impresa di tutto rispetto, che ha acquisito negli anni prestigio, onorabilità e rispetto subirà un crollo di valori e di effetti negativi materiali e immateriali molto più grandi rispetto ad un ragazzo di strada che ha compiuto lo stesso crimine. Oppure alcuni tipi di reati sono tollerati al sud ma non accettati al nord. Intervengono quindi, nella criminologia economica razionale, anche fattori legati all'ambiente, allo stato psicologico propria dei singoli individui e anche il crollo di certi valori dipenderà nella sua intensità a seconda di come sono stati interiorizzati.
Il gioco di queste variabili è molto importante ma teniamo conto che il criminale considera costi e benefici in maniera differente a seconda pure delle sue esigenze del momento.
Tanto diversa sarà la quantità di rischio che si è disposti a correre tanto saranno diversi i valori etici cui si è disposti a rinunciare. Ma questo dipende anche da alcuni meccanismi di difesa che subiscono alcuni soggetti, come per es. le tecniche di neutralizzazione dove il delinquente cerca di dare a se stesso un nuovo tipo di valore etico per compensare quelli che sta perdendo dopo aver commesso un crimine.
Questi fenomeni sono molto frequenti e, oserei dire, costituiscono la regola, specie quando ci si confronta con gli altri e specie quando si è accusati o condannati per certi reati.
Sono procedimenti psicologici di auto giustificazione abbastanza comuni:

La negazione della propria responsabilità.

È la tecnica di neutralizzazione più frequente. Ciò che fu commesso non è stato affatto commesso. Questo aspetto non è da confondere con l'omertà. Il delinquente nega a se stesso e ad altri fino ad autoconvincersi di non aver commesso nulla.

La minimizzazione del danno provocato.

Il delinquente sulla scia della classica distinzione in uso nel diritto penale; “mala in se è mala quia prohibita” è portato a credere che ciò che ha commesso non è poi cosi grave. Sa che la sua azione è vietata dalla legge ma la percepisce come moralmente corretta. La neutralizzazione qui consiste nella ridefinizione delle proprie condotte per cercare di non perdere quei valori etici che sente perdere. Per es. la molestia sessuale non è reato ma solo un gioco, il furto e solo una presa in prestito.

La negazione della vittima.

La più interessante. Anche in questo caso il delinquente si riconosce responsabile dell'azione criminosa da lui commessa però il danno provocato alla vittima non è un ingiustizia perché meritava quel trattamento.
Il delinquente per compensare quei valori etici che sa che sta perdendo si percepisce giustiziere e crede di fare un bene a se stesso e alla società.
Questo meccanismo scatta soprattutto per i reati di violenza sessuale, in alcune tipologie di serial killer e quando si ruba ai ricchi. Il delinquente ritiene cosi di aver ristabilito un certo senso di giustizia sociale.
Ho chiesto ad un detenuto accusato e condannato per aver violentato una minorenne perché l'avesse fatto e la sua risposta conferma questo concetto di negazione della vittima: “era solo una p......., lo aveva già fatto con tutti quelli del quartiere”.

La condanna di coloro che condannano.

Il delinquente cerca di confrontare i suoi valori etici con quelli di chi lo giudica così i cittadini onesti diventano solo degli ipocriti, la polizia ha inquinato le prove, i giudici sono corrotti e i giornali raccontano solo bugie.
Un altra tecnica di neutralizzazione posta in essere per difendere i valori e gli ideali che si stanno perdendo è riferito agli: ideali ritenuti più alti. Per es. i reati di terrorismo.
Fin qui abbiamo avuto modo di vedere come le regole del crimine ben si sposano con le regole dell'economia e i valori etici dominanti, elementi che ci spingono a credere che una soluzione per la politica criminale potrebbe essere quella di non aumentare esclusivamente i costi del reato in termini di repressione, incremento normativo ed incremento delle pene, ma anche quello di fornire a tutti i cittadini, compresi i potenziali devianti, più mezzi e più opportunità per incentivare e rafforzare quei valori legati all'educazione, alla famiglia e ad un sufficiente benessere per la collettività che possono a loro volta limitare- eliminarle sarebbe un utopia- le cause delle condotte delittuose.
Becker suggerisce, per ottenere buoni risultati nella lotta al crimine: “ci vuole una combinazione tra tutte queste misure sociali come; il miglioramento della qualità della vita e dell'educazione puntando sui valori della famiglia”.
Ma ad un analisi più approfondita nemmeno questa potrebbe essere una buona soluzione al problema criminalità visto che vi sono diverse tipologie di criminali che provengono proprio da famiglie cosi dette “per bene”, per non parlare poi dei crimini commessi dai colletti bianchi, soggetti ben inseriti, con studi elevati e di buona famiglia. Ed inoltre, da più fronti, si è sempre condannata la maggiore repressione, addirittura additata come circolo vizioso che produce più crimine. Così come si è spesso detto che non si sa più quali potrebbero essere i valori esistenti ed idonei per educare.
Aumentare la repressione e la via più veloce ed efficace per il breve periodo ma comporta effetti devastanti e costi elevati per i periodi più lunghi. Anche gli interventi di tipo sociale non appaiono idonei alla lotta al crimine poiché richiedono molto tempo per la loro realizzazione, sono molto costosi, selettivi e nel frattempo le fattispecie criminali si sono già orientate su altre generazioni. Quindi repressione e valori etici sono destinati a non incontrarsi.
Ricordiamo che un indagine predittiva dei coniugi Glueck si dipanata per oltre un ventennio, a discrezione di chi legge, le cose, nel frattempo non sono cambiate?
L'approccio economico razionale fornisce dunque una nuova e realistica chiave di lettura per moltissimi delitti; sia, in primo luogo, per i delitti compiuti per lucro, cioè quelli che costituiscono la grande maggioranza, ma anche le condotte criminali violente sulle cose e sulle persone, per le quali l'utile perseguito non è economico, ma semmai psicologico come il soddisfacimento di pulsioni e desideri.
Non è da credere che questo approccio vanifichi tutte le interpretazioni di carattere psicologico o sociologico le quali, come si è visto, giocano il loro ruolo nel costo- beneficio in base al quale i delinquenti compiono le loro scelte e ne tanto meno questa teoria disconosce l'importanza dei fattori morali e dei valori etici.
Quel che le è specifico è una visione della persona umana in generale e di quella che delinque in particolare che porta una visione pragmatica, disincantata e realistica, concretamente ancorata a quelle che sono i motori fondamentali del comportamento in società.
Questa teoria resta ben al di là della criminologia ideologica o politicizzata. È una teoria che va al passo con i tempi e con le regole dell'economia, ma la sua finalità?
È una teoria che ha comunque bisogno di applicazioni calzando a misura come un abito cucito addosso a chi è caduto nell'irrazionalità del calcolo economico comprendendo troppo tardi che il crimine non paga, oppure come un abito cucito addosso a chi comincia a dare i primi segnali di un comportamento deviante. È certamente una teoria da inserire come materia scolastica nell'ambito di insegnamenti di educazione civica.
Venendo al concreto, secondo questi approcci e con questi insegnamenti il potenziale deviante o il criminale che non riesce a vedere altre vie se non quelle del crimine, valuterà in maniera razionale, da un lato, la probabilità di essere scoperto, condannato e la presunta severità della sanzione e delle relative conseguenze sopra elencate e, dall'altro, l'utile, non solo strettamente economico che potrà ricavare dal suo modo d'agire irrazionale. Mettendo a confronto i due calcoli dedurrà che il crimine non paga.
La visione che viene fornita da questa teoria è quella di una persona umana responsabile che, prescindendo dalle motivazioni profonde, spesso inconsce, o dai determinismi sociali, sarà più consapevole di quello che compie e delle scelte che effettua sia nell'ambito criminale che in quello lecito. Responsabile e consapevole!
Responsabile e consapevole anche se non sempre la sua condotta è razionale poiché l'uomo allo stesso tempo è dotato di ragione, di sentimenti e di emozioni ed è proprio da questa consapevolezza e dalle relative scelte che derivano la colpa morale e la responsabilità penale.



Di D’ANDREA DOMENICO





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