giovedì 16 giugno 2011

Giustizia: in carcere per 21 anni, ma morirò da innocente

di Valentina Marsella
Il Secolo d’Italia, 15 giugno 2011

All’età di 92 anni, Paris Bagnerini sopravvive tenacemente con un unico scopo: dimostrare la propria innocenza nell’omicidio che 45 anni fa lo portò in carcere con l’amante Clara, accusati di aver ucciso con una mazza in testa il marito di lei.

I 21 anni passati in cella, per lui, sono poca cosa rispetto all’idea di morire senza che si avveri il suo ultimo desiderio: riabilitare la propria persona dopo quello che ha sempre sostenuto essere stato “un clamoroso errore giudiziario”.

La verità, a 25 anni dalla sua uscita di prigione, oggi potrebbe essere vicina. La revisione del processo, chiesta dagli avvocati Valentina Di Loreto e Gabriele Magno, presidente di “Articolo 643”, associazione nazionale vittime degli errori giudiziari, è stata infatti accolta dalla Corte di assise d’appello di Genova, e la prima udienza si è tenuta lo scorso 10 giugno. La Corte si è riservata di decidere sulla riapertura del caso, di fronte al 92enne che ha voluto essere presente in aula. Quel processo, si fa notare, all’epoca dei fatti, quando ancora le tecnologie non erano a disposizione degli inquirenti, fu solo indiziario e senza alcuna prova. Ad avvalorare questa tesi, spiega l’avvocato Magno, il fatto che la Corte abbia deciso di tornare a esaminare una vicenda dai contorni ancora poco nitidi.
Le uniche cose certe e chiare, sono le due sentenze fotocopia emesse dalla Corte d’Assise di Siena e dalla Corte d’Assise d’Appello di Firenze, che hanno condannato senza appello i due amanti, considerando poco credibili le testimonianze e altri elementi a favore di Paris. Oggi però gli ultimi sopralluoghi fatti sulla scena del crimine potrebbero rovesciare la situazione. Ma questa è solo l’ultima parte della storia. Torniamo indietro alla notte tra il 12 e il 13 marzo del ‘65, quando sulla statale Siena-Arezzo, due camionisti scoprono all’interno di una Fiat 600 il cadavere di un uomo, identificato poi come Lorenzo V., marito di Clara.
Tra i coniugi, come raccontano i camionisti agli investigatori, non corre più buon sangue da tempo. Senza alcun appiglio probatorio, come scrivono gli avvocati nella richiesta di revisione del processo, “si suppone da subito che nel delitto potevano essere coinvolti Clara ed uno fra i suoi presunti amanti, tale Paris Bagnerini”. Ma quest’ultimo, il giorno del delitto, ha un alibi di ferro: quella sera e per tutta la notte, ammalato e febbricitante, si trova a casa sua; con lui ci sono la figlia Sandra e l’anziana madre, e poi, dopo le 23,30 arrivano anche l’altra figlia Dolores e la moglie Wanda. Un alibi supportato da testimonianze attendibili.
Come quella di Riccardo, medico di famiglia, che va a visitarlo tra le 20,20 e le 20,45. Ma questo non basta: a voler incastrare Paris, pare sia la stessa Clara, che, secondo la ricostruzione dei fatti, lo coinvolge nel delitto per un rifiuto. Perché lui ha detto ai carabinieri che la loro storia, finita da tempo, è stata solo una mera relazione sessuale. E poi Paris ha una famiglia solida, una posizione sociale ed economica stabile, e nessuno scandalo lo spingerebbe a rinunciare alla famiglia per lei. La prova tangibile c’è ancora oggi: malgrado i lunghi anni di reclusione e il clamore della vicenda, l’unione tra Paris e la moglie è ancora salda più che mai.
Clara allora cova molta rabbia, e per quel rifiuto il suo ex amante deve pagare. E anche se l’alibi di Bagnerini all’ora del delitto è solido e le modalità dell’omicidio sono dubbie, la situazione per lui precipita. Secondo la prima ricostruzione, il delitto sarebbe avvenuto in casa della vittima, poi il cadavere sarebbe stato portato dai due amanti a bordo di una Fiat 600 a ridosso di una scarpata. Il primo dubbio è sull’agguato nell’abitazione di Clara e del marito: la donna ha reso ben 13 versioni diverse di come andò. La prima versione, è che Paris andò a casa sua prima del rientro del marito, intorno alle 19, e che l’omicidio si consumò tra le 20 e le 20,30. Proprio l’ora in cui il medico era a casa sua per visitarlo. Appurando l’alibi, Clara sposta la scena del crimine a un orario successivo, fornendo molte dichiarazioni contraddittorie.
Vi sono poi degli elementi a discarico di Paris, “mai correttamente valutati”, a parere dei suoi legali. Nessun teste ha mai dichiarato di averlo visto uscire dalla propria abitazione, percorrere in auto il tratto di strada fino alla casa del delitto ed aggirarsi nei pressi dell’abitazione. Come non c’è un teste che dice di aver visto la sua auto sostare per almeno due ore sotto casa di Clara.
E ancora, non si trova, nonostante le perquisizioni immediate, alcuna traccia di sangue sulla persona, sui vestiti, nell’abitazione o nella Fiat 500 del presunto killer, come non si riscontra nessuna impronta digitale riconducibile a lui, né sulla Fiat 600, né sulla scena del crimine, né sulla grossa mazza utilizzata per colpire ripetutamente la vittima. La verità che oggi si vuole provare, è che qualcun altro quella notte andò a casa di Clara, prima del rientro della vittima e, già nascosto in bagno, al momento giusto, lo aggredì alle spalle. Forse un altro amante della donna, che un mese prima della tragedia, minacciò telefonicamente Bagnerini invitandolo a troncare ogni legame con lei.
E ora, a restituire dignità a Paris, potrebbero essere i nuovi elementi probatori allegati all’ultima memoria presentata nei giorni scorsi, elementi che potrebbero annientare le due testimonianze considerate granitiche, tanto da incastrarlo. “Un primo teste - spiega l’avvocato Magno - subito dopo il fatto disse di aver accompagnato a casa la figlia di Paris intorno alle 23,45, e di aver visto parcheggiata l’auto dell’uomo, che quindi non poteva trovarsi sul luogo del delitto. Mesi dopo però, aveva ritrattato tutto, spiegando che forse si era sbagliato”.
Ma è la seconda testimonianza, quella di un vicino di casa che abitava a oltre 100 metri da Bagnerini, a vacillare ancora di più: l’uomo, due anni e mezzo dopo il fatto, subentra nel processo con una lettera anonima inviata ai carabinieri, nella quale si dice che lo stesso conosce particolari utili all’accertamento della verità. Il soggetto chiamato a testimoniare sostiene di ricordare benissimo cosa accadde la notte tra il 12 e il 13 marzo. Un ricordo associato al fatto che quella sera avrebbe visto casa di Paris piantonata dai carabinieri. “Ma non era possibile, l’uomo ricordava qualcosa che non è mai avvenuto”, spiega il presidente di Articolo 643, “perché i sopralluoghi degli investigatori, semmai, possono esserci stati nelle sere successive”.
Altra incongruenza di questa testimonianza: l’uomo, malato di asma, in una fredda notte della campagna toscana, dice che a mezzanotte e mezza, per oltre due ore, resta affacciato alla finestra di casa sua. E in quel frangente, dice di vedere dopo un’ora la macchina di Bagnerini “entrare repentinamente nel garage”. Ma, colpo di scena, anche qui qualcosa non quadra: nella sentenza c’è una contraddizione, perché si ha la certezza che nel garage di Paris è parcheggiata la macchina del cognato. “Ho fatto un sopralluogo in quel garage - spiega l’avvocato Magno - e ho appurato che c’è posto solo per un’auto. Come faceva Bagnerini a rientrare repentinamente, se il garage era già occupato?”.
Ma c’è di più. Il legale è riuscito a fare un sopralluogo anche nella casa dove abitava un tempo il vicino testimone, notando che la distanza di 125 metri dall’abitazione di Paris e la strada che a un certo punto piega in una curva, rendeva tutto davvero poco visibile. L’unico modo per osservare bene la scena era spostarsi di oltre mezzo busto, restando in posizione per due ore e mezza. “Un’altra incongruenza mai appurata con una perizia”, fa notare il legale. Ecco perché il vecchio castello accusatorio potrebbe crollare, se la giuria popolare deciderà di scoprire l’altra verità di una storia che potrebbe celare l’ennesimo errore giudiziario.

fonte: RISTRETTI.it


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