domenica 5 giugno 2011

Contro il 41 bis


Contro il 41 bis


Foto di sciroccorossoParlare di carceri è sempre un tabù nella nostra Italia dell’emergenza. Un tabù che si infrange nei telegiornali solo quando si suicida qualche detenuto. La notizia dura un minuto. Si dice il nome ed il carcere dove è avvenuto il suicidio e si passa subito ad Avetrana. Perché è avvenuto il suicidio, in quali condizioni, con quali restrizioni, queste restano notizie tabù. In dieci anni i detenuti che si sono suicidati nelle nostre carceri sono stati 1700. Dall'inizio dell'anno 157: 50 detenuti si sono impiccati, 6 si sono suicidati inalando gas, 1 è morto dopo essersi tagliato le vene, 3 sono morti avvelenandosi con dei farmaci, 97 sono morti per malattia o "altre cause".  La gente di tutto questo  meno sa meglio è. Un iniziativa importante nella direzione di conoscere davvero il carcere dall’interno viene da Chieti. L’iniziativa è stata organizzata dall’associazione “Voci di dentro onlus”  e si chiama «Un minuto da detenuto» . L’associazione ha realizzato la fedele riproduzione di una cella delle carceri italiane. L’ associazione vuole mostrare la realtà delle carceri italiane dove in uno spazio di 25 metri quadrati vivono tre detenuti, alle volte quattro in tre letti a castello, un piccolo gabinetto dove si cucina e ci si lava. Nella cella viene mandata in video la testimonianza di un detenuto. Sono settanta mila circa i detenuti in Italia, lo spazio previsto è per 40 mila.  L'iniziativa è stata patrocinata dalla Provincia, dai Comuni di Chieti e di Vasto, dai rispettivi ordini forensi, dal Centro polivalente immigrati. Con l'appoggio di Caritas e case circondariali. All'iniziativa ha partecipato anche l'arcivescovo metropolita monsignor Bruno Forte , che ha fatto visita nella struttura carceraria fedelmente riprodotta. L’iniziativa porta il paradosso del detenuto che vive in cella 24 ore su 24, invitando la gente a starci solo un minuto. Un minuto fa capire tante cose e ci si rende conto standoci dentro che un minuto non è lo stesso minuto che viviamo quotidianamente. Quel minuto si dilata nel tempo, diventa altro, come diventa altro lo spazio carcerario che si trasforma in un “non luogo”. Un buco nero dove si perde tutta la memoria del proprio essere, del proprio passato. I nostri legislatori costituenti che venivano dalle prigioni fasciste, hanno inteso dare un senso diverso  alle carceri italiani. Un luogo dove bisogna redimersi , ricominciare una nuova vita, vedere la società con occhi nuovi. Il nostro carcere è scritto nella costituzione non è punitivo ma rieducativo. Un senso cristiano del luogo carcere, un senso umano possiamo aggiungere. Ma questo oggi non lo è. Il dibattito sulla carcerazione oggi viene falsato dall’emergenzialità.  Dagli efferati omicidi che mafiosi e assassini commettono e che per questo, secondo il senso comune, vanno puniti , torturati, ridotti a larve umane. Molti non vorrebbero che all’interno delle carceri ci sia la televisione, le sale giochi, i passeggi. Vorrebbero per tutti l’inasprimento delle pene, la certezza della pena, l’ergastolo a vita, la non possibilità di redimersi e di cambiare vita come recita la nostra costituzione, buttare la chiave. Su questo sedimento inculturale e non umano nasce il 41 bis. Lo so che non è conveniente oggi parlare contro il 41bis. Si rischia di passare per mafiosi o di fare  chissà quale doppio o triplo gioco a favore di qualche persona in carcere duro. Sono certo che fra qualche decennio, passata la stagione dell’emergenza, del giustizialismo, e le menti rinsaviranno da questa  morte della ragione si vedrà il carcere duro in modo diverso  così come si vide la fine della  tortura e della pena di morte alla fine dell’800.   Correva l’anno 1992 quando nel nostro bel paese si consumava la famosa strage di Capaci. La mafia uccideva Giovanni Falcone. Lo stato democratico, allora rappresentato da Andreotti come capo del governo e Martelli ministro della giustizia,  decidono spinti dall’opinione pubblica,  di far nascere un carcere del tutto speciale, un carcere più “vero” rispetto a quello che fino ad allora era, nasce così il cosiddetto “carcere duro”, o anche comunemente chiamato “41 bis”.
Ecco dove sono le radici della regolamentazione carceraria del 41 bis che oggi torna a far parlare di sè, nel lontano ’92. Dieci anni fa si istituiva, quindi, il 41 bis come arma contro l’organizzazione mafiosa e i detenuti del 41 bis, sin dalla sua nascita, erano quasi tutti mafiosi. È doveroso dire che sotto le grinfie del terribile 41 bis non sono finiti solamente i temuti e pericolosi mafiosi, per cui lo stesso carcere era stato progettato e voluto, ma anche detenuti che definiremmo “comuni”, e detenuti politici appartenenti ad organizzazioni terroristiche, i quali hanno dovuto fare conti col carcere duro per via di inceppamenti della vecchia macchina giudiziaria e burocratica italiana, o chissà per quali altri oscuri motivi.  In Italia ci sono 669 detenuti sottoposti al regime carcerario duro . Circa altri 8mila detenuti sono invece sottoposti a regime di alta sicurezza. Il totale della popolazione carceraria ammonta invece a 67.542 detenuti. Lo ha detto il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, nel corso della sua audizione presso la Commissione Antimafia. Ionta ha che spiegato che, in virtù della concentrazione presso il tribunale di Sorveglianza di Roma dei reclami concernenti il 41 bis, gli annullamenti si sono ridotti a “pochissimi casi”, essendo aumentata “l’omogeneità di giudizio” sui ricorsi. I 669 detenuti sottoposti al 41 bis, ha detto ancora Ionta, sono reclusi principalmente in 14 istituti penitenziari tra cui, Cuneo, l’Aquila, Milano - Opera, Novara, Spoleto, e Ascoli Piceno. Nella sua relazione il capo del Dap, in riferimento all’inasprimento per il 41 bis previsto dalla Legge antimafia del 2009, ha affermato che “non c’è una ricetta unica”. Per Ionta, occorre “salvaguardare la possibilità di contatto dei boss con l’esterno” e , ha aggiunto, “questa salvaguardia normalmente c’è“.  Ci sono, ha detto Ionta, “pro e contro” di fronte alle prospettive di concentrare in un’unica struttura i detenuti sottoposti a 41 bis, così come in quella di gestirli in una “situazione promiscua”, a contatto con altri detenuti, in strutture ordinarie. Nel primo caso, il rischio sarebbe legato alla presenza di boss mafiosi in un unico luogo, che nelle ore d’aria e di socializzazione potrebbero comunicare tra di loro. Nell’altro caso, ci sarebbe il rischio di un “coinvolgimento di detenuti comuni per fare sponda verso l’esterno”.  Quanto alla possibilità di un’ulteriore riduzione delle ore d’aria e di socialità per i detenuti sottoposti a 41 bis, Ionta ha spiegato che, “ci esporremmo a una sicura critica, se non a una condanna”, da parte della Corte di Strasburgo per i Diritti umani.  “Dobbiamo garantire un minimo d’aria e di socialità“, ha detto il capo del Dap, che ha anche informato la Commissione sul numero totale di agenti di Polizia Penitenziaria, circa 600, dedicati alla custodia dei soggetti a 41 bis. 
Il 41bis resta un atto di tortura che umilia l'uomo, che rompe tutte le regole delle leggi civili e che equipara l'Italia alle peggiori dittature ancora esistenti nel mondo. va abolito per riportare allo spirito della Costituzione ed allo spirito dell'umana civiltà. La mafia si può combattere  con altri mezzi, che oggi ci offre la tecnologia e che non mette in pericolo la dignità delle persone. 
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