sabato 4 giugno 2011

60 minuti preziosi

La mia vita è sospesa quanto la sua in un modo di esistere che ha sempre troppo vuoto intorno e il vuoto, si sa, assorbe vita ed energia e vuole essere colmato. 


Una settimana consta di 168 ore, io ne trascorro 167 aspettando; aspetto quell’ultima centosessantottesima ora che mi consentirà di stare con lui. 


Sessanta preziosi minuti, durante i quali dovrà starci tutto quello di cui una coppia ha bisogno, tenerezza, confronto, notizie di ordinaria quotidianità e persino silenzio.


 Ogni vigilia redigo l’indice delle cose che vorrò dire e fare; e calcolo un tempo probabile perché possa starci tutto e ogni punto, questione o problema, dovrà essere compiuto allo scadere del tempo o finirà per diventare un tarlo o, peggio, un incubo e vanificare l’energia benefica che il colloquio mi dà e che mi sosterrà per l’intera settimana.

È un gioco di abilità amare un uomo in questa condizione, devo usare ogni suo sguardo, l’inclinazione della sua voce, il suo braccio intorno alle spalle, le parole che mi dice e come le dice, il suo profumo, il calore del suo corpo, per dare un senso alla mia storia anche quando, rigettata sul piazzale antistante il carcere, la vita normale mi arriva addosso con tutta la sua luce, aria, libertà che per me diventano solo vuoto.



 È il momento in cui ho tutte le 167 ore davanti, un treno lunghissimo che sibila stridente; la percezione che lui esiste è vivissima, sono appena uscita dalle sue braccia, a testimonianza che lui esiste veramente.

Sento la mia anima alzarsi in volo verso la vita e cozzare come un uccello contro un vetro troppo lindo; sento tutta la ferita del limite colare sui miei occhi: c’è di tutto da fare in questo sabato pomeriggio, c’è tanto cielo e gente e vetrine; c’è estate, c’è inverno e mare e neve e chiese e vele… ma lui è in un altrove a cui io non posso accedere.



 La sera me ne sto con la testa sul cuscino, ad occhi chiusi, facendo la moviola del nostro incontro, fisserò ogni cosa dentro di me perché so che, già domani mattina, l’immagine di lui tornerà ad essere fissa come quella sua foto che mi sorride dal comodino…

Poi comincerò a muovermi tra i miei impegni, fagocitandoli o, forse, facendomi inghiottire da essi, per non pensare, per non sentire che lui non c’è… il lavoro, la gente, appuntamenti, impegni, la casa, i fiori, il cane, la spesa… tutto si somma, si accalca nelle mie giornate in un ritmo frenetico: non voglio pensare, non voglio sentire quando mi manca, non voglio avere bisogno della sua voce che mi chiama in fondo alle scale.



 Devo avere sempre qualcos’altro da fare, essere in ritardo per non lasciare spazio alla testa, per non vedere che non c’è mai il suo maglione blu buttato sulla sedia, le sue scarpe in disordine, la schiuma da barba lasciata aperta sul mobile del bagno.


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