giovedì 2 giugno 2011

C'era una volta un carcere, la favola della "rieducazione"


C'era una volta un carcere, la favola della "rieducazione"


Dalla Rassegna stampa
Ha scritto Albert Camus che «la verità, come la luce, acceca. La menzogna, invece, è un bel crepuscolo che mette in valore tutti gli oggetti». Una sorta di tragico cono d'ombra, dove i fatti cambiano nome, i colori perdono tonalità e si sbiadiscono, dove il caldo diviene freddo e tutto inverte il proprio destino. E dove la vita diventa morte.
Esiste un luogo in Italia che è ormai un "non luogo". Perché spesso avulso da un contesto, perché è sempre più intriso di odio, rabbia e morte. Dove non si rieduca, ma si rischia di retrocedere nell'oblio. E non di un reato, o di un percorso sbagliato, ma l'oblio dal quale non si torna più: sono le carceri italiane con i tragici numeri che mettono solo brividi. Luoghi che in teoria dovrebbero essere adibiti alla rieducazione, ma che spesso né rieducano, né insegnano: spezzano purtroppo le vite.
Come i tre decessi nel carcere di Viterbo degli ultimi quaranta giorni: l'ultimo si chiamava Luigi Fallico, pare avvenuto senza segni di violenza, l'ipotesi più probabile è che sia stato vittima di un infarto. Il suo legale dice che nonostante avesse avvertito fortissimi dolori al petto, era stato prima visitato nell'infermeria del carcere di Viterbo, ma da lì, anziché trasferirlo in una struttura attrezzata, lo hanno riportato in cella. Senza dimenticare ad aprile il 30enne senegalese Dioune Sergigme Shoiibou. Nonostante prima dell'arresto fosse stato operato alla testa per eliminare un ematoma dal cervello, si trovava in cella anziché nel letto di un nosocomio. Nel trionfo del più assurdo dei casi di malagiustizia, o malasanità politica, la si chiami come si vuole. Tanto, il prodotto finale non cambia.
Riflessioni che trovano sfogo in pagine di volumi come "Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri", di Luigi Manconi e Valentina Calderone (il Saggiatore 2011), o "Leone Bianco, Leone Nero. La legge non è uguale per tutti", di Giuseppe Nicosia (LG Edizioni). Oppure nelle righe de "Vorrei dirti che non eri solo", di Ilaria Cucchi e Giovanni Bianconi, ripercorrendo quella notte di ottobre in quella sala dell'ospedale romano "Sandro Pertini". Non era solo Stefano, non lo era nemmeno in carcere, perché non si procurò quelle ferite mortali da solo, né in solitudine decise di andare incontro a ciò poi è accaduto. Con lui, oltre ai suoi carnefici, c'era anche chi avrebbe voluto aiutarlo. Quelle stesse persone, ovvero la sua famiglia, che oggi continuano a combattere per un pugno di verità. No, non era solo Stefano, come scrivono nel titolo del libro. Ma sono soli, spesso, quei detenuti che in quei luoghi vedono i propri diritti calpestati. Anche a causa di deficienze strutturali.
Sono quasi settanta i decessi dall'inizio del 2011 rilevati dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, di cui ventiquattro suicidi. Gli altri sono imputati a "cause naturali". Ma facendo un rapido calcolo anche con l'aiuto dei ritagli di cronaca nera sui quotidiani, ci si accorge presto che potrebbero essere molti di più. Nelle duecento carceri del paese ci sono 67.510 detenuti, a fronte di 45.543 posti. Un sovraffollamento che si ripercuote, ovviamente sulla missione educativa dell'istituto, sulla qualità della vita quotidiana che si riserva ai detenuti, sullo stato mentale e sulla psiche. Quest'anno si contano già 337 tentati suicidi, con quasi 2000 atti di autolesionismo senza contare le aggressioni che hanno comportato ben 1.389 ferimenti e 508 colluttazioni. In undici anni sono deceduti 1.800 detenuti, di cui un terzo per suicidio. Andando indietro agli anni novanta, più di mille suicidi si contano fino ad oggi, con quasi 16000 tentati suicidi ed una frequenza media di 150 casi ogni 10000 detenuti. Ma un altro dato, che dovrebbe smuovere maggiormente le coscienze e le penne dei mezzi di informazione, sta in quegli 87 agenti di polizia penitenziaria che dal 2000 ad oggi si sono tolti la vita: avvolti in un silenzio quantomai inquietante e per questo ancora più deprecabile.
Ma cosa accade nelle carceri? E soprattutto, come tramutarle in un qualcosa di più vivibile? Lo si può approfondire analiticamente nel volume di Alessandro De Rossi "L'universo della detenzione", dove l'autore, architetto e docente alla facoltà dì Ingegneria dell'Università dei Salento, riflette tecnicamente sui requisiti di funzionalità a cui il progettista di una struttura del genere deve attenersi. E li individua in sicurezza, igiene, vivibilità, chiedendosi cosa significhi oggi un termine come "benessere" all'interno di un carcere. Rilevando come si potrebbe richiamare "tutto ciò che non comporti il suo contrario, cioè l'inquietudine, il turbamento, la depressione, il dolore, il desiderio di autoannientamento". E fa riferimento al fatto che, al di là delle misure minime riscontrabili nella normativa, un sicuro motivo di interesse per il progettista che si occupa dello studio delle funzioni all'interno di un penitenziario, «è dato dalla individuazione del limite sottile e dall'accertamento di quella soglia minima che divide un non meglio definibile benessere da un sicuro, accertabile e obiettivo malessere all'interno dei ristretti spazi del carcere». Un intervento insomma che recuperi l'anima del detenuto, lo preservi dai rischi del disagio, della disperazione, dell'abbandono. Con il sostegno fondamentale di un apposito intervento legislativo, che curi in primo luogo la riabilitazione.
Ma la protesta ha anche il volto di chi si priva di acqua e cibo per esternare il proprio disagio. Come i detenuti della casa circondariale di Lanciano che hanno iniziato lo sciopero della fame in solidarietà con quello che sta portando avanti Marco Pannella per "ridare dignità ai detenuti italiani". Una realtà dove il sovraffollamento è ormai routine e non più emergenza, all'insegna di quella logica dell'abitudine che tramuta in quotidiana oggettività un dato che, invece, presenta caratteri di straordinarietà. L'esempio di Lanciano è indicativo: dove dovrebbero vivere 150 persone ce ne sono 380, in una cella che può contenere un detenuto ce ne sono tre, con la terza branda posizionata a tre metri di altezza e a trenta centimetri dal soffitto. Per non parlare di protezioni e garanzie di sicurezza. E con l'assistenza medica che si interrompe alle ore 22. Mentre il personale di polizia non ne può più di doppi e tripli turni. Rivendicazioni che, però, non vengono ascoltate da chi dovrebbe farlo, da una classe dirigente che si occupa di altro. Perché la parola, come scrisse De Montaigne, «è per metà di colui che parla, per metà di colui che ascolta».
E allora vero baluardo del paese, è quella Costituzione troppo spesso offesa e bistrattata: che ancora una volta offre la risposta al quesito, e all'articolo tredici spiega che è punita la violenza commessa sulle persone che sono private della libertà. Basta leggerlo. E applicarlo. A tutti. 
fonte: Notizie Radicali

Costituzione Italiana


Oggi vi parlo del principio di libertà personale, il quale assume sicuramente un ruolo centrale nell’ambito di ogni istituzione che si voglia dire davvero democratica. Non a caso, la democrazia è notoriamente il governo del popolo (e si affianca al concetto di repubblica, intesa come affare del popolo), ma il popolo può governare solo se è libero di esprimere i propri governanti, e dunque le proprie idee politiche in merito alla gestione della nazione, della comunità e della microsocietà in cui vive e si organizza.
Molte ideologie del passato hanno dato varie definizioni di libertà; persino le ideologie più totalitarie alla fine hanno tentato di dare un significato al concetto di libertà, asservito però ai loro scopi ideologici: la dominazione dell’individuo e delle masse e il controllo sul loro pensiero. Altre ideologie, non totalitarie, ma anarchiche, invece hanno sempre concepito la libertà in termini troppo assoluti e antisociali, poiché finalizzata a demolire qualsiasi istituzione  o aggregato (es. lo Stato) che si fraponesse tra l’individuo e la sua autodeterminazione.
In verità, nessuna di queste concettualizzazioni della libertà può essere accettata. La libertà nel totalitarismo è infatti solo una patetica illusione che fa perno su una visione della vita ove la libertà è intesa come estremo sacrificio individuale al bene supremo della nazione (stato etico), al bene superiore della razza (dittatura di razza), ovvero al bene assoluto del proletariato (dittatura di classe). La libertà individuale, in questo senso, è un valore secondario ed è accettata e tollerata fintanto che non intralcia la libertà collettiva e il potere che la esprime, la tutela e la interpreta. Da qui dunque la sua compressione o eliminazione se necessaria.
La libertà nell’anarchia invece è intollerante a qualsiasi comunità umana organizzata che esprima dei governanti e dei governati. La libertà è intesa perciò come assenza di qualsiasi istituzione o aggregazione organizzata che possa disciplinare i rapporti tra gli individui, tanto da essere considerata come opposta a essa (libertà dalla legge). Ma chiaramente, l’assenza di qualsiasi istituzione od organizzazione gerarchizzata rischia semplicemente di sfaldare i rapporti umani, operando come strumento di disgregazione della società.
Passando perciò a un concetto accettabile di libertà, si può benissimo accogliere qualle che afferma che la libertà, in una società organizzata, ha dei limiti ontologici e normativi che si riflettono nei diritti e nei doveri dei membri: la libertà di ognuno di essi è limitata dalla libertà degli altri altri. Se così non fosse, ogni membro della società, con il pretesto della propria libertà, potrebbe giustificare anche le azioni più riprovevoli e dannose per gli altri membri o per la comunità (la legge del più forte). Ecco che allora si può dire che la libertà dell’individuo trova il proprio limite nell’integrità (collettiva e individuale) della società ove questi agisce (la libertà nella legge) e si riflette nell’esercizio dei diritti soggettivi e nell’osservanza degli obblighi imposti.
Ma attenzione: il rapporto tra libertà individuale e libertà sociale non è inteso come un rapporto a senso unico (come avviene nelle ideologie totalitarie). E’ un rapporto a doppio senso: la libertà sociale o della collettività trova il proprio limite nella libertà individuale (altrimenti avremmo la repressione), e la libertà individuale trova il proprio limite in quella sociale-collettiva (altrimenti avremmo l’abuso). Trattasi perciò d un fattore di equilibrio che afferma la sua massima espressione nelle democrazie, le uniche capaci di mediare tra libertà individuale e libertà collettiva… tra società e individuo, e tra individui, attraverso la postulazione di princìpi, diritti e doveri in capo ai membri di quella data collettività.
Fatta questa premessa, la norma che ci apprestiamo a esaminare sancisce il principio fondamentale della libertà, ma lo fa soprattutto dinanzi alle conseguenze di una (sua) eventuale restrizione che comporti limitazioni  alla capacità fisica e morale delle persone di interelazionarsi nella società. In altre parole, la libertà fisica e psicologica opposta ai provvedimenti restrittivi che limitano e pregiudicano, per un motivo o per un altro, sia l’una che l’altra.
Ecco cosa stabilisce  precisamente l’art. 13 Cost.:

La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

Orbene, il primo comma afferma che “la libertà personale è inviolabile”. Che significa? Semplicemente che nessuno può pregiudicare questa libertà in alcun modo e con qualsiasi strumento.
I limiti a questo principio vengono rilevati al secondo comma quando viene affermato che “non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione e perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
Vi sono dunque una riserva di legge e una riserva di competenza che pongono limiti alla libertà degli individui. Solo la legge può stabilire quando e come la libertà può essere limitata, e solo l’autorità giudiziaria (il magistrato) può disporre strumenti per limitarla nei casi e nei modi previsti dalla legge. Da ciò ne consegue, per esempio, che il potere esecutivo (il governo) non può limitare la libertà degli individui in alcun modo.
Il terzo comma tuttavia stabilisce che “l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori” di limitazione della libertà che devono però essere comunicati all’autorità giudiziaria per la convalida entro quarantotto ore.
Chi è l’autorità di pubblica sicurezza? Naturalmente la polizia giudiziaria, le forze dell’ordine e dunque tutti gli organismi che sono deputati alla sicurezza nella società. Questi possono per esempio fermare e arrestare un individuo perché colto in flagranza di reato o perché colto in quasi flagranza. Ma il provvedimento di restrizione deve essere convalidato dal giudice, altrimenti perde qualsiasi efficacia. E deve essere convalidato in un termine non superiore alle quarantotto ore, poiché la libertà in questo caso non può tollerare limiti che non abbiano una motivazione stabilita dall’unico organo competente a limitarla: il magistrato.
D’altro canto, la libertà si esplica anche nelle misure restrittive. Non è possibile – secondo il penultimo comma dell’art. 13 Cost. – sottoporre chi è limitato nella propria libertà, a violenza fisica e psicologica, come per esempio la tortura. Da questo punto di vista, già la carta fondamentale prevede la punizione per coloro che si rendono responsabili di queste violenze. Trattasi perciò di una norma penale cristallizzata nella Costituzione che necessita di essere determinata nell’aspetto punitivo (l’entità della pena).
L’ultimo comma della norma in esame afferma che la legge stabilisce i limiti massimi alla carcerazione preventiva. Questa è la carcerazione che viene disposta prima del processo per motivi legati a specifici fattori, quali il pericolo di fuga, il pericolo di reiterazione del reato, il pericolo di occultamento e inquinamento delle prove. In altre parole, stiamo parlando delle cosidette misure cautelari e pure delle misure di prevenzione.
Poco più su ho detto che il tenore complessivo dell’art. 13 Cost. suggerisce come il costituente si sia soffermato in modo specifico sul concetto di libertà opposto alle ipotesi in cui questa verrebbe o potrebbe essere limitata. E precisamente sul concetto di libertà quale libertà fisica e psicologica limitate da provvedimenti dell’autorità  pubblica attraverso varie modalità: carcere, arresti domiciliari, internamento, restrizioni ecc. Ebbene, va da sé che questa libertà così considerata integra perfettamente il concetto più ampio di libertà come in premessa. E’ ovvio che la libertà di opinione e le libertà politiche (altrettanto sancite nella nostra carta costituzionale) non avrebbero alcun senso se per esempio la loro esternazione comportasse detenzione, arresti domiciliari, internamenti, violenze psicologiche e fisiche, e dunque tutte quelle misure restrittive e violative che annullano di fatto il loro esercizio. E non a caso, l’art. 13 attribuisce alla sola legge l’individuazione dei casi (solitamente conseguenti a fatti penali) in cui sia possibile limitare la libertà personale, stabilendo comunque che la restrizione non può mai comportare violenza fisica e psicologica su colui nei confronti del quale la misura restrittiva viene applicata. Ed è ben chiaro d’altra parte che la legge  – quando fissa le ipotesi e le modalità di limitazione della libertà – dovrà tener conto di tutti gli altri principi costituzionali che garantiscono libertà fondamentali, come la libertà di opinione e di spostamento.
Se così è, si può benissimo affermare che il concetto di libertà stabilito al primo comma dell’art. 13 Cost. deve essere integrato e letto in modo complementare e conseguente ai concetti di libertà di opinione, di inviolabilità del domicilio e della corrispondenza, di libertà di circolazione e soggiorno, di libertà di riunione, di libertà di professare la propria fede e così via. Altrimenti non avrebbe senso il dettato qui esaminato. Si pensi per esempio al diritto di riunione. Questo diritto è garantito dalla nostra Costituzione all’art. 17. Ma chiaramente esso deve essere esercitato in modo pacifico e senz’armi. Nel momento in cui queste condizioni vengono deluse, la libertà potrà essere limitata e compressa in modo giustificato, e i responsabili potranno essere arrestati (art. 13 Cost.) poiché la minaccia sociale insita nelle riunioni bellicose e con armi è chiaramente evidente. Altro esempio: ogni cittadino è libero di esprimere la propria opinione. Questa libertà non può essere  compressa in alcun modo, salvo che l’opinione non violi altre libertà e la dignità delle persone, poiché a sfondo razzista, poiché incita alla violenza, alla discriminazione razziale ecc. Allora quanto sancito all’art. 21 Cost. potrà essere limitato e compresso e il responsabile sottoposto a misure restrittive (art. 13 Cost.). Infine, il diritto alla libertà e alla segretezza della corrispondenza. Anche questo diritto, sancito dalla Costituzione all’art. 15, è inviolabile, salvo che lo strumento della corrispondenza non venga utilizzato per commettere azioni che possono mettere in pericolo la pacifica convivenza sociale e la vita delle persone (minacce, persecuzioni, attività di terrorismo ecc.). In questa ipotesi, quanto sancito all’articolo citato viene meno e l’autorità giudiziaria può aggirare il diritto anzidetto e può limitare la libertà della persona che si è resa responsabile delle azioni summenzionate (art. 13 Cost.).

fonte: Il Jester Blog

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