domenica 12 giugno 2011

Racconti dei "girachiavi"



 Per dovere di cronaca, ci pare opportuno pubblicare anche i racconti delle guardie penitenziarie, tanto bistrattate dai loro "clienti"
 Eccone uno, una chicca nel suo genere: 






..........Due “camosci”, così vengono chiamati i detenuti dagli agenti, si sono pestati e uno di loro deve essere refertato in infermeria.
 
Andiamo tutti a vedere cosa è successo. Passo svelto, caldo infame, giungiamo in un attimo nella cella teatro della colluttazione tra “camosci”. Lo spettacolo è un classico del repertorio carcerario. Cella di vecchio tipo, con i servizi igienici appena separati da un muretto, letti a castello e un tavolino al centro della stanza. Gli altri detenuti sono stati fatti uscire, dei due “lottatori” uno, con il volto pieno di sangue, sta steso a terra con le mani sul ventre, l’altro, apparentemente meno “danneggiato”, è seduto su un letto e guardato a vista da due agenti sudati e visibilmente innervositi dall’evento. Che evento poi non è. Questa è la routine a Regina Coeli. Ogni giorno che passa, mi dicono gli agenti, qua dentro avviene di tutto. Dal detenuto che “si taglia” per protestare o solo per fare un po’ di casino, a quello che sconvolto dalla vita carceraria tenta il suicidio, alle aggressioni agli agenti. Un continuo. Fuori queste cose non si sanno e non fanno più notizia. A nessuno interessa più quello che avviene in questa sorta di società parallela che è il penitenziario. Ma è un’emergenza continua. Oggi aggravata dalla presenza di una maggioranza di detenuti stranieri, gente dura senza scrupoli, capace di tutto. Un episodio su tutti. Appena un mese prima un detenuto di nazionalità ucraina, una bestia di quasi due metri di altezza e forse anche di larghezza. Una specie di gorillone incazzato che in preda ad una crisi di nervi, reagisce bruscamente alla richiesta di un agente di tornare in cella. Con una manata getta per terra il poliziotto che, con fatica, arretra e riesce a dare l’allarme. Ce ne vorrebbero almeno dieci per bloccare il bestione. Arriva soltanto un assistente capo, uno dei più anziani, un napoletano in servizio nel carcere romano da parecchi anni. Mi hanno chiesto di non fare il suo nome, e rispetto la consegna ricevuta. Ora capirete perché. Piccolo di statura, il poliziotto penitenziario, corre in aiuto del collega in difficoltà. Si avvicina a quella specie di Hulk ucraino. I due sono uno di fronte all’altro, a pochi centimetri. Il piccolo napoletano all’improvviso sferra una manata all’ucraino che,
 colpito in pieno volto, incomincia a barcollare. L’agente poi lo spintona dentro la cella e ordina al collega di chiuderlo dentro con il bestione. A quel punto si scatena l’inferno. Urla, rumore, imprecazioni in dialetto napoletano, grida di aiuto. Ma a chiedere aiuto non  è il poliziotto ma la bestia venuta dall’Ucraina. Venti minuti e l’assistente capo napoletano bussa al portone della cella chiedendo di uscire. Il collega spalanca gli occhi. Quel gorilla è a terra, semisvenuto, intontito dalle “mazzate” appena ricevute. Lo dovranno portare in infermeria. Da quel giorno l’ucraino è un detenuto modello.Ora è custodito a Rebibbia, dove sta scontando la pena definitiva per furto aggravato e danneggiamento. Non è un romanzo questo. Non è un racconto di fantasia. E’ la quotidianità delle carceri. Specie quelle più vecchie, come Regina Coeli.  Nel frattempo sono arrivati gli infermieri nella cella della colluttazione. Il più grave, un maghrebino di ventisei anni, viene portato via in barella. Una banale lite tra pusher, dicono gli agenti. Già, banale. Perché in galera questa è la normalità. Tra tanto sangue decidiamo di andare a mensa. E’ già l’una e lo stomaco reclama. Poi un buon caffè allo spaccio dell’istituto. Questo però è ottimo. Come recitano i famosi versi del grande Fabrizio De Andrè: “ …….solo in carcere il caffè lo sanno fa……..”. Ma lo sapete che è proprio vero?
Fabio Badalassi




Fonte: 
                    Forze dell'ordinea cura di 

Fabio Badalassi

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