venerdì 10 giugno 2011

"Il detenuto può essere migliore di noi" - Sandro Pertini


“ Ricordatevi quando avete a che fare con un detenuto, che molte volte avete davanti una persona migliore di quanto non lo siete voi “.
Così affermava colui che è considerato forse il presidente più amato nella storia della Repubblica Italiana, Sandro Pertini. Un Presidente vicino alle persone, un uomo che conosceva la vita, anche quella dietro le sbarre. E che sapeva che finire in carcere non sempre è sinonimo di delinquenza; a volte sono le circostanze, le necessità, la sorte, che conducono una persona a passare una parte della propria vita in questo strano mondo chiamato galera.
La cella, annotava in un memorandum, è un «posto di combattimento», dove “lottare senza speranza e senza paura”. Sono parole forti. Forse lottare senza paura si può; il coraggio lo si può anche imparare quando è necessario per sopravvivere giorno per giorno. Ma lottare senza speranza è veramente duro e logorante.
Ognuno di noi quando compie un’azione, anche la più quotidiana, lo fa sempre perché tale azione avrà un riflesso nel proprio futuro, prossimo o lontano che sia. Come si può pensare di vivere quotidianamente senza speranza nel domani? Questo è ciò che accade a tanti reclusi nelle carceri italiane e non mi riferisco solamente agli ergastolani ostativi, cioè a coloro che scontano una condanna perpetua senza appello, ma a tutti i detenuti. Non c’è solamente la speranza del lungo termine. Esiste anche una speranza più immediata, la speranza di migliori condizioni di vita, la speranza che finalmente qualcuno ci ascolti, la speranza che un magistrato domani si svegli e si decida a guardarci in faccia senza trattarci come numeri dietro ad una grata o una porta blindata. Ma quando quotidianamente le aspettative di una persona si infrangono contro un muro di indifferenza e freddezza allora queste speranze muoiono.
Ed una persona senza speranza non riesce più a guardare oltre il muro, la sua vita termina dove si fermano le sbarre e il suo cuore e la sua mente perdono la voglia e la forza necessarie per lottare. Una lotta senza speranza è una lotta impari;, quando si sa di avere perso in partenza dove si può trovare il coraggio per dire: Ci provo comunque?
E per la stragrande maggioranza di coloro che si trovano nelle carceri italiane questa è la quotidianità. Siamo noi “esterni” che rappresentiamo la loro unica forza, il loro contatto con il mondo, con la realtà; per questo motivo è così importante non dimenticare mai che nelle nostre città, in mezzo alle nostre case, in quei grossi e tetri complessi, vivono persone che ogni giorno devono lottare per affermare i loro più elementari diritti, per vedere soddisfatte le loro più basilari esigenze. Karl Popper affermava: “Il grado di civiltà di un paese si misura dalle sue carceri”. C’è veramente da sperare che si sbagliasse.
Antonio Piazza

fonte:
CaffèNews  

Nessun commento:

Posta un commento