VALTER VECELLIO
Giustizia, carcere, Satyagraha. Quello che non ci fanno conoscere

01-06-2011
I giornali di oggi dedicano ancora largo spazio – ed è inevitabile che sia così – alle conseguenze e agli sviluppi del voto di domenica e lunedì; e in particolare alle dichiarazioni di Silvio Berlusconi, il duello con Giulio Tremonti, le mille polemiche all’interno del PdL in cui ci si perde. In questo spazio però credo sia opportuno richiamare la nostra attenzione su questioni, come quella della giustizia e delle carceri, e l’iniziativa in corso di Marco Pannella, di cui i giornali mostrano di essere poco o nulla interessati.
Ci sono delle eccezioni. La rivista “Confronti”, per esempio, il mensile che fa capo alle chiese evangeliche. Nel numero di giugno pubblica una lunga intervista a Marco Pannella, “Le ragioni del Satyagraha”; potete trovare l’intervista anticipata su “Notizie Radicali”, e naturalmente ringraziamo “Confronti” per averci consentito di riprodurla. Un altro interessante articolo che trovate su “Notizie Radicali” è quello del professor Michele Ainis, “Galere piene, così non va”, originariamente pubblicato su “L’Espresso”. Ainis tra le altre cose ci ricorda che due leggi, quella sugli immigrati Bossi-Fini e quella sulla droga Fini-Giovanardi alimentano il sovraffollamento nelle carceri per due terzi; che andrebbero rafforzate le misure alternative al carcere: sono calate del 75 per cento rispetto al 2005. Un programma riformatore non può prescindere da tutto ciò.
La situazione incivile delle carceri viene denunciata anche dall’Unione delle Camere Penali che aderisce allo sciopero della fame intrapreso da Pannella. Inizia il presidente Valerio Spigarelli, e, a staffetta, l’iniziativa coinvolgerà ogni giorno tutti i componenti di Giunta. Chissà se arriverà mai il giorno in cui anche i vertici dell’Associazione Nazionale dei Magistrati prenderanno simili iniziative.
Nelle carceri intanto si continua a morire. L’altro giorno sono morti tre detenuti, uno era appena stato arrestato. Un altro, presunto camorrista, aspettava il processo d’appello. L’ultimo era dentro, anche lui in custodia cautelare, per l’omicidio della moglie. Eugenio Sarno, segretario della UIL Penitenziaria ci ricorda che il “carcere, a dispetto dell’immaginario collettivo, non è un luogo sicuro né controllato. Un collega deve occuparsi anche di due o tre sezioni per volta, in certe fasce orarie deve garantire più servizi. Viene a mancare anche la sorveglianza visiva”; e aggiunge: “Andrà sempre peggio. Il Governo, dichiarato due anni fa lo stato di emergenza, ha tagliato i fondi del 60 per cento”.
Giovanni Salamone, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Liguria osserva che “il 40 per cento delle presenze carcerarie attuali sono persone in attesa di giudizio. E ci sono anche tante persone per le quali probabilmente, la pena della reclusione è superiore rispetto al reato commesso”; e cita quello che definisce “un clamoroso esempio di ritardo che riguarda la nuova casa circondariale di Savona che non sappiamo quando e se riusciremo ad avere tuttavia siamo costretti a riempire di persone un edificio inqualificabile e costringere il nostro personale a lavorarvi dentro”.

Giornalista professionista, attualmente lavora in RAI. Dirige il giornale telematico «Notizie Radicali», è iscritto al Partito Radicale dal 1972, è stato componente del Comitato Nazionale, della Direzione, della Segreteria Nazionale.
Il Sappe, uno dei sindacati della polizia penitenziaria, annuncia che non parteciperà alle feste del corpo per protesta, contro un’amministrazione assente e una politica asfittica che non fa nulla per migliorare le condizioni delle carceri e della polizia penitenziaria”. E gli agenti della polizia penitenziaria alla casa circondariale di Asti hanno proclamato lo stato di agitazione permanente. Denunciano il “grave malessere che attanaglia il personale di polizia sempre più massacrato nel quotidiano da carichi di lavoro che non hanno precedenti”. L’organico prevede 267 agenti, sono meno della metà 126, con tutte le conseguenze immaginabili.
Prima di concludere una notizia che viene dalla Cina. Jampa Pelsang un monaco tibetano, è morto. E’ stato 15 anni in prigione per essersi opposto alla “campagna di rieducazione” ordinata dalle autorità cinesi nel maggio 1996 in Tibet, quando le autorità di Pechino lanciarono la prima campagna di rieducazione, proibendo in tutti i monasteri le fotografie del Dalai Lama – divieto che persiste – e impedendo le preghiere, per costringere in monaci a partecipare a incontri di indottrinamento. I monaci protestarono, arrivò l’esercito nei monasteri che stroncò con la violenza ogni protesta. Jampa e decine di altri monaci furono arrestati. 32 furono condannati a pene tra uno e 15 anni di carcere, gli altri mandati ai lavori forzati. Jampa, ritenuto tra i leader delle proteste, fu condannato a 15 anni. Con Jampa fu condannato Tenzin, anche lui morto poco tempo dopo il rilascio. Un terzo monaco, Wangchuk, condannato a 10 anni, è morto nel carcere, colpito con arma da fuoco da una guardia durante una protesta pacifica. Questa la situazione, questi i fatti (anche se non ce li fanno conoscere).
va.vecellio@gmail.com
fonte

Nessun commento:
Posta un commento