sabato 11 giugno 2011

Task force di detenuti contro i suicidi


"Una task force di detenuti
contro i suicidi in carcere"

Un progetto di solidarietà
dopo gli ultimi casi

MARIA TERESA MARTINENGO
TORINO
La morte, qui in carcere, suscita una grande costernazione. I tre suicidi che abbiamo avuto in venti giorni hanno creato un enorme carico di sofferenza tra chi sconta la pena e chi lavora...». Non è nello stile di Pietro Buffa convocare i giornalisti, ma ieri il direttore della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno l’ha fatto perché, ha spiegato, «non possiamo accettare che nasca anche solo il dubbio che l’istituto affronti queste morti come un “fatto burocratico”».

Così, affiancato da Elvezio Pirfo, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl 2 (presente all’interno), dallo psichiatra Antonio Pellegrino e da Lucia Casolaro, direttore sanitario dell’istituto di pena, Buffa ha spiegato situazioni, difficoltà, fornito cifre. E illustrato un progetto al quale lavorava da tempo e che partirà la prossima settimana. «
Detenuti volontari saranno formati per sostenere i compagni di cella o di sezione che mostrino fragilità, disagio psicologico e che siano considerati a rischio suicidio. Negli ultimi 12 mesi sono stati 23 i tentativi di suicidio, 3 dei quali, purtroppo, riusciti». Nei tre anni precedenti, invece, non si era registrato nessun caso. Dal giugno 2010 gli atti di autolesionismo sono stati 162 (400 dieci anni fa).

«Con questo non intendiamo assolutamente sostituire il personale di polizia penitenziaria né quello medico. Ci siamo ispirati ad esperienze adottate in carceri anglosassoni», ha detto il direttore. «I volontari offriranno supporto, dialogo e vicinanza». Per ottenere risultati, le persone coinvolte dovranno essere «appellanti» e con una condanna di primo grado non inferiore agli 8 mesi. «Vogliamo sperimentare un nuovo modello di comunità: in carcere tutti sono responsabili morali degli altri», ha spiegato Buffa. «I detenuti vengono per lo più considerati numeri, invece sono anche risorsa. Le iniziative di lavoro note all’esterno lo dimostrano bene». 

Ma sul tema del suicidio, ieri è stato ricordato che la Casa Lorusso e Cutugno è da tempo un modello, in Italia, attrezzato dagli inizi degli anni 90 con un presidio medico per valutare le condizioni psicologiche e le eventuali patologie psichiatriche dei detenuti all’arrivo. «Nei giorni seguenti - ha detto Buffa - il detenuto viene rivisto da uno psicologo. Nel 2001 poi, abbiamo creato i “gruppi di attenzione” con educatori, psicologi e assistenti volontari contro il disagio non psichiatrico». Nel 2010 i «contatti» dei gruppi sono stati 1230. Quest’anno, fino al 31 maggio, 464.

Nell’istituto, poi, c’è una sezione con 40 posti con assistenza psichiatrica 7 giorni su 7 alla quale vengono inviati da tutta Italia detenuti «a rischio». Nel 2010 qui sono stati accolti 153 detenuti. L’ultimo dei tre suicidi era stato trattenuto dai medici oltre i 30 giorni di osservazione richiesti. «Non era nella sezione degli “acuti”, ma in quella vicina. Nell’ora d’aria - ha detto il direttore - è rimasto solo in cella. E come gli altri suicidi ha detto ai compagni “ci vediamo dopo”. Sono mille i motivi per non uscire nell’ora d’aria: una lettera, prepararsi da mangiare. Ma anche mettere in atto quel proposito. Ora si chiederà sempre a chi non esce, il motivo del suo rimanere, con la consapevolezza che certe misure possono avere anche ricadute negative».

Altre misure riguarderanno l’affidamento di oggetti e l’osservazione in arrivo da parte delle scorte. «Oggi qui ci sono 1592 detenuti e noi dobbiamo riuscire a intercettare chi vive un disagio. Vorremmo spiegare che a volte non abbiamo mezzi sufficienti, ma non siamo disattenti. Per noi evitare queste morti è questione di responsabilità morale perché le persone ci sono state affidate».




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