mercoledì 25 maggio 2011

Alberto Mercuriali, suicidato dai giornali


Alberto Mercuriali, suicidato dai giornali

haring_keith
Il 5 luglio 2007, Alberto Mercuriali, agronomo ventottenne, si trova fuori da un bar di Castrocaro, paese in cui è nato, insieme a degli amici e, proprio mentre sta fumando uno “spinello”, viene sorpreso dai carabinieri. Viene perquisito e gli viene trovato addosso un piccolo quantitativo di hashish. Alberto Mercuriali è incensurato. I militari, nonostante la modica quantità di sostanza sequestrata, decidono di proseguire l’intervento a casa del giovane. La perquisizione darà dei frutti, anche se modesti: 54 grammi di  hashish nascosti all’intero di un libro. Anche se la quantità non sembra essere così rilevante, e nonostante non vengano trovati gli strumenti tipici per suddividere l’hashish in dosi, viene formalizzata l’accusa di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio.

Mercuriali, da subito, dichiara di avere commesso una ragazzata ma di essere disposto ad assumersi le sue responsabilità, solo chiede ai carabinieri di essere riservati nel trattare la “notizia” e gli stessi, oltre a rassicurarlo, gli suggeriscono di non avvertire i suoi genitori. Quello che succede dopo, purtroppo, sarà molto diverso da quanto garantito dai carabinieri. Sabato 7 luglio viene indetta una conferenza stampa sull’operazione, l’hashish sequestrato viene mostrato agli obiettivi dei fotografi come un trofeo e i carabinieri, pur senza rivelare il nome di Mercuriali, forniscono una serie di particolari decisivi. I giornalisti, poi, fanno il resto.
Domenica 8 luglio ben tre quotidiani locali metteranno in prima pagina quella vicenda che – se non fosse stato luglio, così scarno di notizie, e se si fosse usato un minimo di buon senso – non avrebbe meritato più di qualche riga distratta nelle pagine interne. E, invece, quello che viene riportato dalla stampa è del seguente tenore: “imbottito di droga: insospettabile agronomo smascherato dai carabinieri” e ancora il drogato “agronomo ventottenne del paese”.
Una comunità di 6000 abitanti, quanto tempo impiega a individuare in Alberto Mercuriali il soggetto del “maxi-sequestro”?
Quella domenica, il cellulare di Alberto inizierà a squillare come impazzito. La sera stessa, Alberto Mercuriali va nel garage di casa sua, si chiude dentro la macchina, accende il motore, e aspetta la morte per inalazione dei gas di scarico. Scrive un biglietto ai genitori in cui spiega che la vergogna per l’offesa arrecata al suo nome era insopportabile. Meglio decidere di non vivere piuttosto che dover convivere con quella colpa marchiata addosso.
I familiari e gli amici di Alberto non si danno pace per quella morte così inaspettata e ingiusta. Organizzano una fiaccolata di protesta, a cui partecipano oltre 800 persone, ai balconi delle case di Castrocaro molti cittadini appendono manifesti per ricordare Alberto e per denunciare il sistema dell’informazione che, attraverso una campagna spietata e scellerata, ha determinato la morte del giovane. La stampa, però, a questo punto decide di tacere – con un silenzio che assomiglia a un’ammissione di colpa –  e non dà notizia della pacifica protesta inscenata dai cittadini. Nei mesi successivi vengono organizzati vari incontri pubblici, tra cui un convegno a Forlì a cui partecipano l’allora ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero e il presidente dell’ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna, Gerardo Bombonato. Bombato, nel suo intervento, non può far altro che constatare l’assoluta esagerazione di quanto scritto su Alberto Mercuriali, a fronte – è lui stesso a segnarlo – di un articoletto ben più modesto apparso lo stesso giorno di quello su Mercuriali, in cui si dava notizia di due arresti per detenzione di 65 chili di cocaina. La sproporzione, è evidente.  Forse che la notizia di un giovane del luogo, incensurato e di buona famiglia, si poteva vendere più facilmente ai lettori? La sconsideratezza di questa scelta si è rivelata presto in tutta la sua drammaticità, tanto da provocare un danno irreparabile. Valeva davvero la pena, per fame di scoop e di sensazionalismo, diffamare un giovane che aveva commesso un reato tanto ridicolo da poter essere ignorato?
Le colpe, è ovvio, sono molteplici: prima di tutto dei carabinieri, che hanno dato in pasto alla stampa informazioni tanto dettagliate, descrivendo un’operazione, tutto sommato banale, come se questa avesse contribuito a smascherare un traffico internazionale di sostanze stupefacenti; e poi dei giornalisti che, ignorando completamente la deontologia professionale, hanno utilizzato quelle informazioni in maniera arbitraria e irresponsabile, se non criminale.
Nell’agosto del 2007, la Corte di Cassazione ha emesso una importante sentenza in tema di diritto di cronaca, stabilendo che una persona può ritenersi diffamata a mezzo stampa anche se non viene citato il suo nome. Nonostante questo, pare abbastanza evidente che, a tutt’oggi, si faccia ancora troppo poco per difendere la dignità delle persone, per proteggerle dallo sciacallaggio mediatico, per garantire la riservatezza e far sì che i processi si discutano nelle aule dei tribunali, e non nei bar la domenica mattina. La vicenda di Alberto Mercuriali non ha insegnato abbastanza.

fonte:Processo Mediatico

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