mercoledì 25 maggio 2011

Il carcere rende migliori le persone?



Il carcere rende migliori le persone?
Il testo di Giovanni Farina, nato nell’ambito del corso di scrittura creativa 
(a proposito.. complimenti per l’iniziativa di questo corso… la scrittura creativa è una pratica benefica.. finamente una buona idea una volta tanto..:-) 
nasce dal tentativo di rispondere a questa domanda.


La questione è COLOSSALE. 
E’ forse uno dei temi più difficili in assoluto da affrontare, in territorio carcere.
 Ed  è molto più complicato di quanto molti vogliono renderlo.
 E va al di là dell’apprezzamento del sistema penitenziario. 
Il paradosso è che si può sostenere che il sistema penitenziario italiano è uno dei peggiori esistenti.. e che può capitare che, un contesto pessimo e intrinsecamente distruttivo e avvilente, possa generare, per reazione e spinta alla resistenza interiore, una crescita umana.
La delicatezza della questione sta qua. Non nobilitare il carcere.
 Ma domandarsi se effettivamente avviene che, in certi contesti estremi, certi uomini, dalla prova radicale e dalla durezza inesorabile.. possano, attivando tutte le loro risorse interiori, e focalizzandole.. innalzari a persone migliori. 
In questo senso si verificherebbe quello sconcertante paradosso per cui anche il Lager e il Gulag avrebbero contribuito a far sorgere personalità gigantesche come Viktor Frankl e Alexander Solzenicyn. Ma ciò non toglierebbe una virgola alla obiettiva valutazione della disumanità del carcere.
Ma mi fermo qua, perchè è un tema titanico e bisognerebbe scrivere un trattato anche solo per sfiorarlo.
Vi lascio a Giovanni Farina, detenuto a Catanzaro.. 
e vi invito a considerare con estrema attenzione le battute finali del suo testo.
 Lì Giovanni dice, in sostanza, che dopo tanti anni di carcere.. si sente, fondamentalmente “istituzionalizzato” e “carcerizzato”.
 Ovvero.. non si sente capace di immaginare una vita al di là del carcere. Probabilmente avrebbe paura se fosse scarcerato. 
Il carcere viene chiamato.. addirittura.. “rifugio”. 
Parole scomode, e inquietanti.. non facili da digerire per la nostra mente che vorrebbe soltanto risposte nette e limpide.. del tipo.. “scarcerare certe persone dopo tot anni, se vi sono le condizioni”.
 Ma forse Giovanni Farina.. scarcerato non vuole più esserlo.
 E quanti sono i detenuti che dopo più di venti anni.. quasi quasi preferiscono continuare a vivere in carcere? 
Riflettiamo sulla natura di un sistema che arriva, in taluni casi, a mettertelo nel sangue il carcere, come un contagio, una malattia cronica, quasi una droga, che odi e ti tormenta, ma della quale puoi arrivare a non riucire a fare a meno.
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Caro Alfredo, Antonella e tutti…
Ho ricevuto gli auguri di Pasqua. Ho ritardato a risponderti perché stavo aspettando che mi arrivasse il libro che ha pubblicato il Presidente della Corte che mi ha assolto dall’accusa di suicidio. Non mi è arrivato.
Ti invio uno scritto da pubblicare sul sito.
E uno scritto che ho preparato nell’ambito del corso di scrittura creativa in risposta a uno scritto di un ergastolano pubblicato sul vostro Blog. La tematica era se il carcere fa migliori gli uomini. Certi lo affermano.
Io penso che ogni uomo ha una storia  a sé..

La verità di ogni uomo si basa sulla dimensione reale dell’esistenza. E non è sempre possibile collegare alla tua vita un ricordo felice, anche se nulla si perde nel tempo, sia nel bene, sia nel male.
Il passato non passa mai, perché tutto resta di noi come  un eterno presente. Una volta entrati nella vita, non si esce più.

(…..) Non voglio dare un messaggio sbagliato a chi legge e non conosce il carcere.
Voglio che si sappia la verità. Che non sono un uomo migliore dopo trent’anni di galera. La galera non crea uomini migliori. Ero un uomo migliore quando pascolavo le mie capre  sulle montagne, ed ero circondato dall’amore dei miei genitori, da mia figlia e da mia moglie.

Che cosa è restato di migliore in me dopo trent’anni di carcere speciale, dove mi è stata fatta per tanti anni una guerra psicologica per 24 ore al giorno, dentro da quattro mura da dove non potevo vedere il cielo nemmeno dalla finestra perché era oscurata da una lastra di plastica nera, dove d’estate non entrava nemmeno un alito di vento e diventava una fornace ardente quella piccola cella. Dovevo essere educato dentro quelle quattro mura. Con la tortura dovevo diventare un uomo migliore.
In tutti questi anni mi è stato proibito di frequentare  la scuola, di andare a messa la domenica perché ero cattolico, di vedere le persone che io amavo. Le potevo vedere solo per un’ora al mese da dietro un vetro blindato con uno spessore di quaranta centimetri, da dove non si sentiva la loro voce. Non potevo avere in cella libri. Tutto era limitato, contato e controllato.. dai calzini alle mutande, all’ora d’aria.

(…..) Non sono un uomo migliore…. Non sono felice…. Perché ho perso il mio orizzonte di vita.
Mi sono domandato tante volte perché in questo luogo dannato nessuno tenti di recuperare qualche dannato. Questo luogo è considerato un fiume le cui sorgenti sono inquinate, e dovrà sempre avere acqua cattiva.
Nella profondità di noi stessi riusciamo ancora ad amare il nostro Io, al quale si attinge lo spazio del tempo ogni giorno che passa.
Se non sappiamo chi siamo, come possiamo capire il giudizio della nostra coscienza? Siamo degli animali estinti, la vita non entra più dalla porta del cuore. Il giardino che ospiterà l’eternità brillerà anche per noi nel cielo?
Quando l’essere umano non ha più idee, la sua vita diventa una prigione e un buio labirinto. Si può pensare che l’uomo è ciò che pensa e modella coi suoi comportamenti nella dimensione spazio-tempo.
La libertà è finalizzata alla verità. Chi si è mai domandato se vale la pena lottare durante la vita per la verità se in conclusione si deve morire e lasciare tutto alla terra.
Viviamo nell’Italia dei misteri occulti.
I Parlamentari vogliono l’immunità, pretendono che non siano giudicati per le loro azioni come dei comuni cittadini.
E’ giusto che questi signori non vengano in galera, perché la galera non ha fatto di me un uomo migliore, ma un essere perso nel vuoto, un disadattato senza più energia mentale, perché privo di futuro.
In questo mondo senza esistenza che cosa mi importa del presente e del domani?
Mi sono domandato spesso: se domani uscissi da queste quattro mura, che cosa farei in un mondo che non è più mio?
Per me le mura di questa prigione sono un rifugio sicuro. Dentro di loro ho respirato per tanti anni la mia vita. Mi hanno difeso dal male che c’è oltre il confine tracciato dal muro di cinta.
Che cosa potrei fare nella confusione del mondo a sessant’anni. Non ho più il senso della famiglia. Un uomo solo. Da ricostruire.

POESIA
 Molti uomini
si nominano giudici supremi
di un proprio regno
si sentono dio,
dalle mille incarnazioni.

E vedono le loro ingiustizie
senza colpa
mentre costringono
altri condannati
a costruire ogni giorno
nella fredda pietra
nuove celle di pena.
Giovanni Farina

fonte: Le Urla dal silenzio

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