lunedì 30 maggio 2011

Di carcere se ne può discutere ma non si può raccontare

Ci sono pagine scritte con una tale violenza e intenstà che non si possono 


cancellare. 


Ciro Campajola non è un detenuto.


 Fu in carcere anni e anni fa. 


Eppure quello che ha scritto ricondando quella esperienza merita di essere fatto 


conoscere.

E’ un testo molto duro, molto violento.


 E’ un testo di quelli che fanno male… credo che sia anche un dovere verso chi ha 


avuto esperienze come quelle di Ciro, fare conoscere un testo del genere..






Il carcere è un´esperienza che dovrebbero fare tutti gli uomini per



capire fino in fondo il sapore vero della libertà, come se la libertà



fosse una squisitezza che solo quando è finita gusti veramente.


E´ il caso di dire il classico retro-gusto , nel senso che il gusto te lo


puoi solo ricordare mentre impazzisci. Ma è un´esperienza che



consiglio a tutti gli uomini di evitare, quel gusto spesso muore



dentro quelle sbarre.



Oppure ne esci imbestialito e la libertà cominci a sbranartela 


come un cannibale, quasi volessi rifarti di quella persa, e anche se 


sei entrato per un piccolo reato puoi venirne fuori come uno 


spietato killer, o ne esci talmente impaurito di riperdere la libertà


ritrovata che non riesci più a



vivertela e magari da tossico impaurito puoi diventare aspirante



suicida, o se ti dice bene dalla galera verrai trasferito in una bella



stanza con quattro pareti imbottite.


 Il tempo che resti dietro le



sbarre è relativo per sentire il retro-gusto della libertà, purtroppo



per tutto il resto non è relativo: c´è gente che, oltre a sentire quel



retro-gusto, esce solo da morta dalla propria cella.



Quando arrestarono me provai una sensazione mai provata prima, mai



provata dopo, e che mai potrò descrivere.


 Di carcere se ne può



discutere ma non si può raccontare 


E´ come fare un quadro che per



quanto bene possa venire non può mai rendere giustizia al soggetto



ritratto.


 Certe polaroid raccontando come un Van Gogh e come per un



Van Gogh non c´è un cazzo da spiegare. 


Se lo osservi bene ti arriva un



cazzotto dritto allo stomaco, oppure puoi darci un´occhiata



superficiale, dire il tuo “bello, brutto”, dare il tuo giudizio,



magari fare la tua valutazione e poi passare ad altro.


 E´ quella



maledetta porta di ferro che si chiude per la prima volta dietro di



te, quei giri di chiave che a ogni giro ti allontanano un po´ di più



dal resto del mondo, è quello che vedi di fronte a te, un esercito



nemico che ti ha catturato, sei in balìa delle loro torture e puoi



solo imparare in fretta a non lamentarti se non vuoi che le torture



aumentino.


 Dipendi completamente da gente incattivita, sadica, in 

cerca di qualche vendetta che non avrebbe motivo di esistere se



facesse il proprio lavoro come tutte le altre categorie aspettando 


tranquillamente lo stipendio per vivere in pace, ma che ha motivo di



esistere se deve dare un senso alla rabbia che si accumula in una vita


fallita.



Tenere a bada i cattivi significa vivere con loro. Solo che loro prima



o poi escono, tu rimani come uno stronzo a passare i tuoi migliori



anni in carcere.



E´ logico che con qualcuno devi prendertela se non vuoi guardarti allo



specchio e poi spararti con la tua bella pistola in dotazione. Certo



che solo una mentalità di “secondino” può fare un concorso per entrare



nella polizia penitenziaria; lungimiranza zero, e non venitemi a



raccontare che è un lavoro come un altro perché non lo è, ci devi



essere predisposto.



A me era la seconda volta che mi beccavano, conoscevo già quel retro-



gusto ma non come trattavano l´astinenza queste “altre istituzioni.


 Al primo arresto non ne avevo ancora bisogno dei loro “trattamenti”, ero


un semplice consumatore abituale di droghe leggere regolarmente



schedato, poi all´uscita sarei stato un semplice consumatore abituale



di droghe leggere regolarmente schedato con precedenti penali che



sarebbe subito diventato un semplice consumatore abituale di droghe



pesanti con precedenti penali per droghe leggere.





Il manganello dello sbirro che sbatteva contro le sbarre della cella



mi svegliò, questa era la loro sveglia, gli uccellini che cantano al



primo sole del mattino è tutta un´altra storia per intenderci.





La prima notte riesci sempre a dormire un po´, hai ancora un po´ di



roba nel sangue che ti aiuta a dormire e a non aver paura. E´ quando



senti quel cazzo di manganello che ti presentano la rota della e



nella galera.



<Perché sei ancora a letto, tu?>, mi urlò il secondino-sveglia.



Sto in astinenza, dissi.



In fondo fino a quando abitavo con il resto del mondo questo era un



motivo giustificato e “consentito” per starsene a letto, si dicevano



perfino contenti.



Si aggiustò il cappello, altro gesto tipico degli sbirri mentre



pensano a qualcosa, forse senza non riuscirebbero nemmeno più a



pensare talmente sono abituati a farlo col cappello che toglie aria al



cervello.


 Ma quando gli sbirri pensano a qualcosa devi cominciare a



preoccuparti, poche volte hanno delle buone idee.



Il secondino-sveglia si trasformò ironicamente (secondo lui), nella



dolce fatina buona, a me sembrava più una vecchia checca con i baffi



che cercava di adescare in maniera disastrosa qualche bel cazzo lungo



e grosso per il suo culo.



<Stai in astinenza? Poverino>, continuò quel tipo strambo in uniforme



color topo di fogna. Non capivo che cazzo volesse da me. Per un attimo



pensai che fosse davvero una checca .



Non lo era.



Mi propose due diversi tipi di psicofarmaci a gocce che usavano in



casi come il mio, così disse.



Scelsi il più forte e concordammo per cinquanta gocce del migliore.



Il secondino-fatina-checca questa volta pareva essersi trasformato in



un maggiordomo.



Ma non era neanche un maggiordomo.



Tornò con due manganelli ben nascosti e mi chiese di nuovo cosa avessi



scelto. Glielo ricordai, come maggiordomo non sarebbe stato un



granché, dimenticava le ordinazioni.



Tirò fuori un manganello con sopra scritto il nome delle gocce più



forti, proprio quelle che avevo scelto, e sostituì il numero di gocce



richieste e accordate con delle manganellate altrettanto forti.



Fortuna che mi ero limitato a chiederne cinquanta.





Anche quella volta le “loro” modiche quantità mi avevano dato una mano



gliene devo dare atto, se le avessi superate chissà cosa mi avrebbe



aspettato.



All’epoca non conoscevo ancora come si divertivano i secondini, in



seguito quando la voce si sparse nessun tossico più chiedeva “aiuti”



se veniva arrestato.



E pensare che quando stavo fuori sarebbe stati tutti contenti se mi



fossi deciso a mettermi in un cazzo di letto per smaltire l´astinenza.



Tutti a chiedermelo, famiglia e istituzioni. Ora che in astinenza ci



stavo, non potevo starci. Non sono mai contenti delle loro stesse



leggi.



L´impossibilità di spiegare la galera è che in questo ipotetico quadro



ogni particolare è il soggetto., non puoi solo parlare della tua



cella, non renderebbe l´idea, bisognerebbe aggiungerci il buio, l



´odore, il freddo, la luce che ti viene accesa e spenta a una



determinata ora. Bisognerebbe metterci l´audio per sentire lo choc di



quei manganelli-sveglia, tutta quella confusione, anche quella del



silenzio. E´ un silenzio diverso, animato dalle voci dei fantasmi di


tutti quelli che sono già passati in quella cella, dalle loro angosce





che tu in qualche modo avverti. Dalle loro urla.





Una notte, a luci spente, cominciammo a sentire dei lamenti. Tutti



sporgemmo naso, gambe e braccia tra le sbarre cercando di capire cosa



stesse accadendo, non era successo niente di particolarmente



importante per il secondino che proprio in quel momento “causalmente”



era andato a pisciare mentre il detenuto veniva accoltellato. A volte



succedono strane coincidenze, come se qualcuno proprio in quel momento



pisciasse sulla tua vita e tu non puoi farci un cazzo.



Per capire bisognerebbe fondere il soggetto con tutti gli altri



particolari in questo quadro, perché quei particolari ti accompagnano



in ogni ora della detenzione, bisognerebbe rappresentare lo stato d



´animo del soggetto sopraffatto e perso in mezzo a questi particolari



onnipresenti, o lo stato d´



animo quando finalmente spengono le luci, metti la testa sotto a



quelle coperte che prima allontanavi per la loro puzza e poi pregavi i



secondini per averne un´altra, sperando che non ci fossero urla né





ispezioni alla cella da parte di uomini dai volti mascherati e



manganelli in evidenza quella notte,e ti accorgi che quello è il



momento peggiore. Non ci sono più avvocati, detenuti, tribunali,



secondini, sbirri, processi, giudici, rumori, urla, comandi,



provocazioni a distrarti, ci sei tu, i tuoi pensieri, le tue paure, la



tua astinenza e le voci di quei fantasmi sotto le coperte.


Docce come fossimo animali, cento persone nude come vermi in fila ad



aspettare il loro turno, dopo



a passare il turno ci voleva un attimo, avevi pochi minuti poi ti



staccavano l´acqua. E´ anche in queste regole che capisci quanto hai



perso e riassapori il retro-gusto della libertà, lì in quei cessi



sporchi mentre ti asciughi come puoi la schiuma che non riesci mai a



sciacquare del tutto in quei minuti preziosi che ti concedono. Oppure



il ricordo di quel sapore, lo puoi sentire mentre mangi, quando



apparecchi un tavolino a pochi centimetri da un bagno alla turca,


 l'unica zona della cella non occupata dai letti a castello. Tu mangi e




qualcuno caca, a volte capita . In quelle volte non potevi che pensare



agli ebrei nei lager per darti coraggio, ma in quei momenti perdevi un



altro pò di coraggio.



Niente, non si può descrivere cosa vuol dire essere sbattuti in



carcere.



Ma si può dire che ogni cosa che devi fare te la rendono



maledettamente complicata. Per ogni cazzata devi fare la domandina



sulla letterina che poi verrà vista e valutata e dopo circa un mese se



per caso avevi chiesto un giornale sta pur certo che il giornale



arrivava, solo che non riportava più la notizia per cui lo avevi



richiesto.


Lo slogan dei penitenziari è “ostacolare sempre e comunque il



detenuto, nella buona e nella cattiva



sorte, in ricchezza o in povertà, in salute e in malattia”,



ostacolarti la vita, praticamente, altro che “correggerti” sti figli



di puttana ti cancellano……








fonte : Chi non ha voce - facebook











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