domenica 31 luglio 2011

Ecco perchè sono per l'amnistia


Amnistia
perché sono favorevole
5 milioni di processi rischiano la prescrizione, l'amnistia almeno ne salverebbe qualcuno
L'amnistia estingue sia il reato sia la pena, cosicché il certificato penale dell'imputato rimane immacolato. È prevista dall'art. 151 del codice penale e consiste nella rinuncia, da parte dello Stato, a perseguire il reato. Si tratta di un provvedimento di clemenza ispirato, almeno originariamente, da opportunità politica e pacificazione sociale, ma a volte diventa strumento di sfoltimento delle cause pendenti e delle carceri. Spesso l'amnistia è concessa a prescindere dal tipo di reato e guardando solo alla pena massima prevista, cosa che ritengo ottimale e giustissima; ma di recente si tendono a escludere alcuni reati che, pur rientrando negl'anni di pena aministiabili, si suppongono più gravi di altri o meno tollerabili dall'opinione pubblica.
Non che si voglia compiangere l'amnistia di Togliatti del 22 giugno 1946, un vero e proprio colpo di spugna sui crimini fascisti, ma oggi il vero problema è che bisogna decidersi: o si continua a essere puri e duri, a volere la certezza della pena, il carcere punitivo, i delinquenti tutti alla sbarra e una società intollerante... oppure si ragiona secondo logica.
Mi spiego: l'Italia ha il più alto numero di articoli del codice penale al mondo (ad oggi: 734 solo nel primo Libro , "dei reati in generale", e i Libri sono tre). Questo significa che la convivenza italiana è spulciata nei minimi particolari, vuol dire che il legislatore ha la volontà di entrare nei minimi meandri della vita e dei comportamenti dei cittadini, e quindi vuol dire che molti, forse troppi, comportamenti sono considerati così gravi da necessitare un articolo di codice penale. Un esempio per tutti: l'autocalunnia, art. 369, è punita fino a 3 anni di galera e consiste nel dichiararsi colpevole di un reato che si sa di non aver commesso... A me, più che un crimine, sembra invece, a seconda del contesto, una pagliacciata, una cretinata, una pazzia, una goliardata, una battuta. Non danneggia nessuno in nessun modo, perché merita la galera? Nel 1858, John Stuart Mill pubblica il Saggio sulla libertà. In esso è formulato l’harm principle (principio del danno): lo Stato è legittimato a intervenire per regolare la condotta dei cittadini solo quando le loro azioni danneggiano altri cittadini. Non mi pare proprio che questo saggio consiglio sia rispettato oggi, in piena epoca di dogmatismi e di finte indignazioni che fanno da retroterra a invenzioni legali molto discutibili che fanno pensare allo sfogo di fobie, per lo più sessuali, di qualche legislatore. Oltre tutto, l'eccesso di articoli penali aumenta la probabilità che qualcuno confligga con altri, si contraddica o crei paradossi: famigerato quello relativo agli abusi sessuali, che in alcuni casi implicano una pena simile a quella prevista per l'omicidio involontario; la qual cosa induce il violentatore a uccidere la vittima, giacché rischia lo stesso ma migliora la probabilità di non venire scoperto. 
Un processo penale costa soldi, tempo, fatica e risorse. È immorale attivarlo per "crimini" diventati tali solo per una puntigliosità del legislatore, oppure per non aver aggiornato un comportamento ai tempi, o anche per aver riversato troppa moralità nell'ispirazione di un reato. Il processo è una macchina che, una volta messa in moto, quasi sempre non si ferma più fino alla sentenza definitiva. E per metterla in moto, non poche volte basta la decisione di un magistrato che appone una firma su un pezzo di carta. Quella firma, a seconda dei casi, può voler dire una o più vite stracciate in un attimo senza che neppure ci sia ancora la prova della colpa di cui si è accusati.
Questo modo di procedere è primitivo assai, è basato su princìpi grezzi, si avvale di tecniche elefantiache e di sistemi peggio che artigianali. La vita di un uomo si affida leggiadramente a pacchi di documenti spesso abbandonati nei corridoi dei tribunali, si affida il suo futuro a umili impiegati che possono essere distratti e incapaci, e quindi fare danni inimmaginabili. E non si può escludere che avvocati, procuratori e giudici non siano sempre perfetti e obiettivi anziché inquinati da ideologie proprie, da interessi e da emozioni. Il codice penale può essere in balia dei tempi, delle attenzioni sociali che mutano e si trasformano, e che dobbiamo sperare che non diventinoparossismi e fobie. Poi magari si cerca di ricucire gli strappi e si vara un indulto che vanifica l'80% dei processi, vale a dire quelli la cui pena prevista arriverà fino a 3 anni.
Con quale spirito di giustizia e con quale serietà un qualunque magistrato fin d'ora celebra processi che già sa non approderanno mai all'applicazione ? Processi "tanto per farli", la cui eventuale condanna (fino a 3 anni) non sarà mai trasformata in carcere...      
processi pendenti, attualmente, superano la cifra di 5 milioni ! Ciò vuol dire che hanno bisogno di circa 20 anni per essere svolti e portati a termine... Domanda: in quante prescrizioni essi moriranno? Quasi tutti rischiano la prescrizione, chi naturalmente (difficile che un processo termini prima dei 7 anni sufficienti alla prescrizione), chi per la bravura e gli escamotages degli avvocati. Quindi è già in atto un paradosso: l'indulto ha risolto l'"emergenza" ma non ha risolto il fondamento del problema, che è quello di rendere certa la pena che invece, con la prescrizione, diventa una bluff. Insomma, il problema non è arrestare "i cattivi" ma decongestionare i tribunali per permettere ai magistrati di concentrarsi sui processi con un minimo di speranza di fare giustizia e non su quelli già destinati alla prescrizione. Ecco perché la soluzione è senza dubbio l'amnistia giacché, assieme alla pena, si estingue anche il reato, e quindi si alleggerisce e si razionalizza il lavoro dei tribunali; non a caso, nella storia patria sarebbe questa la prima volta che c'è l'uno senza l'altra.
Oggi - novembre 2006 - dopo l'indulto si parla di amnistia (la propone il Consiglio Superiore della Magistratura), ma già s'odono iniet politici ansiosi di assecondare il facile dissenso popolare. Probabilmente, proprio per questo, l'amnistia non ci sarà. Ma il dissenso popolare è troppo facile da innescare, basta prospettare alla gente pericoli e disastri e il gioco è fatto. La gente è molto ricettiva a suggestioni elementari quali "i reati si devono punire" e "i criminali devono andare in galera". Sennonché comprende molto peggio o per niente che questi possono essere slogan e teorie e che la realtà è diversa ed è più complicata.
Le carceri sono quelle che sono: sia in termini di spazio che in termini di soluzione. Costruirne ancora non è cosa facile, ma soprattutto va contro alla mutata idea dell'espiazione, che col carcere non si attua per niente. A giudicare dal tasso di recidiva, coloro che tornano a commettere il reato per cui hanno già pagato sono ancora troppi. E (anche) questo significa che la pena del carcere non ha svolto alla sua funzione, mentre di certo non significa che il carcere non fa abbastanza paura.
Una valida alternativa alla galera ancora non c'è; ma del resto neppure nel medioevo c'era l'alternativa al menestrello, ciononostante è arrivata la stampa, il cinema, la tv, internet. Si tratta solo di aspettare che quel bizzarro mix di camminata fisica e mentale, culturale e scientifica, morale e filosofica che si chiama esistenza, approdi a consapevolezze nuove, inaspettate e mai sperimentate prima.
Quel che possiamo fare è cercare di sveltire il processo, mentre altri possono parimenti frenarlo. L'evoluzione si può frenare in molti modi, anche impedendo al crimine di esprimersi compiutamente: non ci si sofferma a rifletterci, ma il palcoscenico migliore acciocché l'evoluzione si compia è marziale, istintuale, dove le "fiere", bestie o umane che siano, si azzannano per sopravvivere. Se al naturale processo di selezione si frappone il cuscinetto della regolarità e della pace sociale, non ci sarà più necessità di prevalere sugl'altri perché la propria sopravvivenza è protetta dall'esterno. Ciò comporta un blocco dei processi di adattamento, giacché le specie e gli individui meno adatti non soccombono più, come esige la Natura, ma resistono e alla fine prevalgono sul modello più forte. Risultato: una umanità sempre più debole e involuta dove la direzione del cammino esistenziale non percorrerà più i binari della selezione naturale ma quelli delpotere. Per cui il problema sarà chiedersi: chi gestisce il potere? E secondo quali criteri il potere decide la direzione di marcia?  
La base del reato è la colpa, e la base della colpa è il pensiero religioso. Ma noi (per dire i cittadini, e ancor più il loro governo) non dobbiamo essere "religiosi", dobbiamo essere laici. Dobbiamo ragionare in termini di efficienza, di efficacia, di minimo danno. E non in termini di peccati, di offese a dio, di inferno e paradiso, di bene e male. Un omicida ha una spiegazione sempre diversa da quella per cui viene condannato; un rapinatore è mosso da stimoli diversi che non la solita cattiveria criminale; uno stupratore ha un passato psicologico che l'accusa ignora; perfino un terrorista ha una motivazione politica e ideologica che i tribunali non possono e non vogliono comprendere. A ben vedere, i cosiddetti criminali non commetterebbero alcun delitto se venissero a mancare le motivazioni di fondo, se venissero a mancare gli stimoli scatenanti, le condizioni favorenti. È un discorso criticabile e forse anche zoppo. Ma non un pensierodebole. Discutendo sopra le righe, se immaginiamo una società perfetta in cui ogni ingiustizia fosse assente o sopportabile, in cui tutti fossero soddisfatti e tutti avessero un ruolo gradevole e ben pagato, i reati sarebbero di più o di meno? Non zero ma sicuramente di meno; e ciò porta a concludere che una parte della responsabilità sulle cause scatenanti il delitto sia addebitabile alle imperfezioni della società. E giacché molte di queste imperfezioni in forma "sociale" non le possiamo o non le sappiamo risolvere, non facciamo altro che traslare quelle responsabilità su un "colpevole" in forma umana.
Chiamiamo giustizia quel che è solo vendetta sociale, e la perfida soddisfazione di aver arrestato e condannato un criminale dura poco, comunque molto meno della condanna. Ma perché mai, per distribuire queste miserevoli soddisfazioni, uno Stato dovrebbe ingabbiarsi da solo nei numeri mostruosi dei processi, nelle lungaggini asfissianti della burocrazia, nella incertezza della pena diventata standard? "Onorando" tutti i crimini con un processo, forse si alimenta l'ideologia giustizialista, ma di sicuro si depaupera il senso stesso dell'attività giudiziaria; lo si depaupera attraversando eoni fra l'accusa e la condanna definitiva, quando l'ex indiziato ora colpevole può non essere più la stessa persona; lo si depaupera per lo sgretolarsi del pathos iniziale a fronte di sovvenuti mutamenti sociali; lo si depaupera perché si prende coscienza che anche un processo penale è fatto da uomini che vivono, che prendono decisioni relativistiche, che condividono con tutti gli altri uomini questo pezzo di roccia che è il nostro mondo, e che, misteriosamente, sono tutti, nessuno escluso, legati da una comune condanna a morte.
Ecco, finalmente, perché sono per un'amnistia. 


fonte:
www.calogeromartorana.it/amnistia.htm




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