mercoledì 13 luglio 2011

Emergenza carceri? per il Governo si tratta di affari


Giustizia: emergenza carceri? per il Governo si tratta di affari
di Giovanni Russo Spena e Gennaro Santoro

Liberazione, 19 febbraio 2010

"Qui non c’è più decoro le carceri d’oro ma chi le ha mai viste chissà, cheste so fatiscenti pe chisto i fetenti si tenino l’immunità", così cantava De Andrè in "Don Raffaè".
Forse si è ispirato a Pasquale Cafiero il Governo quando ha presentato due emendamenti al decreto legge sul piano carceri attualmente in esame alla Camera: in beffa agli spot sugli arresti di mafia, si prevede per la costruzione di nuove carceri non solo l’affidamento senza gare d’appalto, ma anche la possibilità di subappaltare i lavori fino al 50 per cento del valore dell’opera. It’s business! Tra l’altro, è stata affidata alla Protezione civile, oltre che la gestione dei terremoti e dei grandi eventi, anche quella del sistema carcerario, sottratto, quindi, ad ogni controllo istituzionale e politico.
Intanto il clima (o delirio) di emergenza carceraria ha portato il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ad istituire delle Unità di ascolto per prevenire i suicidi (72 nel 2009, 7 nel solo gennaio di quest’anno), assegnando tale funzione - udite, udite - alla Polizia penitenziaria piuttosto che agli psicologi.
Mentre in Parlamento vi sono svariati disegni di legge che tendono a militarizzare il personale civile di chi lavora in carcere, a partire dagli educatori. Mentre il carcere, come ha ricordato Paola Giannelli (Società italiana Psicologia penitenziaria) nei giorni scorsi su Il fatto quotidiano, viene utilizzato sempre più "per affrontare problemi di natura sociale, spesso di disagio psichico (come il caso del suicidio avvenuto a Spoleto)".
E il dramma di chi vive in celle sovraffollate e disumane è dovuto in gran parte alla "chiusura delle prospettive di vita - sia durante la detenzione che dopo - determinata dalle modifiche apportate alla riforma del 1975 e alla Legge Gozzini che ne hanno capovolto la ratio; alla presenza massiccia di persone in attesa di giudizio (il 50% della popolazione detenuta, di cui il 40% viene poi assolta)… al Fine Pena Mai, ovvero quelle forme di ergastolo senza possibilità di avere benefici, né a media né a lunga scadenza".
A proposito di fine pena: mai, senza se e senza ma. Ci scrive Carmelo Musumeci, uno dei protagonisti della lotta contro la pena perpetua, per denunciare le ore di attesa e le angherie che suo figlio e, in generale, i figli dei detenuti (anche in tenera età) sono costretti a subire prima di poter avere un freddo colloquio col proprio genitore in carcere. Come a dire, la pena è un bene ereditario, una stigmate che anche i figli, seppur innocenti, devono scontare.
E allora non c’è da meravigliarsi se chi esce dal carcere torna a delinquere in 7 casi su 10 (mentre chi ha usufruito dei benefici penitenziari solo in 2 casi su 10) o se i tre quinti di chi è in carcere ha un grado di istruzione compreso tra l’analfabetismo e la terza media o, ancora, se in carcere c’è una media di suicidi di 21 volte superiore a quella di chi vive in libertà.
Per continuare a ricordare De Andrè, verrebbe da intonare "La Ballata del Miché": "Vent’anni gli avevano dato, venti anni in prigione a marcir, però adesso che lui si è impiccato, la porta gli devono aprir".
Ma Fabrizio non c’è più a ricordare gli ultimi, i poveri cristi blasfemi, quelli che come Stefano Cucchi o Federico Aldrovandi hanno avuto la colpa di finire nelle mani sbagliate. Nelle mani animate di violenza profusa e legittimata dalle stesse Istituzioni. Quelle stesse Istituzioni sorte per tutelare la dignità di tutti, anche (verrebbe da dire, soprattutto) di chi è ristretto nella propria libertà personale. "Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino, non avevano leggi per punire un blasfemo. Non mi uccise la morte ma due guardie bigotte, mi cercarono l’anima a forza di botte" (Fabrizio De Andrè, "Un blasfemo").

fonte: RISTRETTI.org

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