venerdì 22 luglio 2011

Educatori penitenziari


Ma a che servono questi educatori?
www.educatoripenitenziari.it

dott.ssa Roberta D'Erasmo                                     


Partiamo da un assunto: se siete in carcere avete quasi sicuramente una carriera criminale.Proviamo a descrivere un detenuto qualunque, il detenuto X, che proprio oggi ha finito di scontare la sua pena.
Se è italiano o straniero non c’interessa.
Vive  ai margini della società ed ai margini di una grande città: un centro di edilizia popolare o un ghetto come dir si voglia.
Ha cominciato con piccoli furti all’età di otto anni, quando ha lasciato la scuola, a dodici anni ha cominciato ad usare droghe e poi ne ha vendute.
A quindici anni era stato in carcere una volta, oggi, a quarant’anni c’è già stato sei, tutte le volte per condanne dai due ai cinque anni. E’ stato spesso  chiamato imputato, appellante o ricorrente
 Ha una nascosta simpatia per i giudici anche se dice che hanno torto, disprezza i poliziotti penitenziari e li chiama “guardiacarcere”… una volta li beffò pure:quando gli avevano messo il braccialetto elettronico in permesso premio e lui aveva rapinato un supermarket facendo seguire le tracce d’un gatto randagio.
Racconta la sua vita inframmezzandola d’ invenzioni poetiche: dice di essere figlio di un principe che lo ripudiò e di essere finito dietro le sbarre  per via d’uno squallido traditore.
Si sente fortunato perché è vivo.
E’ vivo…e nel suo quartiere è un lusso, è vivo perché quand’era in galera gli altri disponevano della sua vita e gl’impedivano finanche di togliersela, è vivo perché  non ha contratto fortunosamente delle malattie, è vivo perché dopotutto ha voluto esserlo.
E’ vivo ma tornerà a spacciare droga perché da buon figlio prosegue il mestiere del padre e perché, come tutti coloro che non hanno avuto mai troppe possibilità di scelta, crede di non averne più a disposizione.
E poi li vuol vedere morti questi figli di papà che si strafanno della roba che gli vende e poi non  lo salutano quando lo vedono fuori dal bar.
E’ sempre stato così: gli altri “dentro”, lui “fuori” ...per  poter essere dentro qualcosa ha dovuto farsi arrestare.
Terminiamo qui il racconto, il finale è scontato: è una vita scritta dalle circostanze prima che da me.
Pensateci, se foste nati allo ZEN di  Palermo da  uno spacciatore ed una prostituta non sarebbe potuta essere questa la vostra esistenza?
Non è detto, però sono sicura che anche voi, alla fine di tutto, avreste pensato di non avere scelta.
C’è chi non sa di aver scelto, c’è chi ha una carriera da travet del crimine come un altro ha un impiego in banca. Lo scrisse anche la Arendt: il male è banale.
D’altra parte il detenuto X  è colpevole di spacciare droga, è colpevole della morte di alcune persone…tutti quei morti di overdose….  e non è solo colpa di suo padre e del suo quartiere.
Forse non ha mai sospettato di avere delle responsabilità , forse lo avrebbe capito se qualcuno glie lo avesse spiegato ma non solo a parole, non sarebbe bastato.
Il detenuto X non aveva mai pensato  che un cacciavite potesse avere una funzione differente dal forzare una serratura, lo  avrebbe certo compreso se avesse fatto un corso da riparatore di lavatrici.
E poi il quartiere, sempre il quartiere…c’è tutto il mondo intorno! Il detenuto X avrebbe  cominciato a sospettarlo se si fosse appassionato alla geografia a scuola media,  se l’avesse frequentata in carcere.
Il finale della storia del detenuto X sarebbe potuto essere un altro.
Per poter scegliere ci vuole almeno un’alternativa….ecco a che servono questi educatori penitenziari!
                                                      

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