venerdì 22 luglio 2011

L'Unione cristiana evangelica battista denuncia la situazione carceraria


ANNA MAFFEI

In Italia si muore di carcere

07-07-2011
"Non c’è la pena di morte nel nostro paese ma si muore di carcere in Italia". La denuncia è della pastora Anna Maffei, già presidente dell'Unione cristiana evangelica battista d'Italia (UCEBI), che con un editoriale sul bollettino settimanale NEV-notizie evangeliche dal titolo "Fui prigioniero e veniste a trovarmi" si inserisce nel dibattito sul sovraffollamento dei penitenziari. "A volte si muore per le percosse subite, altre volte si muore per cure mediche non ricevute, altre volte, sempre più spesso, si muore di suicidio" scrive la pastora Maffei ricordando la stretta relazione fra l’alto tasso di suicidi in carcere e le condizioni disumane in cui sono costretti i detenuti. E, facendo cenno ad una sua visita nelle carceri l'estate scorsa Maffei, racconta di aver visto rinchiuse "7-8 persone in pochi metri quadri, in anguste celle esposte al sole d’agosto, con accanto un piccolo water senza finestra, con l’acqua razionata e dunque con lo scarico non funzionante per molte ore al giorno ... una tortura che a migliaia i detenuti vivono ogni giorno nel nostro bel paese". "La civiltà di un paese si misura soprattutto dalla sua capacità di rispettare la dignità e i diritti basilari delle persone - così la pastora profondamente preoccupata per il pericoloso grado di assuefazione raggiunto in Italia quando si tratta di migranti, rom o detenuti. "Cosa hanno da dire i cristiani? - si chiede allora la pastora -. Uscire dal torpore e far risuonare dai tetti la parola di Gesù. Inequivocabile. 'Fui prigioniero e veniste a trovarmi. Quando l’avrete fatto a uno di questi minimi, l’avrete fatto a me'. Nel bene e nel male".
"Fui prigioniero e veniste a trovarmi"
Gesù subì un arresto ingiusto, fu legato e trascinato via dalle guardie, sottoposto ad un processo sommario, il suo corpo profanato dalle torture, condannato a morte e ucciso da un esercito di occupazione. Gesù era innocente. Non c’è la pena di morte nel nostro paese ma si muore di carcere in Italia. A volte si muore per le percosse subite, altre volte si muore per cure mediche non ricevute, altre volte, sempre più spesso, si muore di suicidio. E’ stato dimostrato che esiste una stretta relazione fra l’alto tasso di suicidi in carcere e le condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena. Non basta ricordare che le persone in prigione possono anche essere innocenti e che tale sola possibilità dovrebbe rendere molto attenti alle condizioni in cui la detenzione si svolge. La suprema ingiustizia che l’umanità commise nei confronti di Gesù è infatti monito perenne che la giustizia umana purtroppo a volte giusta non è. Ma indipendentemente dal fatto se le persone recluse siano innocenti o colpevoli del reato loro ascritto, la civiltà di un paese si misura soprattutto dalla sua capacità di rispettare la dignità e i diritti basilari delle persone. Di tutte le persone.
Siamo un paese civile se ci comportiamo civilmente proprio verso quelli che stanno più in basso nella piramide sociale. E noi in Italia invece abbiamo raggiunto negli ultimi decenni un pericoloso grado di assuefazione al fatto che migranti, rom e detenuti non siano come gli altri, depositari di diritti costituzionali fondamentali. Siano altro da noi.
Pastora battista, già presidente dell’UCEBI.
Che le carceri siano in una situazione vicina al collasso è infatti noto da tempo, ma a chi importa? Forse solo ai soliti radicali il cui leader, Marco Pannella sta rischiando la vita con uno sciopero della fame che dura dal 20 aprile scorso e di cui pochi sembrano essersi accorti. Il tasso medio di sovraffollamento degli istituti di pena è del 154%, ma ci sono punte anche del 228%. Forse queste percentuali non dicono molto a chi non ha mai visitato un carcere in piena estate come è capitato a me l’anno scorso. Tenere richiuse 7-8 persone in pochi metri quadri, in anguste celle esposte al sole d’agosto, con accanto un piccolo water senza finestra, con l’acqua razionata e dunque con lo scarico non funzionante per molte ore al giorno è qualcosa di inumano che ho constatato con i miei occhi. E’ una tortura che a migliaia i detenuti vivono ogni giorno nel nostro bel paese. Se a questo si aggiunge che i tempi di socializzazione a volte non sono possibili per carenza di personale e spazi adeguati, si comprenderà quanto le persone siano soggette ad uno stress tale che facilmente sfocia in gravi patologie mentali. Quello che pochi considerano è quanto queste condizioni inumane e incostituzionali siano gravemente lesive non solo della salute mentale e fisica dei detenuti ma anche dell’equilibrio degli operatori del carcere che sono infatti i migliori alleati nella lotta per condizioni di vita più umane negli istituti di pena. Una operatrice mi ha confessato con le lacrime agli occhi la sua frustrazione per aver assistito impotente ad un ennesimo tentativo di suicidio di una giovane donna depressa e disperata.
Cosa hanno da dire i cristiani? Uscire dal torpore e far risuonare dai tetti la parola di Gesù. Inequivocabile. “Fui prigioniero e veniste a trovarmi. Quando l’avrete fatto a uno di questi minimi, l’avrete fatto a me”. Nel bene e nel male.

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