giovedì 21 luglio 2011

Il ruolo del medico nella carceri italiane


MEDICI E VIOLENZA
 

Il caso di Stefano Cucchi, morto nel reparto penitenziario dell'ospedale Pertini di Roma, per la negligenza dei medici che avrebbero dovuto curargli i traumi riportati dopo un pestaggio ad opera di personale penitenziario in servizio nelle celle del Tribunale di Roma, ha suscitato la prudente, cautissima indignazione di Pierluigi Battista, mitico conformista del "Corriere della sera".

Costui, e tantissimi altri con lui, hanno finto di scoprire che all'interno degli istituti di pena italiani (ma anche all'interno delle caserme dei carabinieri e della Questure) la violenza sui detenuti è la norma.

Dopo averci rifilato con una costanza degna di miglior causa i filmati sulla brutalità dei poliziotti e dei carcerieri americani, contrapposti ai nostri che trattano gli arrestati con britannica signorilità e, in carcere, si prodigano per rieducarli e recuperarli alla società civile, i pennivendoli nostrani si prodigano a "provare" che si tratta di un caso isolato, magari non proprio uno ma,insomma,di casi isolati, magari non proprio pochi, ma suvvia sempre limitati rispetto al numero degli arresti e dei detenuti, tanto è vero che il numero dei suicidi è certamente superiore a quello degli ammazzati a legnate. E tanto dimostra la bontà degli apparati di sicurezza e del sistema penitenziario.

Insieme agli episodi di ordinaria violenza poliziesca e penitenziaria, gli italici pennivendoli hanno intravisto la responsabilità dei medici penitenziari dei quali poco si è sempre parlato, fingendo di credere che siano qui, dentro le patrie galere, a prodigarsi per curare i detenuti.

Invece, bisogna subito chiarire che i medici penitenziari sono i complici primi della violenza carceraria. Quanti sono i certificati medici che attestano come le lesioni riportate da questo o quel detenuto sono frutto di una caduta dalle scale?

A leggerli tutti, si è obbligati a pensare che per eliminare tanti infortuni basterebbe sostituire le scale con gli ascensori, ma per nutrire qualche legittimo dubbio bisogna andare a vedere come lavorano i medici in carcere. Intanto, sono fermamente convinti che i loro pazienti sono quasi tutti dei simulatori, che inventano malanni e malattie perchè cercanti di trovare il pretesto per uscire dalle patrie galere. Ma, se non hanno soldi e protezioni, trovano pane per i loro denti perchè il compito primo del medico penitenziario è quello di impedire le scarcerazioni per motivi terapeutici.

E' vero che, spesso, nei referti scrivono che il tale è soggetto, per motivi cardiaci, a "rischio di vita", ma subito dopo aggiungono che non c'è da preoccuparsi perchè è monitorato ventiquattro ore su ventiquattro, quindi può restare dov'è. Il loro secondo compito è far risparmiare soldi allo Stato. Di conseguenza, se un soggetto ha, per fare un esempio, problemi di una certa gravità alla vista, magari rischia il distacco della retina, ha corpi mobili che disturbano la vista, deve aspettare. Perbacco, ci manca solo che ha fretta. La vista si deve deteriorare, se ora ne ha sette decimi deve scendere a cinque decimi, magari a quattro,  poi bisogna prenotare l'operazione e serve tempo, tanto che fretta c'è. L'oculista ci vede benissimo, quindi il detenuto può attendere. Si dirà alcuni mesi? Non così poco? Un anno? Ma,quando mai, per fare una semplicissima operazione che non richiede nemmeno il ricovero perchè la retina si può fissare con un raggio laser, devono trascorrere almeno due anni.

Altrimenti che gusto c'è a fare il medico penitenziario? Il potere dove lo mettiamo.
L'oculista da galera, rigorosamente anonimo perchè a fare del bene rischia, ragiona in questo modo. Come lui ragionano tutti gli altri, che si tratti di problemi cardiaci, polmonari, tumorali, ossei, la musica è sempre la stessa: attendere. La professionalità è elevatissima: l'oculista a conoscenza di chi scrive, in tre visite in un anno, è riuscito a fare tre diagnosi ognuna diversa dall'altra. Per fortuna che, essendo fra i pochi detenuti che acquistano un giornale e se lo leggono, la spiegazione ai problemi della vista chi scrive l'ha trovata in un articolo del "Corriere della sera".

In fondo, di cosa ci lamentiamo? A Cucchi lo hanno ammazzato, altri preferiscono suicidarsi piuttosto che avere a che fare con loro, altri entrano sani ed escono malati, altri arrivano vivi e se ne vanno morti; in fondo, cos'è un occhio? Rimane sempre l'altro.
Solo che, dopo, invece di avere un oculista da galera, avranno un oculista in galera, magari soggetto a cadere dalle scale, salvo che non si decidano a installare gli ascensori.


Vincenzo Vinciguerra, Opera 10 aprile 2010

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