giovedì 7 luglio 2011

Meno soldi, più detenuti Il fallimento delle carceri

Carenze igieniche, celle sovraffollate, scarso personale: ecco i numeri dello scandalo

MARCO NEIROTTI
TORINO
Fuori dalle mura con le garitte disagio, immigrazione, droga, marginalità, devianza sociale o psichiatrica, violenza si spargono e si nascondono per spazi ampi. Dentro le mura con le garitte convivono compressi, senza via di sfogo (salvo, ogni tanto, uno sfiatatoio in forma di indulto o impuntino) e, nello stesso contenitore di pareti e inferriate, coinvolgono personale di ogni livello. Questo raccontano le cifre: numero di detenuti, divisi per momento processuale, provenienza, suicidi tentati o realizzati.

E questo raccontano la manifestazione di ieri dei dirigenti di istituti e quella degli agenti penitenziari che si svolgerà oggi e che il segretario del sindacato Ugl, Giuseppe Moretti, sintetizza in una «campagna per la tutela della dignità e della sicurezza del Corpo». Corpo che si riconosce nelle parole pronunciate ieri dal Segretario dei Radicali Italiani, Mario Staderini: «Lo Stato italiano, ad ogni livello, continua a trattare le carceri come discariche sociali, dove i direttori degli istituti e chi vi lavora sono abbandonati, al pari dei detenuti, in una voragine che inghiotte tutto, dalla legalità ai diritti umani».

Il cuore del fenomeno - via via illustrato nel dettaglio dai grafici di questa pagina - è il raffronto tra la capienza delle nostre carceri (48 mila detenuti) e la popolazione effettiva secondo il Dap al 30 giugno di quest’anno: 67.394 persone, quasi 20 mila in eccesso. Un po’ più della metà sono condannati definitivi, il resto è suddiviso tra chi attende il primo grado di giudizio (21%), chi attende l’Appello (11,5%), chi ancora spera nella Cassazione (7%) e un 5% fra chi ha situazioni variegate per più imputazioni a carico e chi è internato in strutture psichiatriche giudiziarie. Questa è la radiografia asettica del sovraffollamento, cui si contrappone un progressivo ridursi degli investimenti, fino al 30% in meno, mancanza di mezzi che va a colpire l’adeguamento numerico del personale (i sindacati parlano di 5.000 uomini indispensabili che mancano), ma anche la manutenzione, a partire dalle più elementari esigenze igieniche.

Tabelle e elaborazioni della Fondazione Hume su dati ufficiali del Dap, svelano oscillazioni a volte flebili e a volte nette, rassicuranti sullo sfollamento dalle carceri oppure sullo sfollamento dei vicoli di città pericolosi, gioco di palliativi a una pentola a pressione o di contentini all’emotività popolare: l’«indultino» del 2003 portava un po’ di «saldi» (fino a due anni del rimanente) a chi aveva già scontato almeno metà pena. L’indulto tosto del 2006 (tre anni di carcere che passano in cavalleria) diede una boccata d’ossigeno consistente: da 60 mila le cifre Dap ci portano a 42 mila detenuti, sotto la soglia della massima capienza. Nel secondo semestre 2007 si faceva già sentire il graduale rientro attraverso la «porta girevole» delle carceri. Dal 2008 si correva verso i 60 mila detenuti: su spinte emotive dettate dalla percezione di paura sociale era nato, alla faccia dell’indulto, il «pacchetto sicurezza».

Nel 2010, altro «indultino», legge «svuota carceri» che dovrebbe mandar fuori più o meno 8 mila persone, quelle il cui residuo non supera i dodici mesi: c’è chi rinuncia al beneficio perché non sa dove andare. In questa storia di degradante sovraffollamento e occasionali sfiatatoi è proseguita la trentennale evoluzione della società esterna che sforna gli ospiti di carceri: sono mutati e stanno mutando criminalità e disagi, reati e loro effettiva punizione. Tra le cifre che andrebbero analizzate c’è il numero vorticoso della porta girevole: il 30% esce in tre giorni e non per ghiribizzi di giudici, per convalide di fermi che una volta si sbrigavano in camera di sicurezza. In questo magma nuovo che è la popolazione detenuta, fino a pochi giorni fa, in linea con gli anni scorsi, gli stranieri sono oltre 24 mila, il 36,6%. Numeri che non si spengono in una sfilata di dati statistici ma sono realtà minima e pesante della convivenza dietro le sbarre, dove ci sono disagi psichici dalle matrici più varie. E’ maturato l’atteggiamento dei «guardiani», dicono direttori e agenti, ma da solo: abbandonati, loro e i detenuti, sulla zattera di pietra - riempita e svuotata secondo il momento che invoca rispetto.

fonte:http://www.lastampa.it/redazione/default.asp

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