sabato 11 giugno 2011

Uccidere il cognato costa soltanto 17 giorni di cella di Andrea Acquarone


Assassino «ma non troppo».
 Colpevole ma quasi per «giusta causa». 
Alla fine impunito a norma di legge.

Ammazzò il cognato, in tutto ha scontato diciassette giorni di carcere. 
E probabilmente il sole a scacchi non lo dovrà più vedere. Vien da pensare al ladro di mele, ne ruba una e finisce in gattabuia per anni. 
Chi uccide, libero e tranquillo.

Evviva la giustizia all’italiana, quella legge «uguale per tutti» che resta nel terzo millennio mera manifestazione d’intenti. Si potrebbe quindi aggiungere: «Ma non tutti sono uguali».
Insomma le due facce della medaglia: chi paga per nulla, chi la giustizia la dribbla utilizzando la giustizia stessa. E i suoi automatismi burocratici. In punta di diritto, sfruttando le larghe maglie del buonismo fatto di premi, sconti, abbuoni.
Il protagonista di questa storia è un napoletano, d’accordo, ma stavolta la proverbiale furbizia partonepea, quell’arte d’arrangiarsi che ti salva la ghirba, non c’entra. Merito invece degli avvocati, dei buchi del nostro Codice penale e soprattutto dei giudici. Loro sì, onnipotenti, manovratori degli altrui destini.
La vicenda si può riassumere con il prologo.
 Un omicidio. L’ennesima lite tra parenti, teatro un’abitazione di Sospirolo, paesotto formato mignon del Bellunese. E la sera del 29 marzo 2006. Antonio Falco la vittima, fu massacrata in casa con una decina di fendenti. Su chi fosse l’omicida nessun dubbio: era il cognato, Aniello Fiore, anch’egli rimasto ferito nel duello rusticano. Confessò subito. Una storia di degrado familiare, di violenze e rancori. Falco, spesso alticcio, picchiava la sorella, che era poi la moglie dell’uomo che l’avrebbe vendicata.

In primo grado rimediò una condanna a otto anni. Il pm ne chiedeva quattordici, gli avvocati difensori sostenevano si fosse trattato di legittima difesa. Solo che dieci coltellate erano un po’ troppe per sostenerlo. La scelta di un rito alternativo, cioè il processo abbreviato (consente un terzo di sconto sulla pena), il riconoscimento delle attenuanti generiche e l’indulto, fecero sì che Fiore, bidello di una scuola elementare nel Bellunese, dopo appena 17 giorni di prigione ottenesse i domiciliari. Quindi l’Appello, e poi la Cassazione che - come spiega il Corriere delle Alpi - ha concesso all’ex bidello un ulteriore sconto, fissando definitivamente la condanna a 6 anni e 2 mesi di carcere. Qui entra in gioco l’arzigogolo giuridico. Il calcolo della pena deriva infatti dal riconoscimento, nei tre gradi di giudizio, di tre fattori. Ovvero l’attenuante della provocazione (fu il cognato ad aggredirlo); delle generiche (il bidello era incensurato); e del «bonus» previsto dal rito abbreviato. Perdipiù vanno sottratti anche i due mesi già scontati da Fiore agli arresti domiciliari, i 17 giorni in carcere e soprattutto i tre anni previsti dall’indulto.
Risultato? L’ex bidello dovrebbe passare ancora tre anni in cella. Ma ecco qua l’ennesimo salvacondotto.
Sì perché quei tre anni rappresentano esattamente la «soglia spartiacque» per la quale possono essere chieste pene alternative al carcere, come l’affidamento ai servizi sociali. Possibilità che i difensori del condannnato, Giorgio Moralese e francesco Trevisan, non si lasceranno certo sfuggire. Risultato? L’omicida «per caso» potrebbe addirittura aver finito di scontare la sua pena dietro le sbarre.
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