giovedì 30 giugno 2011

ANCORA UN TENTATO SUICIDIO SVENTATO L'ALTRA SERA


carcere-turi-esterno

Sarebbe bastato un minuto di ritardo ed oggi saremmo a contare il sesto suicidio dall’inizio dell’anno nelle carceri pugliesi, dopo quello di Bari avvenuto due giorni fa.
Nella serata del 28 giugno verso le ore 22.00 circa un detenuto ristretto presso il carcere di Turi,  C.V. di Melfi di circa 25 anni era quasi riuscito a portare compimento il suo gesto di protesta estremo.
Infatti il detenuto dopo aver sfilato l’elastico delle mutande lo ha attorcigliato al collo eppoi l’ha legato alla finestra della  e si era lasciato andare dando uno strappo.
Non era nuovo a questo tipo di proteste C.V. arrivato al carcere di Turi appena qualche giorno fa, condannato per furto e detenzione di armi e con un fine pena GIUGNO 2013.
Era solo C.V. nella sua cella poiché al momento del suo arrivo a Turi, aveva chiesto di essere  rinchiuso in una sezione particolare poiché non voleva a che fare con gli altri detenuti.
Solo che questa volta non aveva fatto i conti con la professionalità e la reattività del Poliziotto Penitenziaria  in servizio nella sezione che nonostante le incombenze dovute alle problematiche dei  presenti nella sezione, aveva tenuto d’occhio il detenuto che gli era sembrato un po’ troppo agitato.
E sì , ormai i Poliziotti Penitenziari oltre ai loro compiti Istituzionali che li impegnano in maniera massacrante, si devono sostituire anche alle carenze di un sistema sanitario  che fa acqua da tutte le parti,  sostituendosi anche all’infermiere, allo psicologo, all’educatore ecc.ecc.
Prontamente accorso nella cella, sprezzante del rischio che correva, l’agente portava i primi soccorsi al detenuto  che era senza coscienza e quasi non respirava, nel contempo lanciava l’allarme per cui da lì a poco arrivava altro personale di Polizia Penitenziaria e sanitario.
Tali interventi  riuscivano ad rianimare il detenuto che poi veniva posto sotto strettissima  sorveglianza.
Il SAPPE, sindacato autonomo polizia penitenziaria è ormai stanco di denunciare una situazione che ormai sembra un fiume in piena che ha rotto gli argini e si chiede fino a quando si potrà reggere ?
Ormai è chiaro che la vita delle persone che lo stato dovrebbe ritenere sacre, non valgono più nulla, la costituzione carta straccia,le promesse della politica e delle Istituzione parole vuote senza senso.
Persino le richieste del Presidente della Repubblica sulla situazione delle carceri,sono diventate di circostanza, per questo motivo preghiamo il Presidente NAPOLITANO  a dare una continuità alle sue parole ed iniziare presto un giro nelle carceri nazionali per toccare con mano la desolazione ed il degrado presente.
Ormai le responsabilità sono chiare in uno Stato   che di diritto ha solo il nome.
Il SAPPE comunque non abbassa la bandiera  e continuerà con le sue denunce per rispetto alle tante donne e uomini in divisa che in silenzio e tra grandissimi sacrifici, danno un senso ancora a parole quali ONORE, DIGNITA’.
Persone che difendono le Istituzioni e la legalità all’interno di quelle pattumiere di carne umane che si chiamano carceri Italiane.
fonte-http://www.turiweb.it/

Pratello, due notti di protesta in carcere fumo e urla spaventano il quartiere



Un giovane detenuto nordafricano dà fuoco al materasso, altri gridano. Dalle finestre i vicini assistono e chiamano la polizia

di LUIGI SPEZIA
"I ragazzi detenuti hanno fatto un rumore d'inferno". E c'è chi aggiunge che sono arrivati anche i vigili urbani, a fare i rilievi con il misuratore dei decibel. Polizia o vigili urbani si sono presentati al portone del carcere minorile, ma hanno ricevuto un cortese rifiuto: "Non abbiamo bisogno, ci pensiamo noi", hanno detto gli agenti della Polizia Penitenziaria ai colleghi delle altre forze dell'ordine che arrivavano dall'esterno. Una protesta collettiva, due sere di grande trambusto al carcere minorile del Pratello, alcuni giorni fa, al punto che i cittadini che abitano intorno, in particolare quelli in via dè Marchi e via San Isaia che hanno le finestre in faccia alle celle, sul retro dell'istituto, si sono preoccupati o hanno provato un gran fastidio e hanno chiamato le forze dell'ordine in soccorso.

Negli stessi giorni un detenuto di 17 anni nordafricano, che nel frattempo è stato trasferito, ha dato per due volte fuoco ai materassi. Dal carcere, la direttrice Paola Ziccone non commenta ciò che è avvenuto all'interno e non dice nulla su due versioni che divergono: c'è chi dice che le due serate di protesta fossero in relazione ai due tentativi di incendio e chi dice invece che i due avvenimenti sono stati in tempi diversi. Ma sembra più vera la prima versione, cioè che il clamore che si alzava dalle celle sia diretta conseguenza dei due incendi per dare più forza all'avvenimento, come succede tra i detenuti che amplificano la protesta o l'azione di disturbo che parte da uno o da pochi.

I ragazzi detenuti al Pratello hanno la possibilità di tenere l'accendino con sé per poter fumare. Il minorenne nordafricano, molto robusto, uno che già si era distinto in alcuni scontri con gli agenti e che dopo essere stato condannato, circa un mese fa, ha addirittura schiaffeggiato uno dei giudici, avrebbe provocato il fumo appiccando la fiamma dell'accendino al materasso dopo l'ennesimo diverbio con gli agenti. Ma pochi giorni dopo ha ripetuto il gesto: l'accendino non gli era stato tolto e per questo potrebbe scattare una denuncia alla Procura.

Gli abitanti attorno al Pratello debbono fare i conti con i rumori o spesso con la musica ad alto volume che provengono dal carcere o con il lancio di oggetti dalle celle, in aggiunta ai rumori della movida che investe la zona, da via del Pratello a piazza San Francesco. Ma problemi ci sono anche all'interno, quando gli agenti e gli educatori si debbono confrontare con casi problematici come quello del ragazzo dei materassi. Attualmente, gli agenti sono una trentina, che divisi per tre scendono a dieci per turno, una quantità giudicata dai sindacati appena sufficiente per garantire il servizio, di fronte ad una capienza che è sempre al limite massimo di venti-ventidue ragazzi e a volte anche qualcuno in più.
Repubblica Bologna

Autocertificazione per accedere ai colloqui in carcere

 Riproponiamo il modello dell'autocertificazione dello Stato di famiglia, sostitutivo della certificazione rilasciata dal Comune.
 Dal momento che in alcune carceri non viene accettato, si ricorda che, in base all' Art. 74 D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445: 
Costituisce violazione dei doveri d’ufficio la mancata accettazione delle dichiarazioni sostitutive di certificazione (autocertificazione) rese a norma delle disposizioni di cui all’art. 46 D.P.R. 28.12.2000 N. 445





Cosa fare se non viene accettata
Il pubblico ufficiale o il funzionario dell'ufficio pubblico che non ammette l'autocertificazione o la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, nonostante ci siano tutti i presupposti per accoglierla, incorre nelle sanzioni previste dall'art. 328 del Codice penale e rischiano di essere puniti per omissioni o rifiuto di atti d'ufficio.

Il cittadino dovrà, in primo luogo, accertare chi è il responsabile della pratica inoltrata, richiedendo nome, cognome e qualifica, inoltre è necessario conoscere il numero di protocollo della stessa e il tipo di procedimento attribuito.

Così come la Pubblica Amministrazione sa chi è il suo interlocutore, il cittadino, ha altrettanto diritto di sapere chi segue il procedimento che lo riguarda e come risalire agli atti relativi.

Ottenuti i dati, il cittadino dovrà richiedere, per iscritto, le ragioni del mancato accoglimento dell'autocertificazione o della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà segnalando anche, per conoscenza, il tesserino, con gli estremi della pratica al Comitato Provinciale della Pubblica Amministrazione presso la Prefettura del luogo in cui è stata rifiutata l'autocertificazione e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dip. Funzione Pubblica - ROMA.
La richiesta deve essere redatta in forma scritta. Se entro trenta giorni dalla data della richiesta, il pubblico ufficiale o l'incaricato non compie l'atto e non risponde per esporre le ragioni del ritardo/rifiuto, scattano i presupposti per le sanzioni della reclusione fino a un anno o della multa fino a due milioni di lire.
Il termine dei trenta giorni decorre dalla data di ricezione della richiesta.
La procedibilità è d'ufficio, pertanto non sono richieste querele, istanze o quant'altro.
Quindi colui che si vedrà rifiutata la propria autocertificazione o la dichiarazione sostitutiva, si troverà nelle condizioni di denunciare semplicemente l'omissione di atti d'ufficio.











DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA DEL CERTIFICATO DI STATO DI FAMIGLIA
(articolo 46 d. P. R. 28 dicembre 2000, n. 445)

Il sottoscritto _______________________________________________________________________
(cognome) (nome)

nato a __________________ (___) il ____________________________________________________
(luogo) (provincia) (giorno, mese, anno)

e residente a _________________ in _____________________________________________________
(luogo) (indirizzo)

consapevole delle sanzioni penali previste nel caso di dichiarazioni non veritiere, di formazione o uso di atti falsi (richiamate dall'articolo 76 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445), nonché della decadenza dai benefici conseguenti al provvedimento eventualmente emanato sulla base della dichiarazione non veritiera, qualora dal controllo effettuato emerga la non veridicità del contenuto di taluna delle dichiarazioni rese (articolo 75 del DPR 28 dicembre 2000, n. 445)
DICHIARA
che la propria famiglia si compone di:

1. __________________________________ nato/a il __________________ a ____________________
(cognome e nome) (giorno, mese, anno) (luogo)

____________________________________________________________________________________
(indicare il rapporto con il dichiarante)

2. __________________________________ nato/a il __________________ a ____________________
(cognome e nome) (giorno, mese, anno) (luogo)

_____________________________________________________________________________________
(indicare il rapporto con il dichiarante)

3. __________________________________ nato/a il __________________ a ____________________
(cognome e nome) (giorno, mese, anno) (luogo)

_________________________________________________________________
(indicare il rapporto con il dichiarante)

4. __________________________________ nato/a il __________________ a ____________________
(cognome e nome) (giorno, mese, anno) (luogo)

_________________________________________________________________
(indicare il rapporto con il dichiarante)


_____________ ________________________________
.( luogo e data) (Firma del dichiarante, per esteso e leggibile)*


Esente da imposta di bollo ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445.

*La firma non va autenticata, né deve necessariamente avvenire alla presenza dell'impiegato dell'Ente che ha richiesto il certificato.


Art. 74 D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445: Costituisce violazione dei doveri d’ufficio la mancata accettazione delle dichiarazioni sostitutive di certificazione (autocertificazione) rese a norma delle disposizioni di cui all’art. 46 D.P.R. 28.12.2000 N. 445

Gabbiani contro le guardie, la Lega vorrebbe usare i fucili


GENOVA – La Lega Nord Liguria vorrebbe il permesso di abbattere a fucilate i gabbiani che nei giorni scorsi hanno aggredito gli agenti della polizia penitenziaria in servizio al carcere genovese di Marassi. Permesso che potrebbe essere concesso per uccidere specie protette come i gabbiani, e' stato spiegato oggi in Consiglio Regionale, solo in casi estremi come e' avvenuto negli anni scorsi per problemi di sicurezza dei voli all'aeroporto Cristoforo Colombo. A chiedere un ''abbattimento selettivo dei gabbiani'' e' il consigliere regionale della Lega Francesco Bruzzone che in una interrogazione ha citato il caso di Marassi dove una coppia di gabbiani ha nidificato vicino alle torrette di guardia e per difendere la prole ha attaccato l'uomo. ''La proliferazione di gabbiani sta creando gravi problemi'' ha detto.
L'assessore Renata Briano ha risposto che esistono metodi meno cruenti: punte di metallo sugli edifici e eliminazione dei nidi, rigorosamente prima della figliata. ''Il metodo migliore e' quello naturale – ha replicato Bruzzone -, cioe' mettere in azione un antagonista che in questo caso sarebbe l'uomo''. ''A sparare – ha detto l'assessore – sarebbe comunque la polizia provinciale''. L'ultima parola spetta infatti alla Provincia che finora non ha preso provvedimenti.
29 giugno 2011 | 14:55
fonte: Blitz quotidiano
Sono stati interpellati anche i Vigili del Fuoco ed il Corpo Forestale ma non è possibile intervenire perché in Liguria c'é una legge regionale che tutela la nidificazione per cui non è possibile rimuovere il nido dei gabbiani dal tetto, almeno fino a quando i piccoli non saranno cresciuti. Così i gabbiani reali che hanno nidificato sul tetto del carcere di Marassi, continuano ad 'attaccare' i poliziotti della penitenziaria durante il cambio di guardia nelle garitte collocate proprio vicino al luogo dove hanno costruito i nidi, tanto da costringere i poliziotti ad indossare il casco per garantirne l'incolumità. Secondo quanto accertato dagli agenti, il gabbiano 'alfa' si sistema di vedetta sul muro dello stadio vicino al carcere a difesa del nido, quando vede avvicinarsi qualcuno emette un lungo grido che fa accorrere gli altri gabbiani e tutti insieme attaccano il poliziotto mentre si avvicina alla garitta, naturalmente per difendere il nidoGABBIANI ATTACCANO POLIZIOTTI PER DIFENDERE IL NIDO
. (Foto di Vittorio Innocente)

I manufatti di Domenico D'Andrea


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Sono costruiti interamente a mano utilizzando solo un piccolo tagliaunghie come utensile.
Vengono utilizzati solo materiali poveri, nella fattispecie stuzzicadenti, riso, olio di semi, cotone.
Tutti i manufatti sono progettati solo con il frutto della nostra fantasia, a volte i velieri sono simili riproduzioni di modelli reali.
Parte del ricavato delle vendite è devoluto in beneficenza ad un associazione che si occupa di adozione a distanza e grazie al nostro impegno sono stati già adottati due bimbi.

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mercoledì 29 giugno 2011

Solidarietà dei detenuti e degli ergastolani al movimento No TAV


29 GIUGNO 2011

Solidarietà dei detenuti e degli ergastolani al movimento No TAV

Il mondo ci ha rifiutato, ma noi non abbiamo del tutto rifiutato il mondo.
Molti di noi non hanno più né sogni né speranze, ma sperano lo stesso in un modo migliore per i propri figli e nipoti.
Per molti di noi il mondo non va oltre il confine della propria cella, ma non rinunciamo lo stesso a interessarci del mondo.
Molti di noi si sono piegati, ma non si sono ancora spezzati e hanno ancora la forza di amare il mondo là fuori.
Molti di noi vivono di poco e di niente, ma sognano lo stesso un modo migliore per tutti gli altri. Ormai nelle carceri italiani ci sono suicidi, morti, autolesionismi, disumanità, violenze ed illegalità istituzionale, ma non vogliamo che là fuori diventi un luogo infame come da noi.
Molte volte comunisti e movimenti extraparlamentari ci hanno dato solidarietà.
Questa volta è il mondo carcerario che vuole dare sostegno al mondo esterno.
Solidarietà al movimento No TAV, a tutti gli abitanti della Val Susa e a chi li sostiene.

fonte: OSSERVATORIO sulla REPRESSIONE

Suicidi in carcere


Carcere, notizie che non fanno notizia: altri due suicidi. E continuano gli scioperi della fame…

29-06-2011
Bari: ieri la ventinovesima impiccagione nelle carceri italiane
D.S., persona detenuta di 28 anni, si è impiccato nel pomeriggio all’interno del bagno della sua cella, situata nella terza sezione del vecchio e sovraffollato carcere di Bari. Un carcere vecchio, perché realizzato nel 1926. Sovraffollato, perché potrebbe ospitare solo 250 detenuti, mentre oggi ne contiene 530.
Un sovraffollamento che determina la morte. Vivere in otto persone all’interno di celle di pochi metri quadrati e restare lì chiusi per 22 ore al giorno, non è vita. Non è neanche vita da detenuti. E infatti.
D.S. è rientrato in cella dopo aver fatto il colloquio con i familiari. Ha preso un lenzuolo, ne ha fatto un cappio e si è impiccato alle grate della finestra del piccolo bagno. D.S. è la 29esima persona detenuta che dall’inizio dell’anno rinuncia a vivere in carcere. Il nono, solo in Puglia. Numeri che raccontano persone, il loro abbandono, e il fallimento di uno Stato di diritto. Ma il conteggio potrebbe essere inesatto. Dalle carceri arrivano segnalazioni di altri decessi. Decessi che però non sono confermati ufficialmente (cosa che è divenuta sempre più difficile). Ad esempio pare che l’8 giugno una persona detenuta sia morta nel carcere Poggioreale di Napoli. Mentre il 18 giugno, una persona detenuta si sarebbe impiccata nel carcere di Spoleto. Morti sconosciute o spietata strategia?
P.S. Oltre ai numeri, che dicono poco, sarebbe utile immedesimarsi nelle vicende degli altri. (Attività assai fuori moda). Già immedesimarsi. Si scoprirebbe che morire impiccati in carcere, senza l’assistenza di un boia esperto e usando strumenti improvvisati come lenzuola, magliette ecc., significa affrontare un’agonia di 10 o 15 minuti. Sempre se non si abbia la “fortuna” di rompersi l’osso del collo prima.
Cagliari: detenuto in permesso si suicida per evitare l’arresto dopo lite con l'ex fidanzata
Drammatico episodio nella notte a Uta, nel cagliaritano. Mohamed Hajii, marocchino di 27 anni, si è tolto la vita per evitare l’arresto dopo una violenta lite con l’ex fidanzata. Il giovane, detenuto in permesso nel carcere di Iglesias, era andato a trovare la giovane in una casa di campagna. Tra i due, secondo quanto si è appreso, è scoppiato un violento diverbio alla fine del quale l’extracomunitario si è allontanato in auto. La donna ha avvertito i carabinieri che hanno intercettato il fuoristrada con a bordo il tunisino in una via del paese. A quel punto, per non farsi arrestare, il giovane ha estratto un coltello col quale si è colpito al petto. Immediatamente soccorso, è stato accompagnato all’ospedale Brotzu di Cagliari dove, nel reparto di cardiochirurgia, è stato sottoposto a intervento, ma i medici non sono riusciti a salvargli la vita.
Le altre “non notizie”
Padova: i detenuti hanno deciso due settimane di astensione dalla spesa: un gesto di solidarietà a Marco Pannella.
Vicenza: da ieri fino a giovedì detenuti in sciopero della fame dei detenuti in carcere a Vicenza. I pasti saranno regalati alla Caritas.
Chieti: due giorni di sciopero della fame per l’amnistia. Dodici volontari dell’associazione “Voci di dentro” aderiscono all’iniziativa di Marco Pannella.
Roma: il Garante regionale dei detenuti Angelo Marroni: sovraffollamento nei cinque istituti della Capitale. Si rischia emergenza umanitaria. Scoppiano letteralmente le carceri di Roma. Sono, infatti, 3.644 i detenuti per soli 2600 posti.

Fonte: 

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Le tshirt di Marassi


Nel carcere di Marassi nascono le tshirt equo-sociali realizzate dai detenuti

Genova - L’anno scorso hanno prodotto 25.000 magliette, con i versi delle canzoni di Faber De Andrè, per i concerti di Franco Battiato, Vinicio Capossela, Vasco Rossi e altri grandi della musica e continuano a farne, aggiungendo alle t-shirt anche borse di stoffa - ne stanno preparando 12.000 - e li attendono altre richieste. Sono i cinque detenuti della sezione Alta Sicurezza del carcere di Marassi impegnati, con borse lavoro, nel progetto O’Press di Bottega Solidale con la Direzione della Casa Circondariale e l’istituto scolastico Vittorio Emanuele II - Ruffini che hanno incontrato nel loro laboratorio l’assessora provinciale alle carceri Milò Bertolotto con il direttore dell’istituto penitenziario Salvatore Mazzeo, il comandante della Polizia penitenziaria Massimo Di Bisceglie e Carlo Imparato di Bottega Solidale. Tre di loro in questi giorni sono impegnati anche negli orali dell’esame di maturità, uno iscritto a Scienze dell’Educazione sta preparando per ottobre un esame all’università, e un altro vorrebbe iscriversi a Giurisprudenza. Nel laboratorio del carcere di Marassi si progetta al computer la grafica per le magliette, gli shopper, ma anche manifesti e locandine di eventi e concerti “e per ogni t-shirt proponiamo più idee - dice una delle persone detenute – che vengono valutate con Bottega Solidale e quando la scelta è definitiva iniziamo a stampare le magliette con una speciale macchina serigrafica il cui telaio permette di lavorarne quattro contemporaneamente e per ognuna di usare anche colori differenti.” I tessuti arrivano dal mercato etico ed equo-solidale (le forniture più recenti sono di una cooperativa tessile di donne del Burkina Faso) e le tinture dei disegni e delle frasi riprodotte sulle t-shirt sono naturali, ma fissate con procedimento indelebile e resistente al lavaggio. “Questo progetto – dice Milò Bertolotto – è un esempio, molto bello e concreto, di quello che unendo forze e idee si può fare per creare nuovi ponti tra il carcere e la società, formando e preparando al reinserimento le persone recluse anche con la partecipazione costante e preziosa della Polizia penitenziaria. Il carcere deve essere il più aperto possibile e il territorio e le sue istituzioni devono saper dedicare grande attenzione alle persone che vi sono detenute e a chi vi lavora. Noi per la nostra parte cerchiamo di farlo con atti concreti, dando sostegno per quanto ci consentono le risorse disponibili, a progetti e iniziative specifiche, come la falegnameria di Marassi, gli eventi teatrali, la formazione. E con questo laboratorio abbiamo realizzato i nuovi ‘biblioshopper’, un’iniziativa congiunta del mio assessorato e di quello alla cultura dell’assessora Anna Dagnino, per i libri con cui la Provincia rifornisce le biblioteche del territorio. Il logo è stato ideato da un detenuto di Chiavari e le nuove borse di tessuto equo-solidale riforniranno di volumi anche la biblioteca del carcere del Tigullio”. Il progetto O’Press è nato “quasi per gioco nel 1999 – racconta Carlo Imparato – quando abbiamo iniziato a stampare le prime cinquecento maglietta per l’omaggio a Fabrizio De Andrè, che sono state acquistate in un attimo. Da allora il laboratorio si è consolidato, sviluppato con il sostegno della Direzione della Casa circondariale e della Polizia Penitenziaria, e continua a lanciare il suo messaggio equo-sociale oltre le sbarre.” Le carceri stanno scoppiando e più di tante parole lo dicono i numeri: 70.000 detenuti in Italia, 820 – il doppio della capienza – a Marassi, dove mancano all’organico 160 agenti della Polizia Penitenziaria, il 30% degli effettivi sulla carta. “Per sovraffollamento e carenze d’organico questo è uno dei periodi peggiori per l’amministrazione penitenziaria – dice il direttore Mazzeo – e servono strumenti idonei e urgenti per deflazionare le carceri, però nonostante tutto si riescono a realizzare iniziative bellissime e importanti come questa, dimostrazione che se ci sono la volontà, le idee e la partecipazione possono prendere vita progetti originali e spendibili nel far acquisire ai detenuti competenze importanti anche per il dopo carcere. Qui siamo in Alta Sicurezza, la sezione dei reati più gravi, ma anche in questo contesto particolarmente complesso e difficile si può lavorare e far crescere la cultura del lavoro e della legalità”. Un impegno al quale tutto il personale della Polizia Penitenziaria si dedica “con grande convinzione - dice il comandante Massimo Di Bisceglie – perché i nostri compiti, oltre ovviamente alla sicurezza, sono molto importanti per tutte le attività trattamentali che preparano il reinserimento.”

fonte: Città di Genova

Domenico D'Andrea: crimine e calcolo economico


In questo saggio l'azione criminosa viene analizzata nell'ottica delle conseguenze economiche e psicologiche.
Un'analisi attenta che porta ad inevitabili ed utili riflessioni.
"La visione che viene fornita da questa teoria è quella di una persona umana responsabile che, prescindendo dalle motivazioni profonde, spesso inconsce, o dai determinismi sociali, sarà più consapevole di quello che compie e delle scelte che effettua sia nell'ambito criminale che in quello lecito. Responsabile e consapevole!
Responsabile e consapevole anche se non sempre la sua condotta è razionale poiché l'uomo allo stesso tempo è dotato di ragione, di sentimenti e di emozioni ed è proprio da questa consapevolezza e dalle relative scelte che derivano la colpa morale e la responsabilità penale." (Domenico D'Andrea)




Crimine e calcolo economico
di D'Andrea Domenico


L'economia ha sempre avuto un ruolo preponderante nel gestire le cose pubbliche e private. Nessuno muove un solo passo se non per un ritorno economico razionale conscio o inconscio.
Così come per il mondo del lavoro, il mondo della politica, delle ideologie e delle religioni si orientano sul calcolo economico razionale, anche il mondo del crimine fonda i suoi pilastri nel calcolo di utilità, il più delle volte irrazionale.
Le regole dell'economia sono spietate tanto quelle del crimine, infatti: l'imprenditore irrazionale sopporta il peso del fallimento; il politico irrazionale sopporta il peso della perdita del consenso; la religione irrazionale vedrà calare il numero dei suoi fedeli; ed in fine anche il delinquente irrazionale si ritroverà in carcere con perdite enormi, sarà stigmatizzato ed escluso dal contesto sociale con scarse possibilità di ripristinare la situazione quo ante.
I pilastri del socialismo reale sono crollati perché la gestione delle imprese da parte dello stato non è stata in grado di fornire quel livello di benessere materiale proprio dei paesi capitalisti. Così un errato calcolo economico razionale ha comportato il crollo dell'ideologia comunista e la caduta dell'impero sovietico.
Allo stesso modo, un delinquente irrazionale che compie un crimine irrazionale comporta la fine di se stesso.
Con il modificarsi delle regole economiche sono andati mutando anche le ideologie, i valori culturali ed il crimine che muta le tipologie di reato aumentando il fenomeno della carcerazione.
A ben vedere anche il modello sociale del welfare state è caduto in crisi per ragioni economiche e proprio in quell'occidente che si contrapponeva ai sistemi socialisti.
Diciamo che con il mutare delle regole economiche i vecchi sistemi collegati ma contrapposti crollano con effetto domino dando spazzi a nuovi sistemi e a nuove tecniche razionali.
I grandi economisti hanno capito che il bilancio costi-benefici si è rilevato troppo gravoso per una nuova economia e pur mantenendo i principi informatori di giustizia sociale – un po' distorti ma ancora esistenti - e di un equa distribuzione dei beni e di opportunità cercano rimedi per eliminare i deficit di bilancio, le perdite e i rischi così come si impone ovunque secondo le regole della globalizzazione economica. Ma in questi calcoli razionali il mondo del crimine è rimasto molto indietro, continua a perdersi nell'irrazionalità del “tutto e subito” ed è incapace di calcolare le perdite e le conseguenze che ne derivano.
Da queste irrazionalità ne deriva anche un mutamento di valori, di esigenze e di condizioni sociali che poi si riflettono in maniera violenta sulla vita quotidiana di ogni uno di noi. Ogni singolo percepisce questo effetto sotto forma di paura ed insicurezza.
Giddens, già dal 1997, afferma che: l'assicurazione che oggi il cittadino chiede allo stato non è più quella contro i colpi della fortuna avversa ( malattia,vecchiaia, disoccupazione ecc.) ma quella prodotta contro i rischi delle nostre stesse scelte.
Con questa affermazione si vuole dire solo che lo stato non può più garantire protezione al cittadino, “dalla culla alla tomba” come si diceva, non stimola più la competitività, non premia più il merito e l'iniziativa dei singoli lasciando il cittadino da solo con un cumulo di responsabilità. Da qui quel senso di accanimento e di vendetta sociale verso gli altri considerati diversi.
Ciò che si vuole evidenziare in questa premessa è il fatto che i mutamenti economici hanno prodotto grandi cambiamenti di idee, delle prospettive e delle ideologie.
L'economia è diventata una componente importante anche al di là della stretta cerchia degli addetti ai lavori, si riflette sul pensiero intellettuale, sulla cultura e soprattutto sul crimine.
Infatti ultimamente si profilano nuovi approcci nella visione del crimine e ai problemi della criminalità che vedono: “ la condotta criminosa agita secondo principi più razionali”, cioè secondo quegli stessi criteri che guidano l'economia. Ma questo, bisogna dirlo, vale solo per le grandi organizzazioni criminali, ben organizzate poiché munite di economisti razionali preparati al reciclaggio, quindi ne resta esclusa la criminalità comune, quella di strada, la criminalità predatoria, la criminalità minorile, cioè tutta quella criminalità che non rientra nelle forme di criminalità organizzata che continua a destreggiarsi nell'ambito dell'agire irrazionale.
Cercare di capire il comportamento criminale, le cause e gli effetti, è stato da sempre la più grande ambizione della criminologia. Gli sforzi in tal senso sono stati immani e alcuni risultati raggiunti sono stati apprezzabili anche se persi nei meandri delle teorie e spesso confutate da altre teorie o dagli stessi tassi elevati di recidiva.
Basti pensare a tutte quelle teorie sociologiche e psicologiche che si sono poi perdute dentro se stesse mentre vedevano aumentare vertiginosamente il numero dei reati.
Sarebbe troppo banale affermare che per ridurre il tasso di criminalità – eliminarlo è un utopia – non bastano teorie mistificatrici ma l'agire concretamente sulle cause.
A tal proposito abbiamo già citato nel saggio precedente i diagrammi e gli istogrammi di Pareto.
Teniamo presente inoltre che queste teorie vengono elaborate dopo anni di ricerca e presentate quando già ci sono stati dei mutamenti sociali sostanziali in un mondo dove il mutamento globale è sempre più rapido anche per i fenomeni delittuosi. Quindi sono teorie non più duttili al cospetto di una criminalità moderna, sempre più organizzata, sempre più al passo con le regole dell'economia di mercato.
I criminali sono sempre più ben inseriti nel contesto sociale in cui vivono e, paradossalmente diventa un escluso ma ben mimetizzato nella latente rete di relazioni sociali.
Tra poco vedremo come anche i reati non predatori, come quelli causati dalla follia, dalla gelosia o dall'impeto non si discostano dalle regole proprie dell'economia poiché l'utilità si ravvisa comunque nella soddisfazione degli impulsi.
Una buona strada che cerca di mettere in relazione le regole dell'economia con le regole del crimine ci viene indicata dall'economista statunitense Becker, promotore della socology economy che già alla fine degli anni 60 ha iniziato ad applicare le teorie economiche basilari ad alcuni settori della vita quotidiana come la famiglia, l'istruzione, la discriminazione razziale, ma soprattutto alla criminalità.
In questo calcolo razionale-irrazionale potremmo perderci in numerosi paradossi che, seppur con sfaccettature diverse sembrano giungere ad un unica causa per un unico effetto: per esempio in un sequestro di persona abbiamo un delinquente che priva della libertà un individuo con lo scopo di ricavarne un utilità chiamata riscatto. Nella prigionizzazione abbiamo un agente che senza sapere a chi e perché priva della libertà un individuo, chiudendolo in cella, con lo scopo di ricevere un utilità chiamata stipendio. Entrambe compiono la stessa azione, producono lo stesso effetto, raggiungendo lo stesso scopo.
Secondo Becker la causa del comportamento criminale non deve essere ricercata in una propensione biologica o psicologica dell'individuo, ne in problemi legati al suo ambiente o in fattori sociali- infatti se cosi fosse tutti i malati di mente sarebbero criminali come lo sarebbero tutti gli abitanti di un quartiere a rischio. Ma per l'economista: alla base dell'agire criminale vi è una forte componente di calcolo e una razionale analisi di costi-benefici connessi alla commissione del reato.
Ma se così fosse sarebbe davvero un bel guaio. Purtroppo è un calcolo palesemente errato poiché gli effetti devastanti sono di gran lunga superiori delle utilità che ne potrebbero derivare e in questo caso la razionalità del calcolo si appalesa come irrazionalità e qui per irrazionalità si intende ignoranza, cioè la non conoscenza degli effetti devastanti che ne potrebbero derivare. Detto in due parole è razionale chi comprende che nessun tipo di crimine paga, è irrazionale colui che non comprende questo.
Tutti fanno calcoli nell'intraprendere la propria attività, lo fanno i professori, gli ingegneri, gli impiegati andando a lavoro, gli imprenditori e fin anche le casalinghe. Tutti calcolano i benefici che ne possono derivare dalla propria attività. Anche ogni singola azione, non di carattere economico, può essere oggetto di calcolo razionale. Molti cercano di mescolare il piacere cono il guadagno e da questi non ne sono esclusi i delinquenti che calcolano, spesso erroneamente, i possibili benefici che ne possono derivare da una o più attività illecite come il furto, la rapina, la corruzione ecc.
Il delinquente calcola e valuta razionalmente i vantaggi e irrazionalmente gli svantaggi che possono derivare dalla commissione di un crimine e se i benefici (razionali) attesi risultano essere significativi, almeno superiori ai costi e agli svantaggi calcolati irrazionalmente sarà incline a consumare l'azione criminosa. Pertanto il delinquente non è diverso da qualsiasi operatore economico che quando si destreggia nella sua irrazionalità, anziché sopportare il peso del carcere, andrà incontro alla sopportazione del peso di un fallimento e quindi dal suo allontanamento dal mondo economico e dal mondo sociale.
Infatti il fallimento comporta più o meno le stesse interdizioni che sopporta chi commette un crimine ed entra in carcere; cioè la perdita di diversi diritti civili e politici; interdizione dai pubblici uffici, interdizione nell'esprimere il proprio consenso elettorale ed altre interdizioni di carattere personale.
Il delinquente valuta le proposte del mercato illecito e le confronta con quelle del mercato lecito, pondera e soppesa i costo connessi alla realizzazione dell'azione criminosa.
Alla base di ogni crimine, sia come utile immediato o differito, sia come utile monetario o satisfativo vi è sempre un possibile vantaggio per l'autore; nel senso che se non ci sarà un ritorno di tipo monetario vi è comunque un ritorno di tipo impulsivo.
I costi di un delitto possono sempre distinguersi in costi diretti e costi indiretti. I costi diretti possono essere per es. l'acquisto dell'attrezzatura da scasso per compiere un furto. I costi indiretti possono essere collegati per es. al rischio di essere individuato, processato e condannato.
È bene tenere presente la differenza tra l'essere individuato e l'essere condannato; nel primo caso si corre il rischio di dover sopportare un processo con tutte le conseguenze che ne derivano; nel secondo caso si corre il rischio di affrontare anche una detenzione con tutte le conseguenze che ne derivano, per un numero più o meno determinato di anni.
La distinzione tra individuazione e condanna è importante anche perché le due situazioni appartengono ad organi sostanzialmente diversi; polizia giudiziaria e procura nel primo caso, giudici della cognizione dall'altro. In questo caso il rischio è proporzionato all'efficienza dell'uno, dell'altro o di entrambe, ed è proporzionato anche alla magistratura di sorveglianza più o meno garantista a cui si è affidati.
Tra i costi del crimine suscettibile di valutazione economica da parte del delinquente vi troviamo anche il depauperamento dei valori etici, dell'educazione civile e religiosa e gli eventuali legami di tipo affettivo ed amicali e comunque gli effetti devastanti di carattere familiare e psicologico.
I costi possono essere eventuali o effettivi, materiali o immateriali.
I costi genericamente calcolati possono essere, in caso di cattura:
- le spese legali da sostenere per le varie fasi processuali.
  • il mancato guadagno per chi potrebbe o vorrebbe fare un attività lecita.
  • Il pagamento delle spese processuali
  • il pagamento di eventuali perizie e consulenze.
  • Il pagamento del mantenimento penitenziario che ammonta a circa i 2\3 di una quota che viene stabilita annualmente dal ministero della giustizia.
  • L'acquisto di tutto il materiale igienico e non per poter vivere in carcere, oppure il cibo del sopravvitto.
  • Le perdite dovute a furti, soprusi ed estorsioni che paradossalmente avvengono anche in carcere da parte di altri detenuti.
  • Il costo di treni, autobus, taxi, alberghi ecc. che i familiari devono sopportare per poter vedere un proprio congiunto.
  • Il costo delle seconde spese legali per poter accedere ai benefici penitenziari, con gli eventuali costi annessi delle spese processuali in caso di ricorso (in caso di impugnazioni le spese processuali possono raddoppiare o triplicare, così come le spese legali).
  • L'eventuale pagamento del risarcimento del danno da pagare alla vittima.
  • Il deprezzamento del costo della refurtiva non immediatamente spendibile, cioè il decurtamento dovuto alle operazioni di reciclaggio o di ricettazione.
I costi immateriali sono ancora più devastanti e si appalesano in:
  • Perdita della dignità.
  • Perdita del rispetto e della considerazione sociale.
  • Difficoltà di reinserimento sia nel mondo del lavoro che nel tessuto sociale.
  • Rimorso.
  • Per le lunghe detenzioni:
a) perdita dei legami affettivi, coniugi o conviventi
b) perdita di amici.
c) abbandono da parte di alcuni familiari o nella peggiore delle ipotesi il decesso.
  • Le frustrazioni e le umiliazioni che spesso producono effetti devastanti sulla psiche.
  • Deterioramento della salute fisica e mentale.
  • L'emergere di alcune patologie, oggi oggetto della branca di medicina penitenziaria. Tra le più frequenti vi troviamo il calo della vista, disfunzioni all'apparato genitale ecc.
  • il processo di stigmatizzazione e di individualizzazione, cioè colui che non è criminale lo diventa perché comincia a percepirsi come tale.
  • La perdita di molti valori acquisiti, come i valori familiari, dell'amicizia, ecc.
  • il senso di alienazione e di annichilimento.
  • Probabile ricorso a psicofarmaci.
  • Apprendimento del comportamento e delle tecniche criminali.
  • Eventuali atti di autolesionismo (questi sono molto frequenti, purtroppo) o di tentato suicidio ed in alcuni casi veri e propri suicidi.
A questo punto appare molto più complesso determinare l'ammontare dei benefici connessi alla commissione del crimine, posto che in taluni casi questi sono suscettibili di immediata valutazione economica, mentre in altri, come le condotte violente di mero danno a persone o cose, la valutazione risulta assai difficile.
Per esempio nel caso di un furto (il reato più comune), se il bene rubato ha un valore commerciale di 1000 euro il beneficio non sarà mai di tale importo ma dipenderà dalle capacità del ladro di piazzare la merce al ricettatore. L'utile finale per quella cosa potrebbe essere per es. di 300 euro avendo però il soggetto prodotto un danno di circa 2000 euro se consideriamo un furto con scasso.
Per altri reati, come quelli vandalici, di violenza sessuale, di ingiuria ecc. è evidente che la quantificazione in termini economici non è possibile anche se è indubbio che: un utile, inteso come piacere e soddisfacimento di certe pulsioni, è pur sempre presente.
Sarebbe infatti privo di ogni logica criminale rischiare tutti quegli effetti negativi che abbiamo visto per qualcosa a cui si è del tutto indifferenti.
Bowles ci prospetta alcune ipotesi alquanto irrealizzabili affermando che: il beneficio che il criminale ricava come risultato del reato da lui compiuto può essere misurato stabilendo la somma che, in una data situazione di mercato, dovrebbe essere offerta al delinquente per persuaderlo nel compiere il crimine.
Nel caso del nostro esempio; dare 300 euro al ladro per evitare che egli commetta un danno di 2000 euro.
Se da un lato questo può risultare estremamente vantaggioso sia per l'economia generale che per la vittima resta pur sempre una teoria irrazionale sia perché questo modo di pensare è lo stesso modo di agire del reato di estorsione, ed inoltre si realizzerebbe il più grande paradosso della storia criminale poiché il delinquente anziché essere punito viene non solo premiato ma gli viene anche risparmiata la fatica di rubare e ciò incoraggerebbe a rubare di più.
In queste scelte operano anche altre variabili per la quantificazione del danno. Oltre quelle già citate come per es. il mancato guadagno nel fare attività lecite bisogna tenere presente che anche i valori in perdita possono variare a seconda dello status sociale.
Un imprenditore che ha tirato su un impresa di tutto rispetto, che ha acquisito negli anni prestigio, onorabilità e rispetto subirà un crollo di valori e di effetti negativi materiali e immateriali molto più grandi rispetto ad un ragazzo di strada che ha compiuto lo stesso crimine. Oppure alcuni tipi di reati sono tollerati al sud ma non accettati al nord. Intervengono quindi, nella criminologia economica razionale, anche fattori legati all'ambiente, allo stato psicologico propria dei singoli individui e anche il crollo di certi valori dipenderà nella sua intensità a seconda di come sono stati interiorizzati.
Il gioco di queste variabili è molto importante ma teniamo conto che il criminale considera costi e benefici in maniera differente a seconda pure delle sue esigenze del momento.
Tanto diversa sarà la quantità di rischio che si è disposti a correre tanto saranno diversi i valori etici cui si è disposti a rinunciare. Ma questo dipende anche da alcuni meccanismi di difesa che subiscono alcuni soggetti, come per es. le tecniche di neutralizzazione dove il delinquente cerca di dare a se stesso un nuovo tipo di valore etico per compensare quelli che sta perdendo dopo aver commesso un crimine.
Questi fenomeni sono molto frequenti e, oserei dire, costituiscono la regola, specie quando ci si confronta con gli altri e specie quando si è accusati o condannati per certi reati.
Sono procedimenti psicologici di auto giustificazione abbastanza comuni:

La negazione della propria responsabilità.

È la tecnica di neutralizzazione più frequente. Ciò che fu commesso non è stato affatto commesso. Questo aspetto non è da confondere con l'omertà. Il delinquente nega a se stesso e ad altri fino ad autoconvincersi di non aver commesso nulla.

La minimizzazione del danno provocato.

Il delinquente sulla scia della classica distinzione in uso nel diritto penale; “mala in se è mala quia prohibita” è portato a credere che ciò che ha commesso non è poi cosi grave. Sa che la sua azione è vietata dalla legge ma la percepisce come moralmente corretta. La neutralizzazione qui consiste nella ridefinizione delle proprie condotte per cercare di non perdere quei valori etici che sente perdere. Per es. la molestia sessuale non è reato ma solo un gioco, il furto e solo una presa in prestito.

La negazione della vittima.

La più interessante. Anche in questo caso il delinquente si riconosce responsabile dell'azione criminosa da lui commessa però il danno provocato alla vittima non è un ingiustizia perché meritava quel trattamento.
Il delinquente per compensare quei valori etici che sa che sta perdendo si percepisce giustiziere e crede di fare un bene a se stesso e alla società.
Questo meccanismo scatta soprattutto per i reati di violenza sessuale, in alcune tipologie di serial killer e quando si ruba ai ricchi. Il delinquente ritiene cosi di aver ristabilito un certo senso di giustizia sociale.
Ho chiesto ad un detenuto accusato e condannato per aver violentato una minorenne perché l'avesse fatto e la sua risposta conferma questo concetto di negazione della vittima: “era solo una p......., lo aveva già fatto con tutti quelli del quartiere”.

La condanna di coloro che condannano.

Il delinquente cerca di confrontare i suoi valori etici con quelli di chi lo giudica così i cittadini onesti diventano solo degli ipocriti, la polizia ha inquinato le prove, i giudici sono corrotti e i giornali raccontano solo bugie.
Un altra tecnica di neutralizzazione posta in essere per difendere i valori e gli ideali che si stanno perdendo è riferito agli: ideali ritenuti più alti. Per es. i reati di terrorismo.
Fin qui abbiamo avuto modo di vedere come le regole del crimine ben si sposano con le regole dell'economia e i valori etici dominanti, elementi che ci spingono a credere che una soluzione per la politica criminale potrebbe essere quella di non aumentare esclusivamente i costi del reato in termini di repressione, incremento normativo ed incremento delle pene, ma anche quello di fornire a tutti i cittadini, compresi i potenziali devianti, più mezzi e più opportunità per incentivare e rafforzare quei valori legati all'educazione, alla famiglia e ad un sufficiente benessere per la collettività che possono a loro volta limitare- eliminarle sarebbe un utopia- le cause delle condotte delittuose.
Becker suggerisce, per ottenere buoni risultati nella lotta al crimine: “ci vuole una combinazione tra tutte queste misure sociali come; il miglioramento della qualità della vita e dell'educazione puntando sui valori della famiglia”.
Ma ad un analisi più approfondita nemmeno questa potrebbe essere una buona soluzione al problema criminalità visto che vi sono diverse tipologie di criminali che provengono proprio da famiglie cosi dette “per bene”, per non parlare poi dei crimini commessi dai colletti bianchi, soggetti ben inseriti, con studi elevati e di buona famiglia. Ed inoltre, da più fronti, si è sempre condannata la maggiore repressione, addirittura additata come circolo vizioso che produce più crimine. Così come si è spesso detto che non si sa più quali potrebbero essere i valori esistenti ed idonei per educare.
Aumentare la repressione e la via più veloce ed efficace per il breve periodo ma comporta effetti devastanti e costi elevati per i periodi più lunghi. Anche gli interventi di tipo sociale non appaiono idonei alla lotta al crimine poiché richiedono molto tempo per la loro realizzazione, sono molto costosi, selettivi e nel frattempo le fattispecie criminali si sono già orientate su altre generazioni. Quindi repressione e valori etici sono destinati a non incontrarsi.
Ricordiamo che un indagine predittiva dei coniugi Glueck si dipanata per oltre un ventennio, a discrezione di chi legge, le cose, nel frattempo non sono cambiate?
L'approccio economico razionale fornisce dunque una nuova e realistica chiave di lettura per moltissimi delitti; sia, in primo luogo, per i delitti compiuti per lucro, cioè quelli che costituiscono la grande maggioranza, ma anche le condotte criminali violente sulle cose e sulle persone, per le quali l'utile perseguito non è economico, ma semmai psicologico come il soddisfacimento di pulsioni e desideri.
Non è da credere che questo approccio vanifichi tutte le interpretazioni di carattere psicologico o sociologico le quali, come si è visto, giocano il loro ruolo nel costo- beneficio in base al quale i delinquenti compiono le loro scelte e ne tanto meno questa teoria disconosce l'importanza dei fattori morali e dei valori etici.
Quel che le è specifico è una visione della persona umana in generale e di quella che delinque in particolare che porta una visione pragmatica, disincantata e realistica, concretamente ancorata a quelle che sono i motori fondamentali del comportamento in società.
Questa teoria resta ben al di là della criminologia ideologica o politicizzata. È una teoria che va al passo con i tempi e con le regole dell'economia, ma la sua finalità?
È una teoria che ha comunque bisogno di applicazioni calzando a misura come un abito cucito addosso a chi è caduto nell'irrazionalità del calcolo economico comprendendo troppo tardi che il crimine non paga, oppure come un abito cucito addosso a chi comincia a dare i primi segnali di un comportamento deviante. È certamente una teoria da inserire come materia scolastica nell'ambito di insegnamenti di educazione civica.
Venendo al concreto, secondo questi approcci e con questi insegnamenti il potenziale deviante o il criminale che non riesce a vedere altre vie se non quelle del crimine, valuterà in maniera razionale, da un lato, la probabilità di essere scoperto, condannato e la presunta severità della sanzione e delle relative conseguenze sopra elencate e, dall'altro, l'utile, non solo strettamente economico che potrà ricavare dal suo modo d'agire irrazionale. Mettendo a confronto i due calcoli dedurrà che il crimine non paga.
La visione che viene fornita da questa teoria è quella di una persona umana responsabile che, prescindendo dalle motivazioni profonde, spesso inconsce, o dai determinismi sociali, sarà più consapevole di quello che compie e delle scelte che effettua sia nell'ambito criminale che in quello lecito. Responsabile e consapevole!
Responsabile e consapevole anche se non sempre la sua condotta è razionale poiché l'uomo allo stesso tempo è dotato di ragione, di sentimenti e di emozioni ed è proprio da questa consapevolezza e dalle relative scelte che derivano la colpa morale e la responsabilità penale.



Di D’ANDREA DOMENICO