martedì 31 maggio 2011

Carcere, aggredita una guardia con delle forbicine



Carcere, aggredita una guardia con delle forbicine


E' accaduto nel carcere delle Sughere di Livorno. Un tunisino di 27 anni che soffriva da tempo di crisi depressive dovute alla perdita del padre, è stato rimproverato ordinandogli di tornare nel proprio reparto. Lo straniero ha quindi colpito ripetutamente l'agente con delle forbicine, ferite al collo e al costato, medicate con quattro punti di sutura.
"Il libero sindacato appartenenti alla polizia penitenziaria dice basta con questa violenza ai danni dei poliziotti penitenziari"


Una nota della Segreteria Generale del LiSiAPP Libero sindacato appartenenti alla polizia penitenziaria, che ha chiesto misure "veramente" punitive per i detenuti che negli istituti penitenziari aggrediscono gli agenti o provocano risse così da fermare questa continua ed ingiustificata violenza a danno dei rappresentati dello Stato.

"L'episodio è gravissimo ed inaccettabile - recita la nota del LiSiAPP - tanto che il sottufficiale di polizia ha riportato gravi ferite sul corpo in più si tratta dell'ennesimo grave episodio di tensione a danno di appartenenti alla polizia penitenziaria in un carcere italiano. Ora Basta! Bisogna 

contrastare con fermezza questa ingiustificata 

violenza in danno dei rappresentati dello Stato 

in carcere e punire con pene esemplari chi li 

commette.

 Servono, affermano dalla Segreteria Generale 

provvedimenti veramente punitivi per i detenuti 

che in carcere aggrediscono gli agenti o 

provocano risse: mi riferiscono alla necessità di 

introdurre un efficace isolamento giudiziario ed 

esclusione dalle attività in comune che punisca i 

comportamenti violenti.

 E sarebbe anche l'ora che in Italia, in analogia a 

quanto avviene ad esempio in America, i 

detenuti indossassero in carcere tutti una divisa 

e si potesse eventualmente contenerli anche 

nelle sezioni detentive con manette e catene.

 In una situazione di emergenza, come è quella 

attuale, servono provvedimenti straordinari".
"Nell’ultimo mese, sono cinque gli episodi di aggressione al personale con alcuni di essi come l’ultimo caso molto grave. Nonostante ciò i nostri agenti sottolineano dal LiSiAPP lavorano ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive degli istituti penitenziari italiani. A questo si aggiungono numerosi episodi di tentativi di suicidio e atti di autolesionismo dei detenuti sventati dal personale di polizia".
Infine conclude la nota "Servono con urgenza nuovi agenti, nuovi impegni e una concreta presa di posizione da parte delle istituzioni. Servono fatti reali, altrimenti il sistema implode su se stesso e a pagare sono gli operatori di polizia penitenziaria sempre e unici in prima linea"




fonte:Notizie da Firenze e dalla Toscana: News di Cronaca, Sport, Turismo, Cultura, Economia...


Ho letto con interesse questo articolo che ha suscitato, nella prima parte, rincrescimento per la vittima dell'accaduto.

Ma inorridisco letteralmente soffermandomi sulla seconda parte :

MISURE VERAMENTE PUNITIVE?

Le motivazioni gravi ed urgenti che hanno determinato gli scioperi e le proteste in tutte le case di reclusione italiane non paiono sufficientemente punitive?
Divise tutte uguali per carcerati: e chi le paga?  
in carcere manca il necessario, cibo compreso!

MANETTE E CATENE?...
mio dio .... in che mani siamo?



Minkia, signor tenente! 









Maroni censura Guantanamo d’Italia


Sull’immigrazione Maroni sta mettendo in atto una vera e propria strategia della censura che cancella gli spazi di democrazia per l’informazione in Italia.



 Dal 1 aprile una circolare firmata dal Ministro dell'Interno Maroni (prot. n.. 1305 del 01/04/2011) non permette l'accesso dei giornalisti nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) e nei centri di accoglienza per richiedenti asilo politico (CARA).


  Ormai la destra si sente talmente tanto la padrona assoluta della democrazia che si permette di liquidare con una circolare di poche righe la liberta' di informazione, istituendo di fatto un regime censorio senza nemmeno passare dal Parlamento.
 Questa riduzione dei diritti d'informazione non trova, tra l'altro, alcuna giustificazione sostanziale per un governo che si muove ormai fuori dalla legalita' europea per non aver recepito la direttiva rimpatri del 2008. Se a questo aggiungiamo i reiterati episodi che hanno visto impedire a diversi parlamentari la visita ai CIE, in palese violazione della Costituzione, ci troviamo di fronte ad un’inquietante e deliberata ‘strategia della censura’ volta ad impedire ai cittadini italiani di venire a conoscenza della portata, della gravita' e della drammatica situazione dei migranti ormai da considerarsi dei veri e propri "detenuti" dentro le piccole “Guantanamo d’Italia” disseminate da Maroni su tutta la penisola. 
 Questo modo di agire impedisce l’emergere delle gravissime violazioni dei diritti umani che vengono perpetrate in questi centri, con il risultato di non dover rispondere in alcuna misura all'opinione pubblica che rimane totalmente all'oscuro del trattamento riservato ai migranti. Per queste ragioni aderisco e sostengo convintamente l'appello pubblicato oggi e la mobilitazione che ne seguira'.
"Fora da i ball, giornalisti compresi". Articolo21 aderisce alla campagna dell'Unità- di Giuseppe Giulietti
Martedì 31 maggio alle ore 14:30 conferenza stampa presso la sala stampa della Camera. Partecipano gli onorevoli Giuseppe Giulietti e Jean Leonard Touadì, e il presidente Fnsi Roberto Natale. 
Per accrediti stampa: riva.camera@gmail.com - 06/67608797  



Pubblicato da Pier Luigi Zanata 
http://informazionecontro.blogspot.com/

Informazione Contro!: PATRIZIO GONNELLA – San Sebastiano e le carceri di...

Informazione Contro!: PATRIZIO GONNELLA – San Sebastiano e le carceri di...: "LA PAGINA DEI BLOG di MicroMega PATRIZIO GONNELLA – San Sebastiano e le carceri di Anemone e Balducci San Sebastiano era un ufficial..."

lunedì 30 maggio 2011

RITA BERNARDINI: è piena emergenza carcere


“LE CARCERI ESPLODONO, E’ PIENA EMERGENZA”, INTERVISTA ALL’ONOREVOLE RITA BERNARDINI



Intervista all’Onorevole Rita Bernardini del 28 Maggio 2011
L’On. Rita Bernardini, deputato radicale, è la “globe trotter” delle carceri italiane. In questi giorni, poi, ha continue richieste da detenuti, parenti di detenuti, associazioni di volontari impegnati sul territorio, rappresentanze di agenti di custodia. E lei si muove come una trottola: stamane a Rebibbia (Roma), l’altro ieri a l’Ucciardone (Palermo), Noto e Siracusa. Domenica sarà a Rieti, la settimana prossima a Spoleto e Padova. Su quel che accade, cioè migliaia di detenuti in sciopero della fame, non fa sconti e giri di parole: «Siamo di fronte ad uno Stato illegale, delinquente e recidivo».
On. Bernardini, sono parole grosse…
“Lo so, ma è il minimo che si possa dire: i maltrattamenti e le torture fisiche e psicologiche sono all’ordine del giorno, va avanti così da anni. C’è stata una breve pausa, ma risale all’indulto, da allora è stato sempre peggio. Gli ultimi dati sono un triste record per la storia della Repubblica: oltre 68mila detenuti a fronte di 44mila posti regolamentari. Poi ci sarebbe molto da dire su come vengono calcolati quei 44mila posti. A Catania, per esempio, ho potuto verificare che c’è un’intera sezione chiusa, ma non per questo si dice che c’è meno capienza…”
Un passo indietro, che succede nelle carceri?
“Succede che migliaia di detenuti, in decine di carceri, da settimane rifiutano il vitto e fanno la “battitura”, cioè protestano picchiando le stoviglie sulle sbarre. Un rumore infernale, per denunciare l’inferno in cui vivono. Tutto è partito da Marco Pannella che 39 giorni fa ha iniziato uno sciopero della fame per lanciare un messaggio chiaro: l’unica soluzione al sovraffollamento e all’illegalità delle carceri italiane è un’amnistia. Altre strade non se ne vedono. Anche i famigliari dei detenuti stanno aderendo “a turno” a questa forma di protesta non violenta: sono in sciopero della fame 305 parenti di detenuti del carcere di Fuorni a Salerno, 121 a Rebibbia, 142 a Poggioreale, 67 a Velletri. In totale ne abbiamo contati 832.”
Cosa ha potuto osservare girando in questi giorni le carceri d’Italia?
“Sto rilevando un fenomeno grave e preoccupante. È in corso uno “sfollamento” dagli istituti del Nord a quelli del Sud; è un fatto che riguarda soprattutto i detenuti extracomunitari. Ho incontrato gente veramente abbandonata. A parte le difficoltà ovvie di essere stranieri perdono completamente ogni contatto, non hanno avvocati con cui poter parlare, molti non conoscono nemmeno la loro posizione giudiziaria. Sono lì, in galera, e non sanno cosa li aspetta, vivono sospesi, ignorando cosa potrà succedergli. Poi c’è la questione, gravissima, degli agenti di custodia.”
Cioè?
“Siamo di fronte a organici palesemente sottodimensionati, una carenza che si estende ad educatori e psicologi. In particolare, però, sono gli agenti a vivere situazioni al limite della sopportazione. A Siracusa, ad esempio, ho visto un solo agente per 150 detenuti, uno solo per una intera sezione; il risultato è che a malapena si riescono a garantire le ore d’aria; per il resto tutto il giorno in cella a non fare nulla. Del resto, il numero di suicidi fra il personale penitenziario non è mai stato così alto. Insomma, non si ammazzano solo i detenuti. C’è altro da dire?
Tra le altre cose, c’è una sua interpellanza in Parlamento sulla situazione sanitaria del carcere di Opera, ai bordi di Milano. Qualche risposta?
“Martedì prossimo (31 maggio, ndr.), dovrebbe venire in aula un rappresentante del ministro Alfano a rispondere. Il punto è che al carcere di Opera si è data la patente di centro clinico senza che sia davvero tale. Ho potuto verificare con i miei occhi che ci sono persone con gravi patologie, magari costretti a letto per 24 ore, senza cure adeguate. Un tema che la Direzione del carcere ha presente, ma su cui può fare ben poco. Non è un caso che anche ad Opera ci siano 605 detenuti in sciopero della fame, da una settimana.”

fonte: 

Fra sovraffollamento e suicidi.








L'autore di L'Italia in Presadiretta 

racconta il suo viaggio nelle carceri italiane,

 fra sovraffollamento e suicidi,

dove i detenuti diventano un numero.

«Sbarrette di cioccolato» e vino «fuggiasco»: ecco i prodotti «made in carcere»

Nelle carceri italiane sono infatti 14.174 i detenuti che lavorano, il 20,8% della popolazione carceraria. Molti di loro sono impegnati nella realizzazione di questi prodotti di eccellenza nel campo agroalimentare o manufatturiero, che hanno tanto di «vetrina» sul sito del ministero della Giustizia. Tra le ultime proposte, le scatole ricordo «Altracittà», realizzate in cartone su richiesta del cliente a seconda delle sue esigenze.
I coperchi delle scatole vengono personalizzati con una carta realizzata con un collage composto dalle foto fornite dal cliente. È possibile ordinarle su misura e con la carta di copertura a scelta. L'offerta comprende anche prodotti curiosi, utili e soprattutto particolari, come la stufa in ferro o il Profumo «Fumne». E non poteva mancare lo «Svuotatasche», pratiche ciotole realizzate con ritagli di ferro. Per il centocinquantenario, ecco il «Quaderno 150 anni Unità d'Italia», realizzato a mano nel laboratorio di legatoria nella Casa di reclusione di Padova, che riproduce un acquerello dedicato al monumento ai caduti di S. Giorgio in Bosco, a Padova. 
Mentre per le donne, è da segnalare l'abito all'americana «Sartoria SanVittore», in jersey di lana blu, disponibile nelle taglie Small, Medium e Large fino ad esaurimento delle scorte. Ma ci sono anche borse viaggio «Rebibbia fashion», realizzate interamente a mano, in pelle o cuoio. Unisex, invece, le magliette «Dado libera il galeotto».
Vasta anche l'offerta dele specialità enograstronomiche, tra cui il formaggio fuso «Galeghiotto», derivato da pecorino semistagionato, proposto al costo di euro 1,50 nella confezione in vasetto da 100 grammi. Se poi si ha voglia di cambaire aria, che c'è di meglio degli amaretti «Dolci evasioni», con mandorle di Avola e zucchero di canna equo solidale. E ancora in tema di biscotti, i baci di Dama «Banda biscotti», realizzati con mandorle e cioccolato al latte.
Una vera chicca i taralli al peperoncino, ai semi di finocchio, alla cipolla, al pepe e alla pizza, prodotti all'interno della Casa circondariale di Trani che da qualche tempo sono venduti all'Ipercoop di Barletta e in altri esercizi al dettaglio della zona. Mentre nel carcere di Busto Arsizio il trattamento e il reinserimento sociale hanno il sapore dolce della cioccolata. Il laboratorio produce quotidianamente 700 chili di cioccolato e 300 di pasticceria.
Dal caffè alle «sbarrette» di cioccolato. Dalle borse fatte rigorosamente a mano a vini che mixano gusto e ironia, mostrando sull'etichetta la scritta «Sette mandate», «Il fuggiasco» o «Fresco di galera» per la Falanghina. Ma anche pezzi unici, lavorati artigianalmente, come scialli e spille: sono i prodotti «Made in Carcere», realizzati dai detenuti in diverse case cirdondariali da Nord a Sud del Paese, mettendo a segno in alcuni casi dei piccoli primati di qualità grazie al lavoro tenace di cooperative e imprese. Ma soprattutto di detenuti che, insieme ai prodotti, fabbricano con il lavoro un futuro diverso.

fonte: Il Giornale.it

Carcere, tra dolore, redenzione e la nostalgia di un cappellano


Don Giuseppe ha dismesso gli abiti di cappellano del carcere di Voghera, non lo si incontra più nelle sezioni, a colloquio nei corridoi, nelle celle, oppure nei passeggi cementati: don Giuseppe Baschiazzorre non c’è più.
Il delitto è chiaramente un crimine odioso, inaccettabile, per cui occorre una giustizia giusta, ma che rappresenti la pena come un tragitto di vita, che al suo declinare espliciti forza e umanità sufficienti, per ricomporre quell’inalienabile istanza che lega e salda le persone: la solidarietà sociale.
Giustizia come trasformazione che coinvolge l’interezza della persona, dell’ultimo degli uomini, dalla sua colpa e dal suo rimorso, quale anticamera di ben altra dimensione.
Giustizia che non veste l’abito del mito, ma consente di aiutarmi e farmi aiutare, e possibilmente di essere di aiuto agli altri, ai meno fortunati, affinché non abbiano a scavarsi la fossa con le proprie mani.
Forse quel prete conosciuto tanti anni fa intendeva dire proprio questo, richiamando la nostra attenzione alla necessità di una cultura della legalità, nel rispetto di tutte le persone.
In quella sorta di terra di nessuno che è il carcere, don Giuseppe Baschiazzorre è stato un movimento lento, ma inarrestabile, soprattutto inalienabile, nonostante le contorsioni perverse prodotte dai meccanismi spersonalizzanti che si sprigionano da quel pianeta sconosciuto. Ricordiamo quell’uomo con le croci degli altri ben cucite addosso, tanto da farle proprie. Rammentiamo l’uomo e poi il sacerdote; l’uomo con lo sguardo in alto, sebbene tra l’incudine e il martello; dei vertici penitenziari distanti, dei detenuti inchiodati alle loro colpe.
Ritroviamo intatta la sua capacità di credere e sperare nell’uomo nuovo, insieme agli antichi insegnamenti: “occorre riesaminare continuamente il passato per approdare a un mutamento interiore che costruisca civiltà nell’amore”. Patrimonio, questo, di quella sua cristianità che non regala facili ammende, o percorsi illusoriamente in discesa.
Rimangono le sue parole che non sono mai di ieri, parole di giustizia, anche per gli ultimi, in un carcere ancora troppo lontano dalla parabola evangelica del figliol prodigo, ancora troppo a misura (o peggio dismisura ) di una mentalità che considera il pagare una regola che va onorata, ma disinteressandosi dell’assenza e dello spirito della Costituzione, quindi dello stesso Vangelo.
Persino all’interno di una prigione, di una solitudine imposta, di uno spazio angusto, non c’è solo l’eternità della penitenza, ma il bisogno di un aiuto, la necessità di un recupero che riconduca alla propria dignità tra gli uomini.
E’ con questi pensieri che oggi salutiamo don Giuseppe, con la gratitudine di chi sta imparando che giustizia e perdono vanno conquistati e meritati, con cura e attenzione, nella fatica e negli impegni assunti in tutti i giorni.
Vincenzo Andraous

fonte: InviatoSpeciale