mercoledì 20 aprile 2011

Carceri liguri: storie di ordinaria inciviltà






Dobbiamo recuperare la capacita di indignarci per la violazione sistematica dei diritti umani che quotidianamente si verifica del nostro paese.


 La mancanza di democrazia legalità e giustizia investe ormai ogni aspetto della nostra vita e viene sistematicamente seppellito dal gossip relativo alla vita del nostro Premier.


 L'ultimo weekend di gennaio, insieme all'onorevole Rita Bernardini (parlamentare Radicale), Irene Testa (segretaria dell'associazione Il Detenuto Ignoto) e Alessandro Rosasco (membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani) ho avuto l'opportunità di visitare tutte le carceri della nostra regione. 
Alla delegazione si sono aggiunti, per alcune delle visite, il consigliere regionale ligure Lorenzo Pellerano, i radicali Aldo Signori, Stefano Petrella, Deborah Cianfanelli (membro di Direzione di Radicali Italiani), Walter Noli e Giampiero Buscaglia (membri del Comitato Nazionale di Radicali Italiani). 


Non uso a caso il termine “opportunità”, infatti, ritengo che vedere il livello di violazione della legge in un luogo preposto alla correzione di coloro che la infrangono dia la misura dello stato di degrado in cui ci troviamo. Se è vero che lo stato di civiltà di un paese si misura dalla condizione delle sue carceri, è possibile affermare con assoluta certezza che la Liguria è una regione incivile.


La realtà carceraria è sconosciuta ai più: spesso anzi ci si sente obiettare che "con tutti i problemi che ci sono, il carcere è proprio l'ultimo, tanto più che quelli (i carcerati) se sono lì dentro qualcosa avranno pur fatto".


 Quasi nessuno sa, per esempio, che circa la metà delle persone che si trovano in carcere è in attesa di giudizio e quindi, come dice la nostra Costituzione, è innocente fino a prova contraria. Le statistiche, inoltre, ci dicono che la metà di queste persone verrà proclamata innocente anche alla fine del procedimento giudiziario. Questo significa che chiunque di noi potrebbe trovarsi nella condizione di passare giorni o mesi in carcere senza aver commesso alcun reato. Ma anche se un reato è stato commesso, un paese civile non può tollerare condizioni di detenzione assimilabili a quelle dei campi di concentramento. Non possiamo permettere che esseri umani vivano in condizioni che non saremmo disposti ad accettare per i nostri animali domestici.


A Savona, il sovraffollamento ha costretto il personale ad adibire a cella un salone prima destinato ad attività riabilitative.
Un salone con scarsa illuminazione che rende impossibile ai detenuti persino leggere un libro.


Oltre al sovraffollamento, la lunga permanenza in cella è imputabile anche al continuo taglio di fondi da parte del Ministero. Negli ultimi due anni, infatti, i fondi sono stati tagliati prima del 50% e poi di un ulteriore 25%. Questi provvedimenti, oltre a rendere esplicito il totale disinteresse verso la realtà carceraria, mettono anche i direttori più impegnati e creativi nell'impossibilità' di creare situazioni lavorative e riabilitative per i detenuti. La percentuale di detenuti che lavorano è, infatti, inferiore al 10% e i pochi “fortunati” svolgono mansioni a rotazione che li impegnano per pochissimo tempo e con una retribuzione che raggiunge al Massimo i 300.00 euro mensili (da cui va sottratto circa il 25 per cento di tasse).


 A Marassi, ogni psicologo, presente un giorno a settimana, deve "gestire" 80 detenuti: non serve un tecnico per capire che il lavoro dello specialista, in queste condizioni, è semplicemente formale. Inoltre, i detenuti accedono a questo servizio solo se ne fanno richiesta, pertanto, il disagio non percepito o non esternato dai detenuti, rischia di venire completamente ignorato. 
Ad esempio, nel carcere di San Remo c'e' un ragazzo che ha perso 40 kg in tre mesi: lo psicologo non lo ha ancora visto, e lui continua il suo viaggio verso l'autodistruzione.
 Nel carcere di Ponte Decimo, la psicologa è presente per tredici ore al mese e i detenuti sono 104. Ma il problema dell'assistenza non riguarda soltanto l'aspetto psicologico: il passaggio dalla sanità penitenziaria alle ASL ha peggiorato notevolmente le condizioni di assistenza.
 Il personale medico e infermieristico non è stato confermato, le visite specialistiche sono state in gran parte dirottate all'esterno e, in molti casi, è venuto meno il presidio medico h24.
 I nuovi medici non conoscono la particolarità della situazione carceraria e la necessità di ricorrere al 118 o alle visite specialistiche esterne sottrae ulteriori risorse in termini di agenti che devono accompagnare il detenuto all'esterno, riducendo ulteriormente le "forze" disponibili all'interno. 
Queste carenze si situano in un contesto in cui la popolazione detenuta è in gran parte costituita da tossicodipendenti e da persone con disagio psichico.
 Accanto alle persone certificate, cioè in possesso di una diagnosi, infatti, ce ne sono molte altre con problemi psichiatrici o di tossicodipendenza non direttamente prese in carico che si mescolano agli altri detenuti pur avendo esigenze particolari. 


Nel carcere di Imperia, Savona e San Remo, i medici non hanno saputo indicare quanti detenuti sieropositivi erano presenti in struttura, né quanti tossicodipendenti o malati psichiatrici. Ma come è possibile che un medico non conosca situazioni sanitarie così significative? Quali precauzioni vengono prese per tutelare i detenuti malati e quelli che con loro entrano in contatto? E ancora, un agente che si precipiti per aiutare un detenuto in difficoltà, non dovrebbe avere il diritto di conoscere i rischi cui va incontro? Ma la carenza non riguarda solo questi "casi particolari": il medico presente a Savona non sapeva neppure se la struttura disponesse o meno di un defibrillatore.
 Accanto a questa incompetenza va aggiunto che il sovraffollamento spesso impedisce di separare i detenuti e creare zone specifiche dette "ad alta sorveglianza" dove poter isolare le persone a rischio. Inoltre, è necessario sottolineare le problematiche relative alle condizioni minime d’igiene e allo stato degli edifici. Molte strutture, infatti, sono in condizioni di totale dissesto. 
A Ponte Decimo, per esempio, le gravi carenze strutturali provocano enormi problemi per l'accesso all'acqua calda e al riscaldamento.
 A Savona, i muri cadono a pezzi, l'illuminazione è carente e mancano i prodotti per la pulizia. Ultimamente, inoltre, a causa della rottura dell'asciugatrice, i detenuti che non hanno parenti che possano assisterli, possono cambiare le lenzuola una volta al mese. 


Se la situazione non fosse già abbastanza drammatica, occorre aggiungere che la legge viene sistematicamente violata anche attraverso la mancanza del "Regolamento di Istituto" che, fatta eccezione per Chiavari, nessuno degli istituti visitati possiede. Questo strumento obbligatorio, che dovrebbe garantire ai detenuti la conoscenza dei propri doveri ma anche dei propri diritti, sembra non rientrare né tra le priorità dei direttori né dei magistrati di sorveglianza né dello stesso dipartimento penitenziario. Il dipartimento penitenziario è carente anche per quanto riguarda altri adempimenti, come l'aggiornamento della pianta organica che a Marassi, per esempio, comporterebbe la possibilità di rendere operativo il decreto di assunzione per quaranta educatori che hanno già vinto un concorso. 


E ancora, cinque delle sette carceri visitati hanno ancora il muretto in sala colloqui; a Savona ci sono ancora i bagni alla turca, i detenuti possono fare la doccia una volta ogni quattro giorni e ci sono topi che escono dal water; a San Remo, l'acqua calda viene erogata tre volte a settimana per due ore durante quali devono lavarsi 358 detenuti, a Marassi ci sono detenuti in attesa di cure ortopediche da mesi. 


Pubblicato da MrHeartbeat |http://radicalige.splinder.com/post/24316054/carceri-liguri-storie-di-ordinaria-incivilta

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