Era affetto da una gravissima forma di depressione che gli aveva fatto perdere 40 chili
Per i medici che lo tengono sotto stretta osservazione nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Loreto Mare di Napoli è appesa ad un filo la vita di Giuseppe Toto, 33 anni, per la giustizia complice di un omicidio e per questo condannato in primo grado a 26 anni di reclusione.
L’uomo avrebbe tentato il suicidio nonostante fosse detenuto nell’infermeria del carcere di Poggioreale per via di una grave forma di depressione che lo aveva colpito sin dai giorni successivi l’arresto.
"Aveva perso 40 chili e diceva che sarebbe morto prima di arrivare al processo d’appello. Ce lo hanno ammazzato", si dispera ora la sorella Nunzia. I fatti risalirebbero a giovedì scorso. Dopo il colloquio con la sorella, Toto torna in cella. Una cella di quelle sorvegliate, prive di oggetti o cose che possano assecondare le manie suicida dei detenuti.
Ciononostante, sembra che Toto sia riuscito comunque a trovare il modo per provare a togliersi la vita. I medici che lo hanno soccorso gli hanno trovato dei segni intorno alla gola, forse prodotti da un indumento arrotolato a mo’ di corda. Quando è giunto in ospedale l’uomo non respirava più, gli è stata praticata una tracheotomia per indurre la respirazione artificiale, ma non ha mai ripreso conoscenza.
"Avevamo invocato lo stato di necessità - spiega il difensore dell’imputato, l’avvocato Monica Pantaleo - avevamo provato a dimostrare che il mio assistito aveva agito sotto minaccia di morte e avevamo provato che comunque non aveva partecipato materialmente all’esecuzione del povero assessore. Ma non è stato sufficiente ad evitargli una condanna così severa neppure il fatto che, sin dai giorni successivi l’arresto, si era ammalato di una grave forma di depressione. Tutte le nostre istanze di scarcerazione sono state rigettate. Ora - conclude il legale - ho bisogno di capire come sono andate le cose in carcere prima di pensare al da farsi".
Solo due settimane fa, l’uomo era stato accusato di aver partecipato ad altri due tentativi di omicidio, quello di Fortuna Iovinelli e di Raffaella D’Alterio, rispettivamente affiliata e madrina di un clan in aperta ostilità con quello del quale Toto avrebbe fatto parte, il clan De Rosa, egemone a Qualiano. Secondo chi gli ha parlato per l’ultima volta prima che compisse il gesto estremo, dopo la notifica in carcere dei nuovi capi d’imputazione, la depressione di Toto si era ulteriormente aggravata e desiderava solo morire.
A giorni il Riesame si sarebbe espresso rispetto alle ultime accuse, ma lui, l’imputato, diceva che non ci sarebbe arrivato. "Ha fatto quello che temevamo - dice la sorella - la sua malattia era vera, come vera era la sua estraneità ad un clan del quale continuano a dire lui facesse parte".
Fonte: Associazione IL DETENUTO IGNOTO
Per i medici che lo tengono sotto stretta osservazione nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Loreto Mare di Napoli è appesa ad un filo la vita di Giuseppe Toto, 33 anni, per la giustizia complice di un omicidio e per questo condannato in primo grado a 26 anni di reclusione.
L’uomo avrebbe tentato il suicidio nonostante fosse detenuto nell’infermeria del carcere di Poggioreale per via di una grave forma di depressione che lo aveva colpito sin dai giorni successivi l’arresto.
"Aveva perso 40 chili e diceva che sarebbe morto prima di arrivare al processo d’appello. Ce lo hanno ammazzato", si dispera ora la sorella Nunzia. I fatti risalirebbero a giovedì scorso. Dopo il colloquio con la sorella, Toto torna in cella. Una cella di quelle sorvegliate, prive di oggetti o cose che possano assecondare le manie suicida dei detenuti.
Ciononostante, sembra che Toto sia riuscito comunque a trovare il modo per provare a togliersi la vita. I medici che lo hanno soccorso gli hanno trovato dei segni intorno alla gola, forse prodotti da un indumento arrotolato a mo’ di corda. Quando è giunto in ospedale l’uomo non respirava più, gli è stata praticata una tracheotomia per indurre la respirazione artificiale, ma non ha mai ripreso conoscenza.
"Avevamo invocato lo stato di necessità - spiega il difensore dell’imputato, l’avvocato Monica Pantaleo - avevamo provato a dimostrare che il mio assistito aveva agito sotto minaccia di morte e avevamo provato che comunque non aveva partecipato materialmente all’esecuzione del povero assessore. Ma non è stato sufficiente ad evitargli una condanna così severa neppure il fatto che, sin dai giorni successivi l’arresto, si era ammalato di una grave forma di depressione. Tutte le nostre istanze di scarcerazione sono state rigettate. Ora - conclude il legale - ho bisogno di capire come sono andate le cose in carcere prima di pensare al da farsi".
Solo due settimane fa, l’uomo era stato accusato di aver partecipato ad altri due tentativi di omicidio, quello di Fortuna Iovinelli e di Raffaella D’Alterio, rispettivamente affiliata e madrina di un clan in aperta ostilità con quello del quale Toto avrebbe fatto parte, il clan De Rosa, egemone a Qualiano. Secondo chi gli ha parlato per l’ultima volta prima che compisse il gesto estremo, dopo la notifica in carcere dei nuovi capi d’imputazione, la depressione di Toto si era ulteriormente aggravata e desiderava solo morire.
A giorni il Riesame si sarebbe espresso rispetto alle ultime accuse, ma lui, l’imputato, diceva che non ci sarebbe arrivato. "Ha fatto quello che temevamo - dice la sorella - la sua malattia era vera, come vera era la sua estraneità ad un clan del quale continuano a dire lui facesse parte".
Fonte: Associazione IL DETENUTO IGNOTO
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