Il 27 ottobre 2006, passate da poco le ore 20, Riccardo Rasman si trovava nel suo appartamento di Via Grego 38, un immobile di proprietà dell'ATER di Trieste. Secondo la ricostruzione degli agenti e le contraddittorie testimonianze dei vicini[1], tenendo alto il volume della musica, Rasman ad un certo punto uscì nudo sul balcone di casa, lanciando due petardi nella corte interna dello stabile, di cui uno scoppiò a poca distanza da una ragazza, pur senza causare lesioni. Si è ipotizzato che Rasman, affetto da una sindrome schizofrenica paranoide, dovuta a episodi di "nonnismo" subiti durante il servizio militare[2], potesse trovarsi in uno stato di euforia, o quantomeno di agitazione psico-fisica, dovuta al fatto che il giorno seguente avrebbe trovato lavoro come netturbino.
In seguito a una segnalazione arrivata al 113, sul posto giunsero due volanti. Rasman , che nel frattempo si era rivestito e steso a letto, rifiutò di aprire la porta, forse intimorito anche in seguito ad un altro episodio risalente al 1999 a cui era seguita una denuncia nei confronti di altri due agenti da parte di Rasman stesso[3]. Intervenuto un mezzo dei Vigili del Fuoco, chiamati per forzare la porta di casa, gli agenti entrarono trovando Rasman seduto sul letto. Ne sortì un'accesa colluttazione fra Rasman, alto 185 centimetri e che pesava 120 chili, e i quattro agenti, che infine lo immobilizzarono a terra, con le caviglie e i polsi legati da un fil di ferro[4]. Tenuto in posizione prona per diversi minuti, l'uomo iniziò a respirare affannosamente e a rantolare, fino a divenire cianotico e all'arresto respiratorio. All'arrivo di un mezzo di soccorso, venne constatato il decesso di Rasman.
[modifica]Il caso
All'arrivo dei sanitari Rasman venne trovato ammanettato dietro la schiena, con del filo di ferro attorno alle caviglie, e mostrava diverse ferite e chiari segni di imbavagliamento, con un cordino o qualcosa di simile. Venne subito chiarito che nonostante l'uomo fosse immobilizzato, gli agenti esercitarono "sul tronco, sia salendogli insieme o alternativamente sulla schiena, sia premendo con le ginocchia, un’eccessiva pressione che ne riduceva gravemente le capacità respiratorie", cosa che avrebbe causato la morte per asfissia. Le ferite, gli schizzi di sangue sui muri ed i segni di violenza vennero correlati all'uso di oggetti contundenti, come un manico d'ascia trovato nell'appartamento, e lo stesso piede di porco usato dai Vigili del Fuoco per forzare la porta d'ingresso[5]. Secondo la sorella Giuliana, il corpo di Riccardo "era martoriato di botte sul viso, gli avevano rotto lo zigomo, poi c'era il segno di imbavagliamento, sangue dalle orecchie, dal naso, dalla bocca, si vede proprio molto bene.. noi siamo entrati in quell'appartamento soltanto in marzo, era un disastro, c'era sangue dappertutto, una chiazza di sangue verso la cucina. Poi dalle fotografie mi sono resa conto che l'hanno spostato con la testa verso l'entrata così da nascondere la chiazza di sangue che c'era lì, c'era una frattura, i capelli erano tutti pieni di sangue, c'era una frattura anche dietro il collo, c'era sangue sul tavolo, sui muri, sulle lenzuola, dietro il letto per terra, c'erano chiazze di sangue sul tappeto sotto il quale abbiamo trovato persino dei pezzi di carne, nascosti"[6].
Venne aperta un'inchiesta d’ufficio, affidata al pubblico ministero Pietro Montrone, il quale delegò alle indagini gli stessi poliziotti coinvolti nella colluttazione. L'inchiesta venne chiusa nell'ottobre 2007 con una richiesta di archiviazione da parte del magistrato, il quale ritenne che i quattro poliziotti avessero agito nell’adempimento di un dovere , pur avendo accertato che la morte di Rasman era stata causata da "asfissia posturale" seguita all'operato degli agenti. Il 28 febbraio 2008, nell'udienza che avrebbe dovuto chiudere l'inchiesta, il pubblico ministero cambiò orientamento di fronte alla prova che i quattro agenti fossero a conoscenza del fatto che Rasman fosse seguito dal Centro di salute mentale di Domio, cosa che avrebbe imposto a Francesca Gatti, Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe De Biasi una maggiore cautela e la richiesta di invio di uno psichiatra, tanto più che il lancio di petardi era già cessato, e l'uomo si trovava calmo e seduto sul proprio letto, stando ai racconti dei vicini[7]. Pare infatti che prima dell'arrivo delle volanti, Rasman avesse scritto in un biglietto, ritrovato in cucina: "Mi sono calmato, per favore non fatemi del male". I quattro poliziotti vennero quindi indagati e rinviati a giudizio per omicidio colposo.
Il 29 gennaio 2009, con rito abbreviato, tre dei quattro agenti vennero condannati a sei mesi di carcere, con pena sospesa, ed a una provvisionale di 60.000 euro. Venne invece assolta l'agente Francesca Gatti[8]. Per la parte civile venne disposto un risarcimento di 20.000 euro per danni morali. Il 30 giugno 2010 la Corte d'Appello di Trieste ha confermato la sentenza di primo grado. Pare sia stata la prima volta che nella storia della Repubblica sia stato riconosciuto tale tipo di reato a degli agenti della Polizia di Stato. Il caso è stato sovente paragonato a quello di Federico Aldrovandi, per modalità della morte e dinamica dell'accaduto.
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