lunedì 25 aprile 2011

I familiari dei detenuti, ovvero vittime innocenti


I familiari dei detenuti, ovvero vittime innocenti
a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti



Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 23 marzo 2009

La festa del papà c'è stata anche in carcere, perché un padre detenuto resta comunque un papà, e i reati non cancellano il suo diritto a prendersi cura dei suoi affetti. E forse la società tutta dovrebbe interrogarsi, se oltre a rinchiudere in carcere chi ha violato le leggi, sia anche giusto togliergli di fatto la possibilità di salvare il rapporto con moglie, figli, nipoti. Vogliamo allora continuare a parlare di famigliari dei detenuti, perché sono innocenti, perché sono vittime, e perché avrebbero diritto a spazi e tempi più decenti per coltivare gli affetti con i loro cari reclusi.


Aspettando un colloquio a lungo negato


Faceva già freddo ma i caloriferi non erano ancora accesi nella sala colloqui, quando mia madre venne a trovarmi un anno e mezzo fa. Il visto era di soli dieci giorni, così, per due settimane,ho passato notti insonni per l'emozione, ad aspettare le poche ore di colloquio che ci erano consentite.
Oggi ho saputo che, dopo ripetute richieste respinte, alla fine il Consolato italiano ha concesso un visto ai miei genitori per venire in Italia a trovarmi. Sono passate alcune ore da quando ho appreso la notizia, tuttavia sento ancora il cuore gonfiarsi di gioia, anche se devo confessare che la mia felicità è causata per la maggior parte dall’idea che finalmente vedrò mio padre.
Mentre mia madre è venuta a trovarmi da poco, mio padre non riesce ad avere un visto da molto tempo, cinque anni, forse sei o sette, anzi credo che sia venuto a trovarmi nel duemilauno. Molto, molto tempo, anche se in carcere sembra così ridicolo misurare il periodo che ci divide dalle persone: quando valuto "poco tempo" i diciotto mesi trascorsi dall’ultima visita di mia madre, mi viene in mente che una volta sono scappato dalla colonia estiva dopo appena una settimana e, di fronte a due genitori sorpresi, ho detto che non potevo stare così a lungo senza di loro, ma adesso mi accorgo che la mia concezione di "tempo lungo" è diventata molto relativa.
Di sicuro a mia madre sembra di non vedermi da un'eternità. Così, schiacciata dal bisogno di riabbracciarmi, è andata ripetutamente all’ambasciata italiana di Tirana per implorare di lasciarla venire in Italia a incontrare suo figlio in carcere, ma si è vista rifiutare a lungo questa possibilità. Spinta però dall’urgenza di abbracciarmi per qualche minuto, ha trovato il coraggio per ripresentarsi finché non è riuscita ad ottenere un permesso.
Quando i miei verranno a trovarmi, sarà già primavera e nella sala colloqui, per tutto il tempo che il carcere concede, tra un abbraccio e l’altro ci guarderemo a vicenda per capire quanto ci hanno cambiati gli anni e quanto ci hanno segnato le sofferenze; parleremo e ci racconteremo tante cose scoprendo quanto differenti da quello che immaginavamo sono le vite che abbiamo costruito in questi anni, e come le nostre teste hanno seguito strade diverse e come conserviamo ancora parole, sentimenti, rumori, sapori, dolori, felicità e ricordi comuni e lontani. La pelle del viso si accenderà sotto le lacrime, gli abbracci dovranno essere per forza veloci, e lo stomaco si stringerà sussultante dalla paura dell’addio, che ci lascerà il mistero della prossima visita, forse fra poco tempo, o di nuovo fra molto, molto tempo.



Elton Kalica

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