La nostra esperienza è nata a Pistoia nel 1986 come Cooperativa Culturale. Nel 1991 la Cooperativa fu affiancata da una associazione di volontariato il Circolo Ora d'Aria Pantagruel che si occupava degli interventi nella Casa Circondariale, che poi, nel 1995, cambiò il nome nell’attuale Associazione Pantagruel. Segue da allora le problematiche del carcere e del dopo carcere: interviene con alcuni volontari nelle carceri di Firenze e Pistoia e continua poi a seguire i detenuti nel periodo del reinserimento nella società; dal 1999 ha sede a Firenze.
Oggi i principali progetti che l'Associazione sta portando avanti sono:
- La poesia delle bambole
- Solidarietà e carcere
- Educare con gli asini
- Progetto Bruno Borghi
- Voci da dentro
Questi progetti presentano alcune caratteristiche in comune:
- partono dai bisogni delle detenute e dei detenuti che ascoltiamo da anni nei colloqui individuali e di gruppo. Bisogni di esprimere la creatività, di farsi sentire, di trovare strumenti terapeutici, di superare le mura del carcere;
- non si limitano ad intervenire nel carcere ma cercano di coinvolgere il più possibile la città, creando fin dall’inizio una rete di appoggio (associazioni, realtà varie, enti locali) e poi successivamente organizzando incontri, mostre, dibattiti all’esterno;
- creano formazione, crescita di nuove capacità e talenti, posti di lavoro esterno; anche una sola persona che esce dal carcere in misura alternativa alla detenzione è un fatto estremamente positivo;
- vogliono aumentare l’informazione sul carcere che è troppo spesso un mondo separato, poco trasparente, mal conosciuto. Il territorio deve sapere invece come vivono i detenuti e le detenute che dovrebbero essere considerati anche propri cittadini;
- non vogliono essere “tutelati” da un contributo pubblico che copra l’intera spesa del progetto; chiedono che gli enti pubblici prendano le loro responsabilità e partecipino in minima parte ai costi; la maggior parte delle risorse necessarie dovranno venire da donazioni di altre istituzioni (come le Fondazioni) e da donazioni di numerosi privati. Poco dovrà essere il costo del personale dell’associazione, molte le risorse che creeranno contratti di lavoro a progetto per persone che potranno spesso iniziare così un cammino fuori dal carcere.
- Il secondo progetto, quello che abbiamo chiamato Solidarietà e carcere, risponde ai punti : 1, 2 & 4, ma non fa richiesta di contributi agli enti locali e non si pone il problema del far uscire persone dal carcere per portare avanti questa iniziativa.
Non ne parliamo mai molto ma anche la nostra Associazione ha una tessera che costa 10 euro l’anno e che serve per dare un contributo alle nostre spese di gestione: affitto della sede (che poi serve soprattutto per il laboratorio esterno e per lo spazio espositivo delle bambole), luce, telefono, ecc. Chi vuole far parte della nostra associazione…si faccia avanti!Per aiuti/sostegno economico il conto corrente postale intestato all’Associazione Pantagruel è il numero: 10019511.Per la destinazione del 5Xmille vi segnaliamo il nostro codice fiscale: 90012090479; andrà apposto nell’apposito modulo il codice fiscale del contribuente, nome e cognome, firma e codice fiscale dell’associazione beneficiaria.Vi ringraziamo anticipatamente per l’aiuto economico che ci darete.
Ilaria Vicini
Squilibrio, 19 luglio 2003
Domanda: Capecchi, a chi viene da fuori dall’Italia e ti domandasse come sono i nostri penitenziari cosa diresti?
Risposta: Io direi che le carceri italiane sono molto diverse tra di loro, non si può dire che siano tutte tremende o invivibili. Se ipotizzo una mia carcerazione (con l’augurio che questa mai avvenga), rifletto sul numero di anni di pena da scontare e penso che se fossero sette, otto anni chiederei di andare alla Gorgona, lì ci sono le viti, gli ulivi da coltivare, ci sono animali, pecore mucche. Nel mio immaginario me la figuro più vivibile perché si sta molto all’aria aperta a contatto con la natura; ma quando c’è mare mosso si resta isolati, niente visite di parenti e nessuna arrivo, si è fuori dal mondo.
Se invece fossi un tossicodipendente e giovane sceglierei Solliccianino, cioè la Casa circondariale Mario Gozzini, perché starei con persone coetanee e che si trovano nella mia stessa condizione, potrei lavorare la mattina e studiare o dedicarmi ad altre attività di recupero il pomeriggio, sarei più libero di muovermi nella mia sezione. Una struttura simile è stata recentemente aperta a Massa.
Se invece mi dessero l’ergastolo di certo non sceglierei Sollicciano ma cercherei di vedere se Pisa o Volterra sono più vivibili.
D.: Ma allora si può scegliere dove andare o è solo teoria?
R.: In teoria sì ma in realtà la scelta è pura accademia. Se vengo arrestato in Toscana è facile che resti in Toscana ma se dalla Toscana volessi andare da qualche altra parte dovrei affrontare l’iter della richiesta al DAP (Dipartimento amministrazione Penitenziaria) a Roma e poi attendere anche anni una risposta che magari è negativa.
D.: La legislatura italiana in materia carceraria ha un disegno organico oppure è il prodotto di un cascame di leggi successive un po’ a casaccio? È una buona legislatura?
R.: Sarebbe buona. Quella attuale è una legislazione carceraria nata nel periodo delle grandi riforme, dal dibattito sulla psichiatria e sull’antipsichiatria della legge Basaglia, è la riforma Gozzini , scritta insieme al magistrato toscano Alessandro Margara, ora in pensione, tutte persone che conoscevano bene i problemi che dovevano risolvere. Purtroppo le leggi sono inapplicate al sessanta, settanta, in certi casi anche all’ottanta per cento: i diritti sono sanciti solo sulla carta e quasi sempre violati.
Condizioni estreme: il caso di Sollicciano
Quello del carcere fiorentino è un caso emblematico per tante altre prigioni, dove si sta in quattro in celle da uno e mangia solo chi può pagare.
Quello del carcere fiorentino è un caso emblematico per tante altre prigioni, dove si sta in quattro in celle da uno e mangia solo chi può pagare.
Pantagruel si impegna particolarmente nel carcere di Sollicciano, dove la qualità della vita varia per ogni sezioni in cui è articolato. Con circa 980 detenuti per una capienza di 400, Sollicciano ha un’area maschile e una femminile, con reparti staccati nel maschile : il giudiziario ed il penale. All’interno del giudiziario la Sezione protetta (SP) isola dalle altre i condannati per pedofilia, stupro, sfruttamento di minori, quella di Alta Sorveglia (AS) è presente nel penale e nel giudiziario e ospita i detenuti per reati gravi, come rapina a mano armata e spaccio internazionale di droga.
C’è poi un Centro Clinico distaccato, la sezione per i transessuali e quella Transiti in cui si finisce per punizioni o perché si è di passaggio verso altre strutture. Realtà diverse ma denominatori comuni: sovraffollamento, qualità/quantità del cibo, gelo d’inverno e caldo insostenibile d’estate.
Giuliano Capecchi ci rivela che a Sollicciano avvengono miracoli: una struttura costruita per ospitare quattrocento detenuti ne stipa mille e il vetro ed il cemento con cui è stata realizzata assumono magicamente le caratteristiche di materiali ideali per difendersi dalle condizioni atmosferiche. Neanche un direttore Asl può far finta di non vedere l’insostenibilità della situazione.
Domanda: Uno dei problemi più gravi a Sollicciano?
Risposta: Naturalmente il sovraffollamento. In questo momento credo che si trovino a Sollicciano circa 980 detenuti ma ce ne sono stati anche 1000 e l’edificio nel suo complesso era stato progettato per contenere 400 persone, in pratica sono più del doppio del consentito.
Vivono in quattro in celle costruite per ospitare un detenuto per volta, successivamente rabberciate per avere due posti letto ed ora attrezzate per metterci dentro quattro persone, con un letto a castello a tre piani (con tutti i rischi di cedimento, caduta, rottura del letto). Uno dei quattro dorme per terra. Se poi pensiamo che non esiste la mensa comune ma si mangia in cella, i carcerati son costretti a mangiare due per volta: gli altri due aspettano sul letto perché sul panchetto non c’è posto. Considerando il fatto che, a meno che non si vada a scuola, le ore d’aria sono quattro al giorno, il risultato è che per venti ore quattro persone stanno pigiate nello stesso spazio in cui dovrebbe starcene una. Ad aggravare questa situazione di invivibilità c’è la peculiarità della struttura. Per risparmiare sui materiali di costruzione l’edificio è stato fatto con cemento e vetro. Anche ammesso che possa piacere a chi lo vede da fuori, standoci dentro ci si rende subito conto che questi materiali non isolano minimamente l’interno dall’esterno, anzi: d’estate il caldo aumenta e d’inverno fa freddissimo.
Un anno fa o poco più, un direttore di ASL fece un sopralluogo e alla fine disse candidamente che, se si fosse fatta un’analisi corretta della condizione di Sollicciano, la struttura avrebbe dovuto essere chiusa per motivi sanitari. Ovviamente le sue parole non hanno avuto alcun seguito.
Al sovraffollamento si aggiunge la vergognosa gestione delle cucine e della quantità e qualità del vitto per i detenuti. Quasi sempre scadente e razionato, il pasto a Sollicciano misura un altro tipo di sperequazione tra detenuto e detenuto. Chi ha i soldi può comprarsi da mangiare a sufficienza e, guarda caso, chi vende è la stessa ditta che fornisce i pasti al carcere…
Domanda: Mi dicevi dell’altra questione, il vitto…
Risposta: Certo, a parlare dei problemi di Sollicciano si parte con una lunga tiritera, il cibo ad esempio: è insufficiente, sia per qualità che per quantità. Un altro elemento aggravante è anche il fatto che il 60% della popolazione carceraria di Sollicciano è formato da extracomunitari, con famiglie lontane che non possono aiutarli portando cibo extra o adatto a certe esigenze culturali o religiose.
A parte ciò, resta il fatto che quattro patate lesse e un pezzetto di formaggio non costituiscono una cena per un normale cittadino. La cucina poi è sottomisura, obiettivamente non può realizzare pasti sufficienti per tutti e quel che passa è immangiabile.
A tutto questo si aggiunga poi che chi ha i soldi può prendere quello che gli passa la cucina, buttarlo via tutto e ricucinarsi in cella cibarie comprate. Bisogna dunque potersi permettere la spesa per il fornellino, la bombola, la pasta, le minestre, i sughi: tutti prodotti venduti dalla stessa impresa che si occupa della fornitura della cucina penitenziaria, dunque interessata ad incrementare gli acquisti.
Esisterebbe anche una norma sui prezzi in carcere e cioè che devono essere gli stessi del supermercato o grande distribuzione più vicino al penintenziario (dunque non il negozietto del centro storico) ma in Italia non c’è nessuna impresa che la rispetti: i prezzi sono esosi oppure i prodotti in vendita non sono paragonabili perché sono venduti esclusivamente nelle carceri: quale supermercato si permetterebbe di vendere al pubblico olio che non è olio o altri aggeggi che non si sa nemmeno cosa contengono?
Dove è stato possibile fare paragoni s’è visto solo l’aumento del prezzo: dieci anni fa Pantagruel fece una denuncia con dati precisi sui prezzi di molti prodotti uguali venduti in carcere e in supermercato e rilevò aumenti sino al 25% e anche di più. Facemmo l’esposto alla Procura della Repubblica e l’allora sostituto procuratore Deidda aprì l’inchiesta dandoci ragione e confermò che molte cose andavano controllate. Poi Deidda fu trasferito a Prato ed i suoi successori non terminarono un’inchiesta che era praticamente conclusa. In questo capitolo sul vitto, la responsabilità a livello di ditta che ha l’appalto e dei funzionari delle carceri è enorme.
Gli hotel a 4 stelle del ministro e la recidività
L’opinione pubblica spesso ha una visione distorta della realtà carceraria: scarsa informazione e censure mediatiche contribuiscono alla formazione di giudizi favorevoli al carcere “duro”. Se poi un ministro incompetente li ritiene hotel a 4 stelle… sarà per questo che chi entra non vede l’ora di tornarci?
L’opinione pubblica spesso ha una visione distorta della realtà carceraria: scarsa informazione e censure mediatiche contribuiscono alla formazione di giudizi favorevoli al carcere “duro”. Se poi un ministro incompetente li ritiene hotel a 4 stelle… sarà per questo che chi entra non vede l’ora di tornarci?
Domanda: Qual è il grado di sensibilità degli italiani sulla realtà carceraria? Il pensiero comune è “se lo meritano”?
Risposta: La sensazione è che se uno conoscesse la realtà potrebbe dare un giudizio. Ma se ha la visione del ministro di Giustizia per il quale le carceri sono hotel a 4 stelle (e l’ha detto dopo aver visitato il penitenziario di Cagliari dove i detenuti stanno morendo di aids, chissà quale criterio lo ha spinto a figurarsi tutta sta bellezza del luogo) ecco, se uno ha questa visione, il carcere come luogo di vacanza, si può anche chiedere “ma come, i delinquenti devono essere trattati pure bene?” . Se invece uno giudica la realtà esistente[i][/i], vede che in carcere ci sono sì detenuti colpevoli ma per la maggior parte persone in attesa di giudizio o che dopo anni escono perché sono innocenti; allora il trattamento per queste persone è giusto? Poi c’è un altro elemento che fa riflettere ed è la recidiva.
Le persone che entrano in prigione sono spesso quelle che poi ci tornano: allora che ci sono state a fare? Che utilità ha avuto la carcerazione? Se uno pensa che lo scopo del carcere sia di punire allora chiudiamo il problema. Ma la legge dice che, oltre alla pena, il carcere deve fornire un percorso di recupero del detenuto, perché quando esca abbia maturato il senso civico e la capacità di inserimento nel sociale. Un carcere che ti costringe 20 ore al giorno in una cella sovraffollata come fa a migliorarti? Non può. Forse la maggioranza pensa che la prigione debba essere dura ma non si rende conto che lo stato sta buttando via soldi, visto che in carcere non si fa quello che per legge si dovrebbe.
E son soldi buttati anche perchè un detenuto costa allo Stato dalle 300 alle 400.000 lire al giorno ma, per i contratti che fa con le ditte (e di questo dovrebbe vergognarsi), per dar da mangiare ad un detenuto spende 3000 lire al giorno. Come si fa a pensare che con 3000 lire si può dare colazione pranzo e cena ad una persona?
Pestaggi, isolamento diurno e sciocchezzario dal 41bis
Il diritto ad essere trattati umanamente è sancito dalla legge ma forme pesanti di coercizione, proibizioni e violenza nelle carceri sono pratica comune che passa sotto silenzio. La logica del “tutto è permesso” pur di ottenere informazioni è accettabile in uno Stato di Diritto?
Il diritto ad essere trattati umanamente è sancito dalla legge ma forme pesanti di coercizione, proibizioni e violenza nelle carceri sono pratica comune che passa sotto silenzio. La logica del “tutto è permesso” pur di ottenere informazioni è accettabile in uno Stato di Diritto?
Domanda: Si parla spesso dei benefici ai carcerati con lunghe pene detentive, sul fronte invece del regime carcerario da 41bis o sull’isolamento diurno le notizie son poche e ben direzionate.
Risposta: Sì, è vero. Intanto diciamo che l’isolamento diurno è spesso legato al 41bis, regime già di per sé durissimo, privo di ogni tipo di rapporto umano, aggiungi a questo il fatto che stai sempre da solo e che non ti è permesso di vedere nessuno a parte forse l’agente di custodia per qualche minuto, io credo che si tratti di una violenza gratuita. All’obiezione che il 41bis nasce dalla necessità di isolare il capomafia per impedirgli di dare ordini all’esterno dico che questo è giusto ma allora come mai nonostante tutto capita (e capita pure a Sollicciano) che ogni tanto sbuchi fuori un cellulare?
Chi l’ha portato? È facile concludere che sia stato introdotto in carcere e consegnato a pagamento da qualche “volontario” che voglia arrotondare lo stipendio. È in questo che il carcere deve essere attento e severo, controllare se al detenuto vengono dati strumenti che gli permettano di continuare a delinquere. Ma a cosa serve la regola del 41bis che impone l’obbligo a non tenere in cella più di tre libri? Se il detenuto legge di più, delinque di più? E perché non può farsi un caffè? Legge nei fondi del caffè?
Con il 41bis non puoi tenere un fornellino in cella, dunque non puoi cucinarti nulla, al massimo ti mangi una mela o un pomodoro. Cos’è che vieta che anche il boss mafioso possa bere un caffè?
Forse si crede che questo tipo di pressione psicologica spinga il mafioso alla collaborazione ma bisogna vedere se è giusto che la collaborazione sia ottenuta con metodi di tortura o coercizione.
Come a Pianosa (penitenziario ora chiuso n.d.a), dove si sono compiute violenze inaudite: teste sfasciate, gambe rotte e nessuno che abbia denunciato la cosa, solo i detenuti. Così volevano far parlare i mafiosi: mettendo i preservativi nelle minestre, gettando sapone a terra e costringendoli a correre per farli cadere, picchiandoli quando gli pareva. A Pianosa è avvenuto questo ed è documentato dalle denunce dei detenuti. Alcuni di loro hanno fatto ricorso alla Corte Europea, come il signor La Vita, che ha vissuto il periodo terribile di Pianosa: oltretutto questa persona non solo non era da 41bis ma addirittura innocente, non aveva nulla da confessare, lo picchiavano per farlo “cantare” ma che poteva dire?
Lo Stato ha dovuto risarcirlo ma ora lui ha una gamba fracassata.
Se la logica è quella del tutto è permesso pur di avere un’informazione allora il discorso è chiuso.
Ma se, come io ritengo, lo Stato deve essere uno Stato di Diritto non si può permettere di picchiare un detenuto e vessarlo in ogni modo, nemmeno se è un boss mafioso. ‘Che poi il 41bis se lo prende sì qualche pesce grosso ma molti sono pesci piccoli che non sanno nulla o innocenti che poi vanno risarciti.
Isolamento diurno, 41bis, violenze fisiche e mentali son tutte trovate per far crollare un uomo psicologicamente; chiamatele come vi pare ma forse il termine giusto è che sono forme di tortura: per far parlare un detenuto si fa finta di non vedere che si tratti di questo. E per rendere pubblica la situazione, nonostante la documentazione e le denunce, niente è mai stato fatto.
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