mercoledì 20 aprile 2011

Storie di ordinaria detenzione


“Nostro figlio non si è ucciso, il gas della bomboletta che aveva in cella per preparare il cibo lo ha ucciso lentamente e nessuno lo ha salvato”. E’ la denuncia dei genitori di Michele Massaro, morto a 23 anni, il 12 gennaio scorso nella cella del carcere di Perugia dove era rinchiuso da quattro mesi e dove doveva restare fino al 2018 per scontare una condanna ad un cumulo di pena di otto anni e sei mesi per una serie di furti e rapine.




Nell’edizione di Taranto del quotidiano “’La Gazzetta del Mezzogiorno”, si racconta di un giovane Michele Massaro che, poco più che adolescente, era diventato tossicodipendente e negli ultimi tempi, invano, aveva anche cercato di disintossicarsi in una comunità. Ben presto però sono arrivate le ricadute nella rete della droga e dei piccoli furti (oltre a un paio di tentativi di rapine) per procurarsi le dosi. Era stato sempre poi arrestato dalle forze dell’ordine fino a quanto il tribunale lo ha condannato ad un cumulo di pena.
I genitori vogliono capire perchè un ragazzo di 23 anni curato in carcere con gli antidepressivi sia stato lasciato solo in cella e con la disponibilità di una bomboletta del gas necessaria, ufficialmente, per preparare i pasti. Il ragazzo aveva gli alveoli dei polmoni saturi di gas che, evidentemente, inalava abitualmente. “’Michele non si e’ tolto la vita. La sua morte non e’ stato un suicidio come all’inizio volevano farci credere. Il gas lo ha ucciso lentamente e nessuno lo ha salvato”’, dicono i genitori.
“Era disperato il mio Michele – ha raccontato il padre del ragazzo, Mimmo – perchè voleva tornare in comunità dove era seguito e dove aveva iniziato il percorso di disintossicazione. Ma il giudice è stato inflessibile. Non si è reso conto di avere di fronte un ragazzo debole e spaventato…”. Due giorni prima di Capodanno mamma Michela e papà Mimmo sono andati a trovare Michele in carcere dove lo hanno trovato “pallido come un cencio”’, respirava a fatica e sembrava asmatico. Hanno chiesto di essere ricevuti dal direttore del carcere ma – viene raccontato nell’articolo – nessuno ha risposto. Hanno quindi chiesto che il figlio fosse sottoposto a visita medica e il medico che ha visto Michele ha poi riferito ai due genitori che il figlio “’ha il cuore forte come un toro”’. “Ma a mio figlio – ha raccontato la mamma – non e’ stata fatta ne una spirometria, ne’ un’analisi del sangue”. Una settimana dopo il giovane e’ morto per infarto.

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 La nostra inutile solidarietà a questi poveri genitori orfani di un figlio ventitreenne.
Troppo giovane per morire . Troppo ingiusta la sua morte.
E' vero: nessuno riesce a tutelare la salute di un detenuto.
Son vane le richieste di colloquio con i direttori delle carceri italiane.
Dove siano e cosa facciano ,oltre a percepire uno stipendio, ben pochi lo sanno.
La madre di una detenuta di Pontedecimo ha inviato una lettera alla direttrice del carcere per sollecitare cortesemente il visto su una delega per le pubblicazioni di matrimonio: nessuna risposta, la delega è stata firmata circa 2 mesi dopo.
 Il detenuto X di Marassi ha presentato richiesta di permesso di visita per una conoscente : da oltre 3 mesi attende l'autorizzazione.
 I genitori possono solo assistere, colloquio dopo colloquio, alla distruzione dei propri figli.
 Distruzione perpetrata con abuso di psicofarmaci, maltrattamenti, mancanza di cure tempestive.
Amanda ha una cicatrice in testa. Era caduta dal letto a castello durante la notte. E' stata assistita dagli agenti ma sarebbero stati necessari punti di sutura ma la scarsità di personale non consentiva il trasporto nel vicinissimo ospedale.                                                        
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