mercoledì 27 aprile 2011

Il bisogno di salute in carcere


IL BISOGNO DI SALUTE in carcere







Ricerca del Ministero della Giustizia francese, affinché "fosse realizzata una analisi approfondita delle relazioni esistenti, in termini di causa ed effetto, fra le condizioni di vita in carcere e il manifestarsi o l’aggravarsi delle patologie più frequenti, riscontrate nel contesto penitenziario"

Il lavoro è stato condotto somministrando ai detenuti un questionario per registrare le impressioni del loro stato presente riguardanti: modificazioni della sensibilità, della percezione di se stessi e del mondo, problemi e malesseri relativi ad una intimità turbata. I risultati sono poi stati messi a confronto con un gruppo sociologicamente affine ai reclusi ma in stato di libertà.


I sintomi riscontrati nella popolazione dei detenuti sono:

circa un quarto già dai primi giorni di detenzione soffre di vertigini;
l’olfatto è inizialmente ottenebrato, poi annullato nel 31 % dei casi;
entro i primi quattro mesi un terzo soffre di peggioramento della vista;
il 60% soffre entro i primi mesi di disturbi all’udito, per stati morbosi di iperacutezza;
fin dai primi giorni il 60% lamenta "perdita d’energia";
il 28% patisce sensazioni di freddo, anche nei mesi estivi.

Nello stato di detenzione tre patologie sono sovra-rappresentate: la dentaria, la dermatologica, la digestiva. Al momento dell’ingresso la patologia digestiva segue immediatamente quella dermatologica, a pari grado con la otorinolaringologica e polmonare; dopo sei mesi le affezioni della pelle diminuiscono di numero, le turbe dell’apparato digerente si associano a disturbi delle vie respiratorie (28%) ponendosi al secondo posto dopo le patologie dentarie.

In Italia, secondo dati ufficiali, (riferiti al periodo 1 gennaio 1999 - 20 settembre 1999) le persone detenute erano circa 50.000, contro la disponibilità di 35.000 posti letto. Del totale 13.000 sono extracomunitari, 15.000 tossicodipendenti, 2.500 sieropositivi per HIV, oltre 4.000 i sofferenti di turbe psichiche anche molto gravi.
 Le patologie infettive, psichiatriche e gastroenterologiche sono quelle maggiormente diffuse.

Da sottolineare che le patologie dell’apparato cardiovascolare colpiscono soggetti di età relativamente più bassa rispetto alla società esterna (40-50 anni). 
Frequenti sono anche le malattie osteoarticolari e le bronco-pneumopatie croniche ostruttive (la maggioranza dei detenuti consuma in media dalle 20 alle 40 sigarette al giorno). 
Di difficile gestione sono pure le malattie del ricambio e metaboliche, come il diabete mellito di tipo I e II che comportano l’osservazione di un determinato regime di vita (dieta, movimento, autogestione dei farmaci).
Predominano, fra le patologie infettive, le epatiti virali non A e l’infezione da HIV, in diversi stadi. Altre malattie sono la scabbia, la dermatofitosi, la pediculosi, l’epatite A e la tubercolosi. Le sintomatologie associate di frequenza ad eziologia infettiva sono febbre e diarrea.
L’AMAPI stima in circa 8500 i detenuti affetti da epatite.
 Sono da considerare preoccupanti pure i dati inerenti la tubercolosi, infatti nel 1998 sono stati segnalati 250 casi.
 Di contro la somministrazione dei farmaci di routine avviene entro poche ore o al massimo un giorno dopo la richiesta.
 Secondo un’indagine di Antigone gli psicofarmaci sono la categoria maggiormente somministrata, seguiti da antidolorifici, antinfiammatori, anti-ipertensivi e antibiotici. 
Questa graduatoria rimane quasi simile in tutti gli istituti visionati, ciò che differisce è la quantità: la somministrazione di psicofarmaci, anti-infiammatori e antidolorifici varia da percentuali del 70 -80% fino al 20 - 30% sul totale dei medicinali distribuiti.

Con Antigone si riflette che "È difficile comprendere quanto l’uso massiccio di psicofarmaci, sia la risposta ad un disagio psichico diffuso nel carcere oppure sia una strategia di controllo e un modo per mantenere l’ordine interno, soprattutto nelle sezioni di tossicodipendenti".

Patologie della reclusione

Nel doversi rapportare ad una "istituzione totale", per usare la nota definizione di Goffman, il soggetto deve abbandonare il suo modo di essere, le sue cose, il suo modo di pensare e di fare, cioè il modo di rappresentarsi a se stesso e agli altri,
 Dovrà ridefinirsi, non solo rispetto se stesso ma anche verso i nuovi compagni.
 La cornice normativa della rappresentazione è data dalle regole dell’istituto e dal sistema simbolico vigente.
 Il detenuto è spogliato del suo passato, gli è dato un presente obbligato, il futuro è la sua rieducazione o viceversa?
Avviene quindi questa spoliazione del soggetto all’ingresso in carcere, cioè sono recisi i contatti con il ruolo sociale che deteneva "prima"; viene privato degli effetti personali, cioè gli sono presi gli oggetti che lo potrebbero identificare (la perquisizione è una prassi normale di controllo e di disidentificazione); di uno spazio personale; della capacità di decidere autonomamente, in quanto altri decidono per lui; e impara a fare la "domandina", intesa nel suo "alto valore pedagogico e trattamentale"!. 
Si realizza in questo modo la totale dipendenza del soggetto - oggetto nei confronti dell’istituzione. Questa dipendenza psicologica e fisica si ripercuote nell’equilibrio della persona creando scompensi anche di grave entità.

Riportiamo i dati di una ricerca condotta sulle patologie immediatamente visibili raccolte durante interviste con detenuti in unità speciali. 

Le patologie più frequentemente riscontrate sono:

claustrofobia: l’isolamento in uno spazio chiuso e invariato provoca sensazioni di compressione spaziale, simili al panico claustrofobico. Se il regime permane inalterato si causerebbe al soggetto grave psicosi e senso di irrealtà. I ricercatori sono portati a pensare ad un "contagio psicotico" della popolazione detenuta in sezioni speciali, vista la sensibilità dei detenuti alle condizioni psicologiche dei compagni.

irritabilità permanente: manifestazione di profondi sentimenti di rabbia, senza possibilità di scaricarla. Molti detenuti si sentono "violati" in ogni istante delle loro giornate. Nel tempo questi disturbi evolveranno in patologie psicosomatiche.

depressione: mancando un obiettivo esterno, la rabbia viene rivolta contro se stessi e vissuta come depressione, la quale, se non più sopportata, si trasformerà in un motore di autodistruzione, con il passaggio all’atto in auto mutilazione e suicidio.

sintomi allucinatori: alcuni detenuti riferiscono di vedere su muri completamente bianchi macchie nere o strisce.

abbandono difensivo: è un ritiro proiettivo di se da un ambiente ostile. Lo scopo sembra essere di desensibilizzarsi al fine di diminuire le sensazioni di sofferenza.

ottundimento delle capacità intellettive, apatia: molti intervistati riferiscono di essere incapaci di concentrarsi. È da sottolineare come la diminuzione dell’abilità di focalizzare l’attenzione sia un chiaro segno di disinteresse sia per il mondo interiore che esterno, che, d’altra parte, è sempre uguale a se stesso ed immutabile!

disturbi psicosomatici: perdita di appetito, di peso, malessere generalizzato e aspecifico, esasperazione dei problemi medici preesistenti, disturbi visivi, tachicardia.


Si ritiene però che il carcere ordinario produca gli stessi segni di sofferenza, anzi sembra quasi che il regime ordinario aumenti i livelli di stress dei detenuti in quanto richiede loro un incessante autocontrollo, "basandosi sull’autogestione della pena e sull’osservazione del comportamento, non che sulla verifica continua del processo rieducativo [...]

I detenuti possono sopravvivere soltanto riducendo la distanza tra le proprie aspettative e la realtà della loro esistenza. Lo stress è insomma provocato. in larga misura, dall’indeterminatezza del regime, dalla frustrazione, dal gioco al ribasso delle proprie aspettative, che il regime impone incessantemente.


Si possono aggiungere come effetti della detenzione anche:

disturbi della personalità, con danno delle capacità individuali di pensiero e di azione autonoma; disculturazione: perdita dei valori e degli stili di vita che il soggetto possedeva prima dell’ingresso in carcere;
estraniamento: incapacità di adeguarsi ai mutamenti della vita sociale, una volta libero.



Da sottolineare che in Italia è stata condotta una sola indagine ad opera dell’Ufficio studi e ricerche del DAP, i risultati non sembrano ne invalidare ne confortare quanto già detto, tanto che si concludeva" Anche se la detenzione raramente riesce a rieducare il condannato, nella tragica realtà dei nostri istituti penitenziari, è inaccettabile sia sul piano dei diritti dell’uomo, che anche su quello meramente utilitaristico dell’interesse della società, che essa possa contribuire a deteriorare alcuni detenuti, colpendo in modo differenziale e discriminante proprio i soggetti meno difesi nella massa".

Fonte : www.ristretti.it/areestudio/salute/.../carcere.htm 

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