giovedì 28 aprile 2011

Vivere in carcere


Vivere in carcere



La prima curiosità: come viene attrezzato uno spazio così angusto perché diventi funzionale alla pari di quanto nelle nostre case lo è un vano cucina di almeno 12 mq e di un piccolo vano ripostiglio dove vengono sistemati di alimenti di consumo settimanale?

Prima di illustrare l’organizzazione di questo spazio dobbiamo capire come la cella si approvvigiona degli alimenti, quali sono quelli consentiti e quali sono gli strumenti di cui può disporre.


Cominciamo col dire che l’amministrazione a ciascun detenuto, prima di introdurlo nella cella, dove viene assegnato, consegna un cucchiaio, un bicchiere di plastica dura, una forchetta e due piatti di alluminio di profondità diversa. Niente coltelli.


Il primo interrogativo. Come può sbucciare la frutta o spezzettare le pietanze che vengono somministrate dalla struttura. La prima risposta: si arrangi.


Il coltello, qualsiasi tipo di coltello è un pericolo alla sicurezza.


Il detenuto ideale per l’amministrazione sarebbe quel soggetto che inserito in una cella vi restasse 24 ore al giorno, consumasse i pasti fornitigli, usasse soltanto il vestiario e vettovaglie fornitegli.


Vediamo questo detenuto “ideale” come dovrebbe trascorrere la giornata:
Si dovrebbe alzare la mattina alle sette, provvedere alle pulizie personali, alle otto è al cancello della sua cella con il bicchiere in mano ad attendere il carrello per avere il latte o altra bevanda calda.

 Apre la televisione che resterà aperta tutta la giornata.
 Lava il bicchiere nel lavandino dove il rubinetto, come tutti gli altri rubinetti, ha un congegno a molla, per cui eroga acqua per pochi secondi e poi si chiude automaticamente sino a quando non premi di nuovo il pulsante
. Dopo fa due passi avanti ed indietro, lungo i quattro metri di lunghezza della stanza di pernottamento
Alle otto e trenta, se ha acquistato il giornale, ad inizio settimana, gli viene distribuito e trascorre mezzora leggendo le notizie del giorno prima.
 Poi ha due possibilità uscire per due ore in uno spoglio e recintato cortile di pochi centinaia di metri quadrati assieme agli altri dove può soltanto comminare da Nord a Sud o da Est ad Ovest e comunicare con gli altri, oppure restare in camera ed attendere che le lancette del suo orologio segnino le ore 12,00.
 A quel punto sposta il tavolino posto sotto la finestra della camera di pernottamento e lo pone ad centro accanto ai letti, stende un panno ed apparecchia la tavola poi con i piatti va al cancello per ritirare le pietanze che con in altro carrello gli vengono distribuite. Consuma il suo fugale pranzo, sempre con la televisione accesa e si porta nuovamente al lavandino per lavare piatti e posate che non sa dove conservare.
 Ha facoltà di fruire altre due ore di passeggio nel cortile poi deve rientrare in cella ed attendere l’altro appuntamento delle ore 18,00 per consumare la cena con il solito rituale. 
Alle 21,00 riceve la buona notte dall'agente che chiude a chiave il blindo della cella già chiusa a chiave dal cancello di ferro.
E così giorno dopo giorno.
 Venti ore in cella e quattro ore nel cortile.
 Con gli stessi rumori, con gli stessi odori, con le stesse persone a fare tutto quello che altri ti dicono di fare e quando fare.
 L’unica libertà che ti è concessa e l’uso del bagno a tua discrezione puoi utilizzarlo quanto tu scegli di andarci.
 E’ uno dei pochi spazi dove non si accede aprendo con la chiave, che altri detengono, la porta.

Ma così, per fortuna, non è!! Le cose funzionano diversamente.

 Il detenuto modello desiderato dall’agente penitenziario non esiste. 
Non c’è perché il detenuto non ha la natura della bestia da stalla o da soma ma è una persona, sradicato dal suo mondo esterno, con le sue abitudini, con i suoi vizi, con i suoi pensieri, con i suoi bisogni, con i suoi desideri, con la sua personalità
. E poi anche perché , almeno teoricamente, vi è un ordinamento penitenziario che prende un’area trattamentale fatta di attività che devono essere organizzate per impegnare il detenuto nell’arco della giornata al fine di promuovere un’azione di reinserimento sociale dello stesso: fanno discendere questo impegno dal principio costituzionale del fine rieducativi che la pena deve avere.
 Trascuriamo in questa fase di valutare la idoneità e la congruità di mezzi e di iniziative messi in campo per il perseguimento del fine.
Guardiamo, invece, come la persona che entra in carcere comprime e reprime le proprie abitudini ed il suo modo di vita quotidiana adeguandosi alla nuova realtà.
Guardiamo come riesce, nel rispetto dei limiti imposti, ad organizzarsi gli spazi, ad adeguarsi alle nuove coordinate spazio-temporali.
Sì perché in carcere la percezione del tempo e dello spazio, per la stessa persona, in carcere è diversa che all’esterno.
Il tempo è dilatato, non passa mai.
Gli spazi in cui si devono svolgere le funzioni elementari della vita quotidiana sono cambiati obbligano a modificare il comportamento: non mangi più in un grande tavolo che altri hanno imbandito, non mangi nella tua stanza da pranzo e nella zona pranzo della tuta cucina, non mangi assieme ai tuoi, non bevi ciò che preferisci, non mangi ciò che vorresti e quanto vorresti; non dormi nel tuo letto a due piazze, sui tuoi materassi con il tuo cuscino, con le tue coperte, non dormi nella tua camera da letto con la porta chiusa, da solo o con chi vuoi; non dormi su un letto con testiera con accanto un comodino con su un punto luce, dormi su una brandina posta accanto o sotto o sopra ad altra, nello stesso spazio dove altri ti dicono chi altro deve vivere e dormire con te, sporgente su un corridoio, che ti costringe a perdere la tua privacy, chiunque passi dal corridoio ti vede dormire o ti vede sdraiato sullo stesso dove sei costretto a stare buona parte della giornata per non stare seduto su uno scomodissimo sgabello senza spalliera.


Il tempo che fuori definiamo “libero” per differenziarlo dal resto del tempo di una giornata dedicata al lavoro o ad altra attività qui non puoi chiamarlo nemmeno più libero, sia perché libero non è, sia perché non hai motivo di qualificarlo è tutto uguale.
Trascorri il tempo con i ritmi che altri impongono.
I periodi della giornata autogestiti sono alienanti per quanti non li riempiono con una serie di piccole, insignificanti iniziative.
La cosa che più pesa non è tanto l’ozio quanto l’attesa del tempo che si sa essere destinato all'ozio.

 E’ terribile svegliarsi la mattina e non avere chiaro il programma delle cose da fare, o peggio non sapere cosa fare, non riuscire ad immaginare e costruire un impegno; uno qualsiasi purchè sia capace di occuparti.
E’ proprio questo bisogno che mette in moto una serie di iniziative del detenuto, e con istinto animalesco, costruisce la sua capanna, personalizza gli spazi, lui si adatta allo spazio, lo spazio si trasforma e si adatta a lui, si costruisce gli oggetti che lo aiutano a stare meglio, a svolgere al meglio le funzioni quotidiane.

Essere attivi vuole dire proiettare la propria personalità che altrimenti finirebbe per atrofizzarsi.
L’insieme di spazi di relazioni autonome tra detenuti, non condizionate dal regime carcerario costituiscono un sottosistema che ha le sue regole, la sua cultura, la sua umanità, la sua dignità.. 



Di Pasquale Ceasar Pontoriero - Facebook


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Buon giorno a tutti, amici del Blog..
Adesso potete ammirare anche la mia cella di pernottamento.
Vedete com’è carina. Io qui dentro ci passo venti ore al giorno.
Perchè mi trovo bene così.. solo con me stesso.
Qualche volta un pensiero strano bussa alla mia coscienza, ma io non lo faccio entrare, sono troppo occupato…
Vedete la tv.. ci concedono solo dieci canali visivi. Dicono che lo fanno per la nostra vista.
Anche in questo il carcere è onesto. Rubano anche l’evidenza dei fatti.
Complimentoni.
Alla prossima amici..
da Giovanni Zito
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L’umanità quando si stringe intorno a una parole.
Il diavolo e la sua tragedia.
Con la prima strategia si può identificare un malvagio, o un gruppo di malvagi.
La tragedia sono eventi, come l’effetto di una concatenazione di cause.
Il mio disegno può spiegare questa assurda realtà. Vi sono corpi scartati dalla foresta umana.
Io vivo in questi luoghi isolati, dove il tempo conta la sua ora.
Ho preso corpo e voce di una pefetta burrasca.
La parola libertà dentro di me.
Ma io resto fermo dentro un elenco di diritti.
Tracima questa voglia, non si rinchiude in questo e quel traguardo.
L’interpretazione del diavolo è semplicistica.
Hanno scritto alcuni studiosi di questo fenomeno che nella mia terra, la “Sicilia”, quella che vedete la giù oltre il mare, sia un fatto antropologico, mentre nelle altre zone d’Italia sia un fatto sociologico.
Sembrano delle malattie, e invece sono solo giochi di parole, per distinguere l’una dall’altra le persone.
Queste costellazioni di eventi fanno sì che eventi di venti anni fa rimangano funesti per tutti o per pochi, ancora non si sa.
Purtroppo non si guarda mai indietro, e non sono neanche lungimirante per il mio futuro.
La libertà spalanca approdi nella mia mente.
Leva l’ancora e salpa generosa verso il faro che stende un tappeto di luce sulla mia notte.
Cerco spunti di appoggio per ali in volo. Così vi mostro il mio quotidiano vivere la mia cella. Il disegno della mia locuzione, cercando di fare breccia nel corpo umano.
Dipingo questo mio angolo di vuoto, di non vita, perchè non sia una scena di un film.
La raffigurazione del medesimo disegno non rappresenta altro che l’uccisione di un altro essere umano. Democraticamente si può fare anceh questo.
I verdi anni sono lontani per me. Sono invecchioto da un potere di ipocrisia e beceria.
La libertà è l’onda che si sta allargando di carcere in careere.
Questi posti che si riempiono e si svuotano, solo per chi sconta la propria pena.
Io la mia non la sconterò mai, perchè sono ergastolano ostativo. Perchè non potrò mai scontare una pena senza fine. Posso solo capire perchè si fa parte del grande gioco di Dante.
Ecco il mio disegno.
Rappresenta tutto questo. D’altronde non ho altro da mostrarvi, perchè quando non si conosce l’altro lato del mondo si pensa di affogare. Quindi la paura oltre il muro bianco e di tutti i passi avanti e indietro non contano.
Ma io continuerò e lotterò per la libertà.
Giovanni Zito

Fonte : Le Urla dal Silenzio

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