martedì 19 aprile 2011

Lo studio del dott. Zimbardo sul carcere

Lo studio del dott. Zimbardo sul carcere 

Il ricercatore più importante nel campo della cattività è stato il dr. Philip Zimbardo. Nel suo lavoro per l'US Office of Naval Research, il dr. Zimbardo e i suoi colleghi si interessarono specialmente del comportamento in stato di detenzione.

 Tra il '72 e il '73 essi condussero il loro studio più pittoresco, i risultati e i metodi del quale si rivelarono estremamente controversi. Daremo prima uno sguardo all'esperimento e torneremo quindi sulle implicazioni. 


Apparentemente, lo scopo di Zimbardo era quello di studiare le dinamiche di gruppo in una prigione; egli era interessato ad analizzare se, per es., gli abusi in una prigione scaturiscono dal fatto che i detenuti hanno alle spalle una lunga lista di reati contro la società, o se invece, il potere intrinseco di un lavoro come quello delle guardie carcerarie rendesse costoro più vendicativi. 


Zimbardo perciò, mise annunci pubblicitari sul giornale locale, che richiedevano uomini in buona salute per partecipare ad un esperimento sulla "vita in carcere".
 Su 75 persone, che ne avevano fatto richiesta, ne vennero scelte 24, le più stabili dal punto di vista emotivo; nessuna di loro aveva precedenti criminali o di qualsiasi altra attività deviante
. A metà dei soggetti venne arbitrariamente assegnato il ruolo di ''guardie" e all'altra metà quello di "prigionieri".
 Ai prigionieri fu detto di rendersi disponibili in una certa domenica, quando sarebbe iniziato l'esperimento.
 Le guardie vennero invece convocate per una riunione, prima dell'inizio dell'esperimento, in cui incontrarono il "direttore del carcere" (Zimbardo) e un "capoguardia" (uno dei suoi assistenti).


 Fu detto loro che, entro i limiti di considerazioni morali e pratiche, avrebbero dovuto mantenere un grado di ragionevole ordine nella prigione; sul come, specificatamente, ciò dovesse esser fatto, deliberatamente, non si entrò in dettagli.
 Essi furono avvertiti che, qualora ci fossero stati tentativi di fuga e simili, il loro compito era di assicurare che questi non riuscissero.
 Avrebbero lavorato a turni e avrebbero dovuto redigere dei rapporti sia a fine turno sia in caso di incidenti di una certa importanza.
 Volutamente, non venne dato loro nessun codice di comportamento, se non cenni minimi, sul trattamento da riservare ai prigionieri, sebbene fosse chiaro che era vietata qualsiasi forma di punizione fisica. Per rendere il tutto ancora più realistico le guardie aiutarono a costruire la parte finale della prigione. 

Questa era progettata per essere una prigione funzionale ma non necessariamente piacevole in ogni dettaglio (essa venne in realtà costruita nel seminterrato del Dipartimento di Psicologia della Stanford University). Le celle erano di circa 2 x 3 metri ed avevano delle porte, con sbarre, dipinte di nero. C'era un cancello blindato all'entrata del braccio e una porta di osservazione. Una piccola stanza fungeva da cortile per l'aria ed una, ancora più piccola (70 x 70 x 220 cm) che non era illuminata, veniva usata come cella di segregazione. L'intera prigione era predisposta per la sorveglianza audio e video. 


L'esperimento vero e proprio ebbe inizio senza avvertire coloro cui era stato assegnato il ruolo di prigionieri. Zimbardo era riuscito ad ottenere la collaborazione della polizia della città di Palo Alto ed i "prigionieri" vennero così prelevati da macchine della polizia.

 Gli ufficiali comunicarono loro che venivano arrestati per sospetto di rapina a mano armata o furto, l'informavano dei loro diritti e li ammanettavano dopo averli sottoposti ad accurata perquisizione (spesso sotto gli sguardi incuriositi dei vicini).
 Venivano condotti quindi al posto di polizia e lì fotografati e schedati (impronte digitali). Venivano quindi chiusi in una cella prima di essere bendati e condotti, da uno degli sperimentatori, alla "prigione".
 Per tutta la durata dell'arresto gli ufficiali di polizia mantennero un atteggiamento estremamente riservato: essi non diedero alcuna indicazione che l'arresto avesse qualcosa a che fare con lo studio sulla falsa prigione.
 All'arrivo i prigionieri vennero spogliati di ogni abito, furono irrorati con una sostanza che si supponeva fosse un disinfettante chimico (ma in realtà era semplicemente deodorante spray), dovettero quindi rimanere soli e nudi all'aria per un certo tempo.
 Furono nuovamente fotografati e, finalmente, fu data loro la divisa della prigione.
 Le guardie indossavano pantaloni e camicie kaki, avevano in dotazione un fischietto da poliziotto, un manganello e occhiali a specchio che rendevano invisibili gli occhi.
 Ogni detenuto indossava un ampio camice di cotone con un numero di identificazione stampato davanti e di dietro, niente mutande (il che li costringeva a sedere in pose femminili), una catena leggera e chiusa attorno a una caviglia, sandali di gomma e un copricapo ricavato da una calza di nylon per eliminare qualsiasi differenza nella lunghezza dei capelli (in qualche prigione i carcerati hanno la testa rasata). 
Quando tutte le celle furono riempite, il capo-guardia salutò i detenuti e lesse loro le norme dell'istituto (sviluppate insieme da guardiani e capo-guardia), che avrebbero dovuto imparare a memoria e seguire
. Da questo momento in poi ci si sarebbe riferiti a loro col solo numero.
Ai prigionieri venivano distribuiti tre leggeri pasti al giorno, si permettevano visite controllate alla toilette e due ore al giorno per il privilegio di scrivere e leggere lettere.

 Venne dato loro lavoro a una paga oraria che permetteva di mettere insieme 15 dollari al giorno, come gli era stato promesso.
 Erano permessi due colloqui a settimana, così come per le serate cinematografiche e i periodi d'aria. Tre volte al giorno i detenuti venivano allineati per la conta - queste parate coincidevano con l'inizio di un nuovo turno per le guardie. 



I risultati di questo esperimento furono sconvolgenti.

 Fin dall'inizio si osservò che i detenuti assumevano un atteggiamento remissivo laddove le guardie divenivano sempre più aggressive. Proibito loro qualsiasi tipo di punizione fisica, essi facevano sempre più ricorso ad aggressioni verbali.
 Gravi sintomi di stress emersero in cinque dei prigionieri già al 20 giorno.
 Quattro di essi presentavano un quadro comune che includeva depressione, crisi di pianto, attacchi d'ira e d'ansia acuta.
 lì quinto dovette essere rilasciato prematuramente dopo che si era manifestata una eruzione cutanea dovuta al duro trattamento.
 Dei rimanenti solo due affermarono di non voler rinunciare alla loro paga per esser rilasciati in anticipo. Ma quando l'esperimento fu finito, alcuni giorni prima del previsto, tutti i detenuti ne furono entusiasti. 
Al contrario le guardie sembrarono angustiate dalla decisione di fermare l'esperimento. Nessuno di loro era mai venuto al lavoro fuori orario e invero, diverse volte, le guardie erano rimaste in servizio, fuori orario, senza lamentarsi e senza percepire pagamenti straordinari. 

Senza dubbio la simulazione era diventata un'esperienza estremamente reale per la maggior parte del tempo (ed estremamente spiacevole per i prigionieri).

 Zimbardo e i suoi colleghi controllavano - senza che questi lo sapessero - sia le guardie sia i detenuti. Il 90% delle conversazioni private dei detenuti era direttamente collegato alle immediate condizioni della prigione - cibo, privilegi, maltrattamenti.
 Soltanto per 1/10 del loro tempo essi parlavano delle loro vite fuori del carcere. 
Come risultato, i detenuti venivano a conoscere sorprendentemente poco l'uno dell'altro e l'eccessiva concentrazione sulle vicissitudini della loro situazione attuale rendeva ancora più oppressiva l'esperienza del carcere, dato che, invece di evadere da essa, avendone la possibilità, nella privacy delle loro celle, essi continuavano a permettere che questa dominasse i loro pensieri e le loro relazioni sociali.
 E quando i detenuti venivano intervistati, essi spendevano una gran parte del tempo a lamentarsi l'uno dell'altro. 

Similmente, le guardie passavano la maggior parte del loro tempo libero a parlare del "problema" prigionieri.

 Avevano inoltre la tendenza ad essere sempre più crudeli quando pensavano di esser visti dagli sperimentatori.
 Essi continuavano ad intensificare il loro comportamento aggressiva anche quando era chiaro a tutti che il deterioramento dei prigionieri era visibile e marcato. 
Una misura di quanto reale fosse diventato l'esperimento per la maggior parte dei partecipanti è che quando i detenuti vennero visitati da un vero sacerdote, molti si presentarono col loro numero e non col loro nome; altri ancora gli chiesero un avvocato per tirarsi fuori di lì.
 E quando alcuni apparvero davanti all'"ufficio per la libertà condizionale" (parole board), tre di essi affermarono di voler rinunciare alloro compenso per esser rilasciati. Ancora, quando il presidente dell'ufficio (lo stesso Zimbardo) disse che le loro richieste sarebbero state prese in considerazione, tutti i prigionieri se ne tornarono tranquilli alle loro celle sebbene, in realtà, essi potessero uscire semplicemente facendone richiesta.

Indubbiamente uno studio impressionante [...].
Qualunque sia lo scopo apparente di questa ricerca, le sue implicazioni con i prigionieri di guerra sono chiare.

 La situazione psicologica che i prigionieri affrontano è simile per molti aspetti a quella che incontrano i prigionieri di guerra (PDG): la sorpresa dell'arresto, l'essere bendati prima del trasferimento alla prigione, l'aspetto collettivo del "saluto" all'arrivo. In carcere gli uomini sono chiamati con nomi e con numeri; solo i PDG vengono chiamati con i soli numeri [...].
L'esperimento di Zimbardo non è che uno dei molti che, fin dalla guerra di Corea in particolare, hanno cominciato ad analizzare la prigionia, la tortura e l'interrogatorio su basi più scientifiche. La stessa guerra di Corea produsse un'intera serie di studi su coloro che avevano collaborato e sullo spinoso problema del tradimento e della lealtà. Ma non sono mancati esperimenti di laboratorio - compresi molti studi sulla sottomissione forzata - su come usare le minacce, sulla psicologia della sofferenza e molto altro..
:

a parte il fatto che è assolutamente abominevole dal punto di vista deontologico...

è un esempio di deumanizzazione alla Bar-tal.. che ne dite? commenti?
 Fonte:www.studentibicocca.it




Gli stessi ricercatori persero il senso della realtà: Zimbardo, che agiva come il guardiano della prigione, sottovalutò il comportamento eccessivo delle guardie sul "prigioniero" Christina Maslach.
"Solo poche persone sono in grado di resistere alle tentazioni fornite dal potere e dal dominio su altri soggetti. Io stesso scoprii di non far parte di questa ristretta schiera," dichiarò poi il ricercatore nel suo libro The Lucifer Effect.

Nessun commento:

Posta un commento