Lettera di una incarcerata. L'umanità nell'inferno.
Ho deciso di pubblicare questa lettera inviatami. Ne ho parlato a lungo dei problemi del nostro Sistema Carcerario, anche tramite inchieste e battaglie per rendere giustizia alle morti di tanti ragazzi come quella di Niki Aprile Gatti. Io ho un opinione purtroppo non popolare sulla effettiva necessità del carcere.
Purtroppo viviamo in un Sistema che neanche rispetta la Costituzione, perchè se la rispettasse forse le carceri potrebbero avere una loro utilità. Invece le galere sono proprio funzionali al Sistema: sono delle discariche sociali, luoghi che servono a condannare il recluso( anche se più del 40 per cento dei carcerati sono in attesa di giudizio, quindi innocenti fino a prova contraria) per sempre al di fuori della Società e il più delle volte lo rende recidivo: la cosiddetta"fine pena, mai"!
Travaglio in una intervista alla rivista Vanity Fair dice:"se rubi, devi andare dritto in galera.". Ecco, sta qui la grande differenza di vedute. Io invece dico:"se rubi, io cerco di capirne il motivo e farò in modo che restituirai ciò che hai rubato". Sembra banale, ma in questa frase è racchiuso tutto il mio pensiero.
La lettera è di una ragazza, e scoprirete quante storie ci sono da raccontare dietro queste "delinquenti". Oppure vittime?
Eccomi qui, dalla mia stanza semibuia, di fronte ad un foglio bianco a provare a raccontarti un po’ di quel “lato umano” della vita carceraria di cui mi avevi chiesto.
Purtroppo viviamo in un Sistema che neanche rispetta la Costituzione, perchè se la rispettasse forse le carceri potrebbero avere una loro utilità. Invece le galere sono proprio funzionali al Sistema: sono delle discariche sociali, luoghi che servono a condannare il recluso( anche se più del 40 per cento dei carcerati sono in attesa di giudizio, quindi innocenti fino a prova contraria) per sempre al di fuori della Società e il più delle volte lo rende recidivo: la cosiddetta"fine pena, mai"!
Travaglio in una intervista alla rivista Vanity Fair dice:"se rubi, devi andare dritto in galera.". Ecco, sta qui la grande differenza di vedute. Io invece dico:"se rubi, io cerco di capirne il motivo e farò in modo che restituirai ciò che hai rubato". Sembra banale, ma in questa frase è racchiuso tutto il mio pensiero.
La lettera è di una ragazza, e scoprirete quante storie ci sono da raccontare dietro queste "delinquenti". Oppure vittime?
Eccomi qui, dalla mia stanza semibuia, di fronte ad un foglio bianco a provare a raccontarti un po’ di quel “lato umano” della vita carceraria di cui mi avevi chiesto.
Non è facile ancora riuscire a parlarne..o meglio..a scriverne serenamente, non a caso scelgo di iniziare omettendo i primi cinque mesi della mia detenzione che di umano hanno avuto ben poco; posso solo accennarti, e poi salto a piè pari l’intero periodo, che i primissimi giorni dal mio arresto che alla fine sono diventati in tutto 35, sono stata rinchiusa in una cella asfissiante, senza vedere la luce del sole, buia e umida, con le pareti incrostate dalle peggio cose che tu possa immaginare e anche per qst maleodorante.
Ancora mi capita di svegliarmi nella notte urlando con la paura di aprire gli occhi e ritrovarmi là dentro. E’ un’immagine, quella, che non riesco a cancellare dalla mente e che non so quanto impiegherò a rimuoverla..forse mai del tutto. Per questo arrivo direttamente al 20 gennaio , premettendoti che dal 5 settembre (l’arresto) mi trovavo in isolamento, quindi senza poter avere alcun contatto con le altre detenute e che dal 23 dicembre avevano (= l’autorità giudiziaria) deciso, come si fa con un pacco postale, di spostarmi dal carcere di Livorno a quello di Civitavecchia..in cui l’unico vantaggio rispetto alla condizione precedente era di avere una cella molto spaziosa luminosa e pulita anche se nel reparto infermeria quindi, d fatto, ancora più isolata.
Dopo che un paio di giorni prima avevo avuto(l’unica) reazione di rabbia contro alcune agenti a causa dello stress (ma non solo) dovuto a quella perdurante condizione di innaturale solitudine, vengo chiamata nell’ufficio dell’Ispettrice (la responsabile della Sezione femminile) la quale mi comunicava che il P.M. aveva deciso di spostarmi in sezione con le detenute comuni ma (attenzione attenzione) categoricamente con straniere che non parlassero l’italiano.
Io la guardai un attimo in silenzio pensando che forse avesse fatto una battuta. Tu non sai che nel carcere di Civitavecchia sono stati convogliati tutti gli arresti che avvengono allo scalo di Fiumicino, sia per un discorso di giurisdizione territorialmente competente, ma soprattutto perché le carceri romane non ce la fanno più ad assorbire le centinaia di persone all’anno, fermate tutte per il medesimo reato, tutte provenienti dal Sud America, al massimo dall’Europa dell’Est e solo in minima percentuale dal Medio Oriente.
Quindi quando io mi sono trovata a passare alla sezione, che era posta al primo piano dell’edificio il che significava vedere il cielo più vicino, su 40 detenute solo 8 erano italiane e tutte già divise in coppie, quindi sarebbe stato comunque altamente improbabile stare con una di loro, ma sinceramente io non vedevo dove e quale fosse il problema (boh forse pensavano di farmi subire l’ennesima cattiveria).
Comunque dopo 5 mesi in solitaria mi ritrovo in una cella 3m x 4m con due ragazze sudamericane, di cui ti ho già parlato qualche giorno fa, a cercare di ritagliare degli spazi già minimi per sistemare i miei effetti personali e prendere posizione nel mio nuovo letto che a definirlo tale ci vuole un grande sforzo d fantasia, quindi decisamente “branda”.
Ancora mi capita di svegliarmi nella notte urlando con la paura di aprire gli occhi e ritrovarmi là dentro. E’ un’immagine, quella, che non riesco a cancellare dalla mente e che non so quanto impiegherò a rimuoverla..forse mai del tutto. Per questo arrivo direttamente al 20 gennaio , premettendoti che dal 5 settembre (l’arresto) mi trovavo in isolamento, quindi senza poter avere alcun contatto con le altre detenute e che dal 23 dicembre avevano (= l’autorità giudiziaria) deciso, come si fa con un pacco postale, di spostarmi dal carcere di Livorno a quello di Civitavecchia..in cui l’unico vantaggio rispetto alla condizione precedente era di avere una cella molto spaziosa luminosa e pulita anche se nel reparto infermeria quindi, d fatto, ancora più isolata.
Dopo che un paio di giorni prima avevo avuto(l’unica) reazione di rabbia contro alcune agenti a causa dello stress (ma non solo) dovuto a quella perdurante condizione di innaturale solitudine, vengo chiamata nell’ufficio dell’Ispettrice (la responsabile della Sezione femminile) la quale mi comunicava che il P.M. aveva deciso di spostarmi in sezione con le detenute comuni ma (attenzione attenzione) categoricamente con straniere che non parlassero l’italiano.
Io la guardai un attimo in silenzio pensando che forse avesse fatto una battuta. Tu non sai che nel carcere di Civitavecchia sono stati convogliati tutti gli arresti che avvengono allo scalo di Fiumicino, sia per un discorso di giurisdizione territorialmente competente, ma soprattutto perché le carceri romane non ce la fanno più ad assorbire le centinaia di persone all’anno, fermate tutte per il medesimo reato, tutte provenienti dal Sud America, al massimo dall’Europa dell’Est e solo in minima percentuale dal Medio Oriente.
Quindi quando io mi sono trovata a passare alla sezione, che era posta al primo piano dell’edificio il che significava vedere il cielo più vicino, su 40 detenute solo 8 erano italiane e tutte già divise in coppie, quindi sarebbe stato comunque altamente improbabile stare con una di loro, ma sinceramente io non vedevo dove e quale fosse il problema (boh forse pensavano di farmi subire l’ennesima cattiveria).
Comunque dopo 5 mesi in solitaria mi ritrovo in una cella 3m x 4m con due ragazze sudamericane, di cui ti ho già parlato qualche giorno fa, a cercare di ritagliare degli spazi già minimi per sistemare i miei effetti personali e prendere posizione nel mio nuovo letto che a definirlo tale ci vuole un grande sforzo d fantasia, quindi decisamente “branda”.
Superato il primo step, si trattava di cominciare a comunicare con persone (che per la prima volta dopo del tempo) non fossero delle agenti e che parlavano un’altra lingua.
Diciamo che mi è andata abbastanza bene perché lo spagnolo è comprensibilissimo, e infatti quel periodo mi è servito almeno a rendermelo orecchiabile e capire i dialoghi pur mancandomi (ancora) la parte grammaticale che cercherò di recuperare..non s mai!!!.
Le mie nuove inquiline erano entrambe molto giovani, una addirittura appena 18enne, boliviana, aveva portato alcuni ovuli di cocaina tenendolo nascosto ai familiari che non sapevano affatto che fosse in italia e tanto meno in carcere.
Diciamo che mi è andata abbastanza bene perché lo spagnolo è comprensibilissimo, e infatti quel periodo mi è servito almeno a rendermelo orecchiabile e capire i dialoghi pur mancandomi (ancora) la parte grammaticale che cercherò di recuperare..non s mai!!!.
Le mie nuove inquiline erano entrambe molto giovani, una addirittura appena 18enne, boliviana, aveva portato alcuni ovuli di cocaina tenendolo nascosto ai familiari che non sapevano affatto che fosse in italia e tanto meno in carcere.
Mi fece subito molta tenerezza perché credimi era una bambina che per poche migliaia d euro aveva rischiato la vita, prima della galera, ingerendo quella merda. Spero che abbia capito che la sua vita non vale certo quei due soldi.
L’altra ragazza invece era molto più furba..arrestata per il medesimo motivo, insieme ad una masnada d altri amici (tutti maschi) messicani, portandola in una panciera avvolta intorno alla vita con del nastro isolante.
L’altra ragazza invece era molto più furba..arrestata per il medesimo motivo, insieme ad una masnada d altri amici (tutti maschi) messicani, portandola in una panciera avvolta intorno alla vita con del nastro isolante.
Comunque tutto sommato come prime concelline sono state una piacevole compagnia, mi hanno spiegato come funzionavano gli orari della distribuzione dei pasti (che non toccavo), della socialità, delle pulizie che dovevamo fare, i giorni della spesa, quelli per presentare richieste varie, di quali fossero le assistenti meno severe, insomma tutte le cose essenziali per iniziare la vita da detenuta“comune”.
Con loro sono rimasta circa un mese, e ricordo che la sera dopo le 7 quando finiva la socialità, cioè le due ore in cui è consentito ricevere un paio di detenute d altre celle oppure spostarsi ed essere ospitata, rimanevamo di nuovo noi tre e dato che era quello il momento della giornata in cui era più forte la malinconia e più facile avvertire la tristezza soprattutto dopo che serravano il blindo, che sembrava ti strizzassero il cuore ad ogni mandata, allora cercavamo di parlare o guardare insieme la tv…trasmissioni (tipo il G.F sob!!!!) di cui non mi ero mai interessata, ma che almeno anche loro potevano capire e sulle quali potevamo fare qualche risata, oppure parlavamo dei nostri familiari, e a loro chiedevo soprattutto dei luoghi nei quali vivevano e capivo quanto fosse forte la loro sofferenza per l’enorme distanza che le separava da casa.
Questo è un piccolo assaggio dei miei primi contatti umani in quell’ambiente. Posso dirti che in 10 mesi io non ho incontrato nessuna vera criminale, non ho mai subito da parte di nessuna d loro alcun tipo di violenza fisica o psicologica, nessuna minaccia o intimidazione, ho visto invece tante lacrime e percepito tanto dolore, le pareti di quei posti trasudano di sofferenza persino l’aria che respiri è pregna di quel pessimo odore.
Con questa chiudo la prima parte del mio racconto.
Con loro sono rimasta circa un mese, e ricordo che la sera dopo le 7 quando finiva la socialità, cioè le due ore in cui è consentito ricevere un paio di detenute d altre celle oppure spostarsi ed essere ospitata, rimanevamo di nuovo noi tre e dato che era quello il momento della giornata in cui era più forte la malinconia e più facile avvertire la tristezza soprattutto dopo che serravano il blindo, che sembrava ti strizzassero il cuore ad ogni mandata, allora cercavamo di parlare o guardare insieme la tv…trasmissioni (tipo il G.F sob!!!!) di cui non mi ero mai interessata, ma che almeno anche loro potevano capire e sulle quali potevamo fare qualche risata, oppure parlavamo dei nostri familiari, e a loro chiedevo soprattutto dei luoghi nei quali vivevano e capivo quanto fosse forte la loro sofferenza per l’enorme distanza che le separava da casa.
Questo è un piccolo assaggio dei miei primi contatti umani in quell’ambiente. Posso dirti che in 10 mesi io non ho incontrato nessuna vera criminale, non ho mai subito da parte di nessuna d loro alcun tipo di violenza fisica o psicologica, nessuna minaccia o intimidazione, ho visto invece tante lacrime e percepito tanto dolore, le pareti di quei posti trasudano di sofferenza persino l’aria che respiri è pregna di quel pessimo odore.
Con questa chiudo la prima parte del mio racconto.
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