I volontari carcerari criticano il procuratore di Torino
di Davide Pelanda
«Da anni appoggiamo la lotta degli ergastolani per l'abolizione dell'ergastolo, una pena disumana. Già nel 2007 il nostro fondatore, Don Oreste Benzi, dopo aver incontrato gli ergastolani di Spoleto, decine e decine di uomini in carcere ininterrottamente da 20-30 anni e senza prospettive di uscire, affermava che questa pena priva di qualsiasi prospettiva risulta crudele e degradante».
Esordiscono così i volontari carcerari dell'Associazione - Comunità "Papa Giovanni XXIII", prendendo posizione contro un articolo comparso su "Il Fatto Quotidiano" del 27 febbraio scorso a firma di Bruno Tinti, Procuratore del Tribunale di Torino.
Esordiscono così i volontari carcerari dell'Associazione - Comunità "Papa Giovanni XXIII", prendendo posizione contro un articolo comparso su "Il Fatto Quotidiano" del 27 febbraio scorso a firma di Bruno Tinti, Procuratore del Tribunale di Torino.
In particolare l'associazione di volontariato in carcere critica la frase dell'articolo che dice testualmente: «Ergastolo, "Fine pena mai", cosa indegna di uomini civili! Stupidaggini. Le pene detentive, in Italia, non sono mai quelle che sembrano. Trent'anni di prigione, in concreto, sono circa otto anni e sette mesi. Capisco che pensate sia una balla, ma vi giuro che è proprio così».
«Incontriamo ogni settimana decine e decine di persone condannate all'ergastolo, senza speranza, ostative ai benefici penitenziari - osservano nella critica i volontari della "Papa Giovanni XXIII" - persone che sono in carcere dal 1979, ragazzi di 40 anni che sono stati condannati all'ergastolo a 18 anni e che non sono mai usciti, neanche per il funerale del padre. Uomini che hanno vissuto più tempo della loro vita in carcere che fuori e che vivono la pena sulla propria pelle, giorno dopo giorno, anno dopo anno, da decenni. Noi li incontriamo - proseguono ancora i volontari - sono sempre lì: estate, inverno, Natale e Pasqua. Non escono di giorno e non hanno la cella del carcere come letto dove rientrare per dormire. Ce l'hanno come tomba. Noi vediamo il tempo scorrere sui loro volti, settimana dopo settimana, e lasciare solchi profondi».
«Incontriamo ogni settimana decine e decine di persone condannate all'ergastolo, senza speranza, ostative ai benefici penitenziari - osservano nella critica i volontari della "Papa Giovanni XXIII" - persone che sono in carcere dal 1979, ragazzi di 40 anni che sono stati condannati all'ergastolo a 18 anni e che non sono mai usciti, neanche per il funerale del padre. Uomini che hanno vissuto più tempo della loro vita in carcere che fuori e che vivono la pena sulla propria pelle, giorno dopo giorno, anno dopo anno, da decenni. Noi li incontriamo - proseguono ancora i volontari - sono sempre lì: estate, inverno, Natale e Pasqua. Non escono di giorno e non hanno la cella del carcere come letto dove rientrare per dormire. Ce l'hanno come tomba. Noi vediamo il tempo scorrere sui loro volti, settimana dopo settimana, e lasciare solchi profondi».
Proseguendo nella critica all'articolo comparso sul Fatto, rincarano la dose dicendo che «non è, come lei sostiene, che non escono perché hanno piantato grane, o rompono. No, molti di loro nella riflessione e nella sofferenza, sono arrivati ad una revisione interiore sugli errori del passato. Hanno studiato. E tutto questo nonostante un sistema carcerario che per le condizioni in cui è ridotto costringe a beffa l'articolo 27 della Costituzione, che sancisce che le pene devono tendere alla rieducazione».
E poi si rivolgono al Tinti magistrato, ponendogli dei quesiti chiari: «Lei è una persona esperta, per cui il cittadino comune che l'ha letta in quell'articolo è autorizzato a pensare che la sua sia una fonte attendibile. Ma allora, se fosse vero quello che lei afferma, e cioè che con la legge Gozzini tutti escono al massimo dopo otto anni e pochi mesi, per cui lei auspica l'approvazione di una legge che prevede che gli ergastolani facciano almeno 15 anni, perché allora in Italia ci sono più di 100 ergastolani che hanno alle spalle più di 26 anni di detenzione, il limite previsto per accedere alla libertà condizionale? La metà di questi 100 ha addirittura superato i trent'anni di detenzione».
C'è da ricordare che al 31 dicembre 2010 gli ergastolani in Italia erano oltre 1.500: «Quadruplicati negli ultimi sedici anni – affermani ancora i volontari - mentre la popolazione "comune" detenuta è "solamente" raddoppiata. Se tutti uscissero, come sostiene lei, non potremmo certo avere oggi 1.512 condannati a quella che di fatto invece è una pena di morte mascherata».
E poi si rivolgono al Tinti magistrato, ponendogli dei quesiti chiari: «Lei è una persona esperta, per cui il cittadino comune che l'ha letta in quell'articolo è autorizzato a pensare che la sua sia una fonte attendibile. Ma allora, se fosse vero quello che lei afferma, e cioè che con la legge Gozzini tutti escono al massimo dopo otto anni e pochi mesi, per cui lei auspica l'approvazione di una legge che prevede che gli ergastolani facciano almeno 15 anni, perché allora in Italia ci sono più di 100 ergastolani che hanno alle spalle più di 26 anni di detenzione, il limite previsto per accedere alla libertà condizionale? La metà di questi 100 ha addirittura superato i trent'anni di detenzione».
C'è da ricordare che al 31 dicembre 2010 gli ergastolani in Italia erano oltre 1.500: «Quadruplicati negli ultimi sedici anni – affermani ancora i volontari - mentre la popolazione "comune" detenuta è "solamente" raddoppiata. Se tutti uscissero, come sostiene lei, non potremmo certo avere oggi 1.512 condannati a quella che di fatto invece è una pena di morte mascherata».
Ma le critiche anche dure all'articolo di Tinti non si fermano qui: «Lei dice ancora: "Dopo 15 anni il condannato può avere la semilibertà: di giorno va a lavorare e la notte torna in carcere", ma lo sa che i dati ufficiali del ministero della Giustizia dicono che a fine 2010 i detenuti presenti nelle carceri italiane erano 67.961 e quelli in semilibertà poco più di 900? E che di questi solo 29 sono ergastolani? 29 su 1.512, a fronte di quasi 100 in detenzione da oltre 26 anni: non sembra anche a lei questo un Paese dove esiste, eccome, la certezza della pena?»
Ed infine un invito all'autore dell'articolo da parte dei volontari carcerari della "Papa Giovanni XXIII": «Venga con noi un giorno ad incontrare gli ergastolani, noi le proponiamo volti, corpi ingabbiati e storie vere. Saranno loro a parlare, non i nostri numeri. Venga con noi una giornata, poi riparleremo di ergastolo. Oppure ci dica qual è il suo Tribunale che fa scontare un ergastolo con 8 anni e pochi mesi: avremmo centinaia di detenuti pronti a trasferirsi».
In ultimo i volontari dell'associazione, ricordando Aldo Moro, scrivono: «Egli avvertiva gli studenti, ma forse anche il legislatore e i politici: "Ricordatevi che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei privati: è la risposta calibrata dell'ordinamento giuridico e, quindi, ha tutta la misura propria degli interventi del potere sociale, che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla necessità, rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si esprime in una pena giusta"»
Ed infine un invito all'autore dell'articolo da parte dei volontari carcerari della "Papa Giovanni XXIII": «Venga con noi un giorno ad incontrare gli ergastolani, noi le proponiamo volti, corpi ingabbiati e storie vere. Saranno loro a parlare, non i nostri numeri. Venga con noi una giornata, poi riparleremo di ergastolo. Oppure ci dica qual è il suo Tribunale che fa scontare un ergastolo con 8 anni e pochi mesi: avremmo centinaia di detenuti pronti a trasferirsi».
In ultimo i volontari dell'associazione, ricordando Aldo Moro, scrivono: «Egli avvertiva gli studenti, ma forse anche il legislatore e i politici: "Ricordatevi che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei privati: è la risposta calibrata dell'ordinamento giuridico e, quindi, ha tutta la misura propria degli interventi del potere sociale, che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla necessità, rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si esprime in una pena giusta"»
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